lunedì 3 dicembre 2012

Cibi vicini e lontani

Quando si vive lontani da casa prima o poi si viene colpiti dai dardi affilati della nostalgia. 
E se quella per i parenti e gli amici si può in qualche modo mitigare con e-mail e chiaccherate su Skype e  quella per i panorami tramite le foto dei posti cari, la malinconia per i profumi e i sapori della propria terra resta latente, soprattutto nel caso sia impossibile riprodurli all'estero per la mancanza di ingredienti essenziali.

Da quando sono arrivata qui, in cima alla lista delle cose che vorrei mangiare c'è il pesto, il mio pesto, quello fatto con quel basilico meraviglioso che ti porta via il naso, quello che mia nonna ancora fa nel mortaio con tutti i crismi, quella squisita salsa dove l'aroma del basilico è esaltato dal sapore deciso del pecorino sardo, a cui si uniscono la delicatezza dei pinoli, la fragranza dell'aglio, il profumo avvolgente del parmigiano.
Il pecorino sardo ovviamente qui non si trova, ma pazienza, sarei stata disposta a preparare una salsa eretica utilizzando un qualunque formaggio di pecora stagionato. 
Purtroppo c'è poco da fare: il basilico qui non c'è. Si trova secco, ma come si fa a fare il pesto col basilico secco? Stendiamo poi un velo sui "preparati" che si trovano al supermercato con questo nome: chi è ligure sa perfettamente che in questi barattolini c'è qualunque cosa fuorchè gli ingredienti giusti, e il sapore non ha niente a che vedere con quello del pesto vero.
Ho anche pensato di portarmi una bustina di semi per far crescere il basilico in vaso, ma purtroppo leggi internazionali vietano di portare semi da un continente all'altro, per evitare il diffondersi di malattie vegetali e per tutelare la flora dei vari luoghi. Quindi insomma, niente basilico e niente pesto.

Un paio di mesi dopo il mio arrivo qui, un giorno mi è capitato di dover comprare il pranzo al supermercato. Mi sono avvicinata al banco della zona forno, occhieggiando tra le varie brioche e le orrende imitazioni di pizza, indecisa su cosa fosse più commestibile. 
Ad un tratto mi è caduto l'occhio su una specie di focaccia rotonda, dove tra piccole isole di formaggio fuso appariva qualcosa di verde.
"Pizza al pesto" mi diceva la mia testa, ma sapevo che non era possibile. Ho comprato la focaccia e le ho dato un morso. Non era la mia amata salsa, ovviamente, ma un mix di erbe davvero aromatico e gustoso, che oltre a saziare la mia fame ha acceso la mia curiosità. 
Ho avuto modo anche in seguito di mangiare più volte pizza e focacce preparate con questa miscela di erbe aromatiche, ed infine ne ho scoperto il nome: si chiama za'atar ( in Arabo: زعتر ) ma si trova scritto anche in altri modi (zatr, satar, zather, sather e così via).
Sebbene questo sia il nome comune di una particolare pianta (Thymbra spicata) con questo termine viene anche indicato un mix di erbe aromatiche che cresce selvatico sulle colline libanesi e siriane.
La composizione della miscela varia da paese a paese e addirittura da famiglia a famiglia, ma comprende generalmente piante della famiglia delle Lamiaceae, tra cui timo, origano, santoreggia, issopo e maggiorana.

Qui si trova comunemente mescolato a sumac e a semi di sesamo tostati, e le focacce insaporite con questa miscela vengono considerate un toccasana per le loro proprietà benefiche e stimolanti.
Al supermercato se ne trovano diversi tipi, e non sono ancora riuscita a stabilire quale sia il mio preferito.
Una cosa però è certa: la scoperta di questo delizioso mix ha attenuato almeno in parte la mia nostalgia per il basilico di casa.



domenica 2 dicembre 2012

Piccole grandi soddisfazioni

Credo che per un blogger non ci sia soddisfazione più grande che sapere  di essere apprezzato dai propri lettori. Oggi ho ricevuto "I love your blog", e ne sono felicissima, un enorme grazie a Laura per avermi dato questo premio!

Ora, seguendo le istruzioni, devo ripondere alle domande di una piccola intervista e assegnare a mia volta i premi a dei blog che "oltre ad essere interessanti e ricchi di spunti creativi, sono anche racconti della vita di belle persone, piacevoli e divertenti da leggere e con meno di 200 followers".

Ed ecco le domande dell'intervista.

1- Qual è la tua rivista preferita?
Ne ho diverse, a seconda del settore. Se parliamo di cucina mi verrebbe da dire La cucina Italiana, ma recentemente mi ha un po' deluso, quindi sicuramente la mia scelta cade su Cioccolata&C, un giornale difficile da trovare ma ricco di ricette molto interessanti.
Poi ce ne sono mille altre: Le scienze, Rakam, Coelum... qui però ovviamente non le trovo.

2- Qual è il tuo cantante preferito?
Non credo di averne uno in particolare, ascolto musica diversa a seconda del mio umore, dal metal alla musica classica.

3- Qual è il tuo prodotto di make up preferito?
Ehm. Uso il fondotinta, ma non posso proprio dire di amarlo! Per il resto sono una frana e non solo non mi so truccare, ma ho la tendenza a catalogare i vari prodotti per settori: quelli che vanno sulle guance, quelli per gli occhi, quelli per le labbra... non vi dico il disgusto delle commesse quando scoprono che per me terra, cipria, fard e fondotinta sono la stessa cosa.

4- Qual è il tuo film preferito?
Il mio film preferito è Contact, tratto dall'omonimo splendido romanzo di Carl Sagan. La pellicola è nettamente inferiore al libro, ma riesce comunque ad affascinarmi ogni volta.

5- Qual è la tua youtube guru preferita?
Mmm... ho il dubbio che questo termine si riferisca al make up. Se è così non ho una youtube guru, non ho mai visto un video sul make up.
Se invece il termine è più vasto.. sicuramente mugumogu, la padrona di Maru, lo Scottish Fold più pazzo che ci sia.

6- Dove ti piace vivere?
Questa è facilissima: ovunque ci sia mio marito. Dove c'è lui ci sono io, anche se dovesse andare sulla Luna.

7- Quante scarpe possiedi?
Sinceramente? qui ne ho due paia, un paio da ginnastica che non uso e un paio di sandali. Non amo particolarmente andare a fare shopping, a meno che questo non sia in libreria o in un negozio di casalinghi.

8- Qual è il tuo colore preferito?
Il blu. Blu oltremare, per essere precisi.

9- Indica i tuoi tre cibi preferiti:
Il broccolo, il cavolo verza e il cavolo rosso. Ne mangerei a quintali.


Ed eccoci arrivati alle premiazioni! e ai dubbi. Posso premiare solo blog sul circuito di blogspot? e se un blog che io ritengo davvero bello e meritevole non ha il numero di followers in evidenza?
Ho fatto un giro sui blog che sono stati premiati prima di me, e ho trovato qualcuno che ha premiato anche blog di altri circuiti il cui numero di followers era incerto, quindi seguo l'esempio!

Dovevo andare in terapia: il favoloso diario di Ros, una filosofa con un cespuglio in testa e una borsa da 25 kg, tra dubbi quotidiani, bellissimi viaggi e squisite ricette.

Guarda con il cuore: "L'essenziale è invisibile agli occhi, non si vede bene che col cuore" diceva il Piccolo Principe. Daniela ha scoperto solo al momento della nascita di Emma che la sua secondogenita ha la trisomia 21. Senza cadere in depressione, Daniela è andata avanti e ha aperto un blog per raccontare la sua vita. Oggi è una mamma felice e il suo blog è la dimostrazione che le cose possono essere viste anche da un punto di vista diverso, quello del cuore, che non (pre)giudica e non classifica, ma ama soltanto.

Due gemelli: mamma al quadrato: questo è in assoluto il primo blog che ho iniziato a seguire, scoprendolo per caso grazie al tasto "blog successivo". E' divertentissimo, adoro il modo in cui Laura scrive.

La tata delle torte: è incredibile quello che Daniela riesce a fare. La prima volta che sono capitata sul suo blog ho dovuto scaricarmi la foto del suo ultimo lavoro per convincermi che davvero non era commestibile, ma era solo una bellissima e utile composizione.

E questo è tutto. Ora devo correre a mettere un catino in bagno, perchè il soffitto gocciola di nuovo.
A presto!

venerdì 23 novembre 2012

Il primo tacchino non si scorda mai

Il tanto atteso evento di Novembre, il Thanksgiving, è finalmente arrivato, portando con sè tutto il bagaglio di ansie, curiosità ed entusiasmo che provo sempre quando sto per fare qualcosa di nuovo.
L'affannosa ricerca degli ingredienti si era conclusa qualche giorno fa, con l'acquisto della zucca per la pumpkin pie. Io non sono un'esperta di questo ortaggio, e la ricetta che ho seguito diceva solo "red pumpkin", senza specificare quale qualità dovessi usare.
Nei supermercati dove vado di solito ultimamente erano reperibili solo alcune piccole zucche gialle, niente a che vedere con quella arancione e scanalata che avrei voluto comprare. Poi qualche giorno fa grazie ad un tassista che non ha capito assolutamente dove volevo andare mi sono ritrovata a girare per le strade di un quartiere sconosciuto. Ho visto un piccolo supermarket, ci sono entrata e incredibilmente ho trovato la mia red pumpkin.
Anche il numero di ospiti era ballerino, e fino all'ultimo non ho saputo quanti esattamente sarebbero venuti. Ovviamente i due in forse erano quelli che facevano la differenza tra apparecchiare un tavolo e apparecchiarne due, con conseguente corsa dai vicini per avere sedie extra e magari anche una tovaglia.
Per la giornata di ieri tutto era stato pianificato alla perfezione, dal tempo di scongelamento necessario per il tacchino a quello per realizzare tutte le ricette, cosa fare al mattino e cosa fare al pomeriggio. Il punto debole del mio piano stava nel fatto che i tempi erano calcolati sulla base di quanto dicevano le ricette e non sull'esperienza, ma di questo ero consapevole ancor prima di incominciare.

La cena era alle 19. Ho iniziato alle 7 del mattino riordinando la cucina (quando cucino deve essere tutto al suo posto) e mettendo a cuocere la zucca per la pumpkin pie. Al momento di versare il composto nel suo guscio di brisèe ero fortemente scettica che si sarebbe solidificato, vista la consistenza liquidissima.
La ricetta indicava mezz'ora di cottura, ma solo dopo un'ora il ripieno ha cominciato a solidificarsi. L'ho sfornata piena di dubbi, soprattutto sulla commestibilità della pasta brisèe.


Mentre la zucca cuoceva lui, il tacchino, il protagonista della festa, stava finendo di scongelarsi dopo una notte passata in piedi dentro lo scolapasta.
Come il ghiaccio all'interno ha iniziato a cedere ho iniziato a notare qualcosa di strano che sporgeva.
Al tatto presentava anelli cartilaginei, quindi ho immaginato che fosse il collo. Il problema era fuoriusciva dalla parte opposta, e sembrava attraversare tutto l'addome dell'animale.
Ho fatto una breve ricerca su internet, ma nessun tacchino sembrava avere questa strana appendice. Quando finalmente lo scongelamento è terminato ho scoperto che era proprio il collo, tagliato e infilato dentro all'animale prima di congelarlo ( insieme con un sacchettino ben chiuso contenente le interiora).
Un'altra caratteristica carina era quella di possedere un termometro incorporato, un dischetto rosso che nel momento in cui sarebbe stato cotto sarebbe fuoriuscito.

La mattinata è passata veloce ed è arrivato il pomeriggio, con la farcitura e la cottura della bestia.
Quest'ultima era particolare: l'animale doveva essere posto su una griglia posizionata sopra ad una teglia, cosicchè i succhi della cottura potessero essere recuperati ed utilizzati per fare la salsa gravy.
Nel mio programma ci sarebbe dovuto essere spazio anche per dare una pulita al salotto e per apparecchiare la tavola, ma la quantità di cose da fare e gli imprevisti mi hanno fatto rimandare sempre più in là questo momento, finchè non ho delegato a mio marito la questione.
Alle 17.30 stavo cuocendo l'apple pie e preparando i tegami con il ripieno avanzato per metterli a gratinare nel forno dei vicini di casa.
Alle 18.10 hanno telefonato due degli ospiti, dicendo che avevano fatto male i calcoli sul tempo necessario per raggiungere il paese, ed erano già qui.
Alle 18.30, dopo 4 ore di cottura, secondo la ricetta il tacchino doveva essere cotto, ma nessuno dei due termometri -  nè quello incorporato nè quello per la carne comprato pochi giorni fa - lo rilevava.
Tra l'altro ogni 45 minuti occorreva spennellarlo con brodo e vino, e questo comportava tirarlo con difficoltà fuori dal forno (pesava più di sei chili) quindi bagnarlo e rimetterlo a cuocere.


Alle 19, ora prevista per la cena, era tutto pronto tranne lui, l'animale nel forno, che in barba alla teoria continuava ad essere crudo. Tutti erano radunati in salotto a parte me, che continuavo un frenetico viavai tra il nostro appartamento e quello dei dirimpettai per prendere stoviglie e cibi lasciati in caldo.
Alle 19.30 la cucina era in piena baraonda, e io ero sul punto di piangere perchè tutti stavano aspettando e il tacchino non era ancora cotto.
Alle 20.45 finalmente entrambi i termometri sono stati concordi sulla cottura, e la bestia è stata sfornata e tagliata a fette.

Io ero a pezzi, sotto tutti i punti di vista: ero stanchissima, non ero riuscita ad apparecchiare la tavola come volevo io, non avevo pulito la sala, non ero riuscita a fare la salsa gravy perchè i succhi di cottura si erano bruciati e la cena era in ritardo di quasi due ore.

Poi ho guardato i miei ospiti: erano felici. Erano tra amici, stavano mangiando i piatti della tradizione e tutto il resto non aveva importanza. Nessuno aveva notato che il pavimento era sporco o che la tavola aveva i coltelli messi a rovescio. Era il Thanksgiving, e loro volevano solo festeggiarlo. E' stato in quel momento che ho capito lo spirito della festa. Mi sono seduta anch'io e ho riempito il mio piatto di tacchino, ripieno e salsa ai mirtilli rossi.

A parte gli incovenienti, la cena è andata benissimo. Il tacchino era morbido e sugoso, la pumpkin pie è stata divorata, per il ripieno mi è stata chiesta la ricetta e più di una persona mi ha detto di non aver mai avuto una cena del Thanksgiving così saporita.
Cosa posso dire? E' andata. Mio marito è stato felice, loro sono stati felici, la cena è stata apprezzata e lodata.
Sono soddisfatta. Buon Thanksgiving a tutti, con un giorno di ritardo.

mercoledì 14 novembre 2012

Una versione superbreve

A volte le cose sono completamente diverse da come ce le immaginiamo.
Avevo fantasticato di andare una mattina con calma dalla mia amica A. e, sedute davanti ad una tazza di tè, raccontarle che forse avrei avuto bisogno del suo aiuto per conservare il tacchino nel congelatore.
A. ha dell'Occidente un'idea vaga e piena di preconcetti, che sta lentamente modificando, dopo avermi conosciuta. 
Dopo aver scoperto, un giorno che l'avevo nominata, che A. non aveva idea di cosa fosse la pizza, ho dato per scontato che il Thanksgiving le fosse totalmente ignoto e avevo quindi  pensato alle parole giuste per raccontarle la storia del Ringraziamento, i Padri Pellegrini, il Mayflower, il primo raccolto. 
Nella mia immaginazione lei avrebbe posto delle domande, ed infine, domenica 18 Novembre le avrei portato il tacchino da conservare.
Ovviamente non è andata così.

Sabato  pomeriggio mio marito è andato dal barbiere per farsi tagliare i capelli. Qui è una cosa lunga: ti offrono il tè, ti riempiono di lozioni, balsami e creme, e prima che sia passata un'ora non c'è speranza di uscire.
Tre minuti dopo che la porta si era chiusa alle sue spalle qualcuno ha suonato il campanello. Sicura che fosse lui che aveva dimenticato qualcosa sono andata ad aprire: era il vicino di casa, e io ero a piedi nudi con una maglia piena di macchie. Una magnifica figura. 
Mentre realizzavo tutto questo lui mi ha allungato un sacchetto.

- Ecco il tacchino! siamo andati in città oggi e l'abbiamo preso. Non è un problema, vero?

Nooo, certo che no, non è un problema avere il tacchino otto giorni prima di quanto avevamo stabilito. Cavolo. E ora come faccio? Ad A. non avevo ancora detto nulla.
Il sabato è il giorno meno adatto per andare a trovare una famiglia araba. Di solito hanno ospiti, amici di famiglia, la casa piena di gente, ed A. è impegnata a cucinare super-pranzi e a chiacchierare con le altre donne. 
In poche parole è il giorno meno adatto per presentarsi con un tacchino congelato in braccio che chiede asilo e una lunga storia sulle motivazioni.
Ho deciso di lasciare la bestia in cucina e andare in avanscoperta. Incredibilmente non avevano ospiti, e anzi stavano per uscire di casa.

- Senti, ho un grosso favore da chiederti. Non è che potresti ospitare un tacchino nel tuo freezer per qualche giorno? è per il Thanksgiving...
- Non c'è problema. Cos'è il Thanksgiving?
- E' una festa americana. Le famiglie si riuniscono e mangiano il tacchino tutti insieme.

Spiegazione carente, lo so. Ma il tempo era pochissimo e non mi sono arrischiata a fare di più. Intanto adesso la bestia è dentro un congelatore, ci penserò più in là a spiegare che il Thanksgiving non è una festa in onore del tacchino.
Nove giorni. Domani andiamo in città e iniziamo a comprare gli ingredienti. 
Tacchino con il suo ripieno, gravy, pumpkin pie, panini al latticello e qualcos'altro che ora non mi viene in mente. 
Nove giorni di tempo per acquisire tutti i trucchi per una perfetta cena del Ringraziamento. 
Incrociamo le dita.

martedì 6 novembre 2012

Torte e armi biologiche

Ieri era il compleanno di mio marito. 
L'affannosa ricerca della torta perfetta per festeggiare è stata interrotta pochi giorni fa, quando ho ricevuto dal diretto interessato la richiesta di preparare la Key lime pie, una torta di lime originaria delle isole Keys, un arcipelago al largo di Miami.
Detto fatto, ho accantonato tutte le idee di dolci lievitati, crostate e bavaresi e mi sono messa a cercare la ricetta giusta. 
Quando l'ho letta ho avuto un attimo di delusione. Fare un dolce è qualcosa che nel mio immaginario è associato a delicati impasti, soffici creme, a glasse e fiori di zucchero realizzati per l'occasione.
La Key lime pie non ha niente di tutto questo, ma combina una base di biscotti sbriciolati con un ripieno a base di tuorli, latte condensato e succo di lime.
Pazienza, mi sono detta, a lui piace, ed è l'unica cosa che conta.
La richiesta è poi salita dal fare una torta al farne tre, tutte uguali, una per lui, una da mangiare con i vicini di casa e una per i colleghi di lavoro. 
Domenica pomeriggio, con un certo scetticismo ho dato inizio alla preparazione. Scetticismo perchè, nonostante tutti i miei buoni propositi, devo ammettere di avere dei pregiudizi sulle torte con la base di biscotti sbriciolati. Mi sembrano ricette create da qualcuno che non aveva voglia di impastare, e non mi coinvolgono. L'abbinamento del latte col succo di lime poi non mi sembrava particolarmente azzeccato.
Le torte sono state comunque realizzate, sfornate e messe in frigo, ed in seguito molto apprezzate dal coniuge, che le ha divorate.

L'ultima torta l'abbiamo mangiata ieri sera, insieme ai vicini di casa. Il mio stomaco, come gli ho proposto il primo boccone, ha incrociato le braccia e ha detto no, scordatelo di farmi arrivare un'altra cucchiaiata di questa roba, e per farmi desistere mi ha fatto venire una bella nausea.
Il pezzo di torta nel mio piatto è stato occultato dal tovagliolo, con nonchalance. Gli altri apparentemente non hanno avuto problemi e hanno terminato la loro porzione.

Mentre chiaccheravamo è uscito fuori l'argomento Thanksgiving e i vicini hanno detto che si occuperanno loro di comprare il tacchino in un negozio in città, che a quanto pare vende pregiate qualità del grosso volatile. Poi si sono girati verso di noi.
- Ah, ma voi ce l'avete un congelatore? perchè il tacchino lo vendono congelato.

Ehm. Un piccolo spazio congelatore tecnicamente nel nostro frigo ci sarebbe, ma oltre ad essere inaccessibile a causa dello strato di ghiaccio che blocca lo sportello (come dicevo QUI) è troppo piccolo per poterci infilare un tacchino per dodici persone.
Loro ci spiegano che possono andarlo a ritirare non più tardi della domenica precedente, perchè poi hanno degli impegni (e purtroppo lo stesso discorso vale per noi).

Silenzio meditativo, e poi l'ideona:
- Ma perchè non lo mettiamo dentro alla custodia del computer? Per quattro giorni sicuramente non ci sono problemi.

Come dire, è un'idea GENIALE! tutti sanno che all'occorrenza le custodie del computer possono essere convertite in piccoli freezer!
Seriamente: non ho idea della temperatura a cui viene conservato un tacchino congelato, ma sono abbastanza sicura che dopo un giorno a 24°C sarà completamente scongelato. Dopo quattro giorni non è più un tacchino, ma un'arma biologica e il mio senso morale mi vieta di cucinare e dare in pasto a persone innocenti una cosa del genere.

Cercando di reprimere la nausea ho guardato mio marito in cerca di sostegno, ma lui sembrava pienamente convinto dalla validità dell'idea proposta dai vicini.

Questa notte, mentre il mio stomaco ritornava gradualmente in salute, ho ricordato all'improvviso che la mia amica A. ( di cui parlavo in questo post) ha  in casa sua qualcosa che assomiglia ad un piccolo congelatore. Uno di questi giorni andrò a trovarla, dopo aver rispolverato le mie nozioni sul Mayflower, i Padri pellegrini e l'origine del Thanksgiving, in modo da poter spiegare per quale motivo voglio conservare un tacchino nel suo freezer.


lunedì 22 ottobre 2012

Aspettando Novembre, seconda parte

Ieri al supermercato, mentre esamino i formaggi in esposizione.
 - Signora, signora!
Mi giro. Il commesso della macelleria con cui ho parlato qualche giorno fa a proposito del tacchino mi ha visto e si sta sbracciando per attirare la mia attenzione.
Mi avvicino al banco della carne.
- Signora, mi dispiace, ma non è possibile prenotare un tacchino prima di Dicembre, ho chiesto al mio capo.
- Capisco... va bene, grazie lo stesso.
- Ma perchè non lo compra a fette? oppure potrebbe prendere un pollo arrosto dalla banco della polleria...
- Grazie, ma mi serve proprio un tacchino. E dev'essere fresco e intero.
Mi allontano, chiedendomi come abbia fatto a ricordarsi di me con tutta la gente che vede ogni giorno.. ma probabilmente era a causa della mia insolita richiesta.

Ottimo, siamo al punto di partenza. I vicini di casa mi hanno parlato di un posto dove forse si può reperire l'agognato volatile, la prossima volta che vado in città andrò in esplorazione.

Nel frattempo ho appurato che per la cena del Thanksgiving saremo almeno in dodici.  
Per fortuna una delle invitate si è offerta per preparare la torta di patate dolci e la green bean casserole. A me toccano il tacchino, il gravy, la pumpkin pie e tutto il resto.
Manca un mese esatto. Spero di riuscire a trovare buone ricette (con tutti gli ingredienti necessari per realizzarle) e a fare almeno una prova di cottura del volatile. 
Ieri sera, infornando una focaccia, sono stata assalita dai dubbi. Entrerà nel mio forno un tacchino per dodici persone? E se non ci entra cosa faccio? Mi sono fatta un piccolo filmino mentale dove busso alla porta dei vicini di casa col volatile in braccio per chiedere se posso cuocerlo da loro..
Non vedo l'ora di procurarmene uno e fare la prova.

giovedì 18 ottobre 2012

Dov'è il problema?

Nel nostro disastrato appartamento i due bagni e la cucina non hanno il soffitto in muratura, bensì costituito da lastre metalliche malamente incastrate l'una nell'altra.
Ogni tanto, per motivi ignoti, dalle fessure tra una lastra e l'altra viene giù acqua. Spesso è solo un gocciolio, ma capita anche il getto continuo, tipo rubinetto aperto.

All'inizio succedeva raramente, erano solo poche gocce sul pavimento di uno dei due bagni, e avevamo pensato a spruzzi d'acqua fuoriusciti dal lavandino o dalla vasca. Poi ci siamo accorti che avveniva sempre nello stesso punto, e abbiamo realizzato che l'acqua usciva dalla fessura tra due delle lastre che costituiscono il soffitto.
Erano solo poche gocce e visti gli altri problemi della casa non ci siamo preoccupati più di tanto.
Un giorno ha cominciato a gocciolare il soffitto della cucina. Quello mi dava fortemente fastidio, perchè le gocce cadevano sul ripiano che uso per impastare e non sapendo la provenienza dell'acqua lavavo in continuazione.
Si trattava comunque di poche gocce ogni ora, facilmente assorbibili con un pezzo di carta da cucina e che dopo qualche settimana sono sparite.

Poi per mesi non abbiamo più visto una goccia.

Qualche settimana fa il soffitto del bagno ha ricominciato a gocciolare, e nello stesso momento dal soffitto dell'altro bagno è scesa una incredibile quantità d'acqua, che è andata a riempire (letteralmente) una lampada al neon sopra al lavandino (lampada che ovviamente ora non usiamo più).

Visto che la situazione si era fatta più seria abbiamo deciso di chiamare Attawi, l'addetto alla manutenzione del nostro palazzo. E' sempre complicato capirsi, visto che Attawi parla solo il Bengalese, ma di solito a gesti riusciamo a spiegare il problema e lui è piuttosto abile a risolverlo.
Telefoniamo, ma il cellulare è staccato. Andiamo nel suo appartamento a piano terra, ma non troviamo nessuno. 
Visto che, come dicevo qui, da queste parti è impossibile trovare un idraulico vero, non abbiamo potuto fare altro che metterci tranquilli ad aspettare che Attawi tornasse.

Ieri sera avevamo ospiti a cena. Ovviamente non potevamo farli andare nel bagno con la lampada piena d'acqua, quindi abbiamo optato per l'altro. Poco prima del loro arrivo passo davanti alla porta e sento un gocciolio. Entro, mi guardo intorno. Non c'è acqua da nessuna parte.
Poi capisco: l'acqua si sta accumulando da qualche parte sopra al soffitto.
Due minuti dopo dalla solita fessura veninva giù una piccola cascata, che ha costituito un interessante diversivo per i nostri ospiti.

Oggi pomeriggio mio marito, tornando a casa dal lavoro, ha visto qualcuno che entrava nell'appartamento di Attawi, e ha pensato che fosse tornato.  Abbiamo bussato alla porta e ci ha aperto un altro ragazzo. Di Attawi nessuna traccia, probabilmente ha trovato un lavoro migliore da qualche altra parte e se n'è andato.

Il ragazzo ci conferma di essere il nuovo addetto alla manutenzione e ci segue nel nostro appartamento. 
Entra in bagno, guarda le gocce che cadono a ritmo serrato, guarda il secchio quasi pieno e la pozzanghera sul pavimento.
Poi si volta verso di noi, e ci dice perplesso: "C'è il secchio, dov'è il problema?"
Niente male come inizio, per un addetto alla manutenzione.

domenica 14 ottobre 2012

Aspettando Novembre, prima parte

Quando ci si sposa, oltre al partner si sposano anche le usanze e le tradizioni a cui esso è legato. 
Avendo sposato un Americano, il tacchino del Ringraziamento mi sta aspettando al varco, ridendo come un matto per la dimensione dei miei arrosti e di tutta la carne che sono solita cucinare e invadendo con tutta la sua stazza i miei pensieri culinari di questo periodo.

I mesi passano, al Thanksgiving manca poco più di un mese e come dicevo qui l'ansia è abbastanza alta.
Ieri, su richiesta del coniuge ho accettato di cucinare la cena del Ringraziamento per otto Americani e, ancor prima, di mettermi a caccia degli ingredienti giusti, cosa che qui in Medio Oriente può causare qualche problema, visto che non solo alcuni prodotti sono irreperibili o difficili da trovare, ma la maggior parte delle persone non ha assolutamente idea di cosa sia il Thanksgiving.

Comunque sia, decisa a non lasciarmi scoraggiare, ieri durante la spesa settimanale mi sono diretta dritta dritta al banco della carne del supermercato.
- Ehm, buongiorno. Sarebbe possibile ordinare un tacchino per Novembre?
- Un tacchino?
- Sì, un tacchino.. mi servirebbe intero. Sarebbe possibile?
- Cotto?
- No, mi serve crudo.
- A fette?
- No, intero... è per il Thanksgiving.
- Thanksgiving?
- Mi servirebbe un tacchino intero, non cotto, non a fette, per Novembre. E' possibile?
Il commesso mi ha guardato perplesso, e mi ha detto che sì, prenotandolo una settimana prima è possibile avere un tacchino. Ora sarà meglio che la prossima volta specifichi che magari lo vorrei senza interiora, altrimenti ho il terrore che me lo consegni vivo...

Passando vicino ad uno scaffale di cibi etnici abbiamo visto qualche vasetto (pochi) di salsa di mirtilli rossi e ci siamo affrettati a fare incetta prima che sparisse. Ho occhieggiato la zucca nel reparto ortofrutta e al momento quella che mi serve è presente, speriamo che ci sia anche tra un mese.

Poi ovviamente c'è la ricetta. Molti dei piatti americani che ho imparato a cucinare li ho presi da Buon appetito, America! il favoloso libro di Laurel Evans che mostra come al di là del cibo spazzatura dei fast food anche gli Stati Uniti abbiano una cucina regionale davvero varia ed interessante. 
Il libro contiene anche una ricetta per il volatile, ma ahimè, il ripieno è a base di castagne, e mio marito mi ha già detto che il tacchino che lui è abituato a mangiare ha ingredienti diversi ( ma non si sa bene quali).
Da un lato la cosa è positiva, perchè qui non ho mai visto una castagna, nè fresca nè conservata. Dall'altro lato... gosh. 
Non solo io non ho mai cotto un tacchino intero in vita mia, ma non ho nemmeno idea di che sapore debba avere questo famigerato volatile ripieno.
L'unica consapevolezza che ho è che questa per gli Americani è la festa più sentita, una celebrazione della famiglia, e i cibi che si mangiano hanno tutto il caldo conforto dei sapori di casa, quelli della cucina della mamma.
In altre parole: tutto dev'essere come loro si aspettano che sia, quindi ho un mese di tempo per acquisire tutti i trucchi per preparare una festa del Thanksgiving se non perfetta quanto meno accettabile.

Poichè non sono sicurissima di raggiungere buoni risultati senza fare delle prove, questo mese sarà all'insegna del tacchino, e cucinerò il volatile fino a non poterlo più vedere.
Visto che, nonostante l'idea, l'ansia continua ad essere alta, abbiamo deciso di chiedere consulenza ai vicini di casa, quanto meno per la ricetta da seguire e il numero di portate.

Incrociamo le dita. Per fortuna manca ancora un mese.

martedì 9 ottobre 2012

L'anagrafe dei reietti esteri

Che l'Italia sia un paese con molti problemi è noto e risaputo, e questo diventa ancora più evidente nel momento in cui si va all'estero e si osserva il tutto da un altro punto di vista.
Ci sono però anche cose veramente ottime di cui prima non mi ero resa pienamente conto, come la copertura sanitaria gratuita. A meno di non avere esenzioni particolari si paga il ticket, ma il prezzo è comunque irrisorio rispetto al reale costo della prestazione medica, che sia una visita, un accertamento diagnostico o un ricovero ospedaliero. 
Devi fare le analisi del sangue? è facilissimo, se vivi in Italia. Vai dal tuo medico di famiglia, te le fai prescrivere e poi vai in ospedale a fare il prelievo. La facilità con cui abbiamo accesso a visite e test diagnostici è tale che conosco parecchie persone ipocondriache che sono andate dal medico di famiglia e si sono fatte prescrivere una marea di TAC, risonanze, ecografie ed esami ematochimici di cui non avevano assolutamente necessità, e che il medico ha firmato per evitare discussioni.

Per quanto criticato, a volte carente e problematico, questo mondo, questa facilità di accesso mi ha sempre rincuorata, mi ha fatto sentire tranquilla e protetta, sicura che se fosse successo qualcosa a me o ai miei cari qualcuno si sarebbe preso cura di noi.
Qui mi sono imbattuta per la prima volta in una realtà differente, dove non c'è la copertura sanitaria statale, ma tutto è legato alle assicurazioni.  
Se hai un problema riconosciuto come tale dall'assicurazione allora va tutto bene, paghi il ticket e basta. Se il tuo problema non è tra quelli coperti la cura è a tuo carico, e i costi sono alti. Molto alti. 
Qualche tempo fa ero rimasta sconvolta quando l'assicurazione aveva negato a mio marito la copertura per effettuare i normali esami del sangue di routine e lui, visto il costo, aveva deciso di non farli.
Ne abbiamo parlato con gli amici americani, abituati alle assicurazioni, e mi si è aperto davanti un mondo insospettato, dove quando hai un problema se l'assicurazione non ti copre e i soldi non ci sono devi lasciare il tuo paese e volare ad esempio in Thailandia, dove le cliniche private costruite apposta per gli Occidentali sembrano avere ottimi standard qualitativi per prezzi molto bassi (per noi).
I nostri amici ne parlavano come di una cosa normale, ma io, abituata al sistema sanitario italiano ero sconvolta, e l'idea di andare in Thailandia mi suonava strana e pericolosa.

Ero orgogliosa di appartenere ad un paese dove sicuramente la salute non è un diritto, ma la cura sì, quella lo è (pur con eclatanti casi di malasanità) e dentro di me covavo la tranquilla certezza che se avessi avuto problemi sarei potuta andare a curarmi nel mio paese.

Tutto questo è durato fino ad un paio di settimane fa, quando facendo i documenti per l'Australia mi sono resa conto che non avevo ufficialmente detto a nessun ente del mio trasferimento in Medio Oriente e che quindi per lo stato italiano io continuavo ad essere residente in Italia. 
Prima di partire ero andata all'anagrafe, dove mi avevano informata dell'esistenza dell'AIRE, Anagrafe Italiani Residenti all'Estero, facendomi però capire che la mia adesione era solo opzionale ma non obbligatoria.
Informandomi meglio scopro che in realtà l'iscrizione è obbligatoria per tutti gli Italiani che abbiano intenzione di risiedere all'estero per più di un anno, eccettuati gli studenti.
Vabbè, mi dico, farò questa iscrizione. Ma che vantaggi può portarmi?

Ho fatto un rapido giro su internet, e di vantaggi per me non ne ho trovati nemmeno uno. In compenso ho trovato una cosa che mi ha lasciata di sasso, e mi ha portata alle lacrime: con l'iscrizione avrei perso il diritto ad usufruire del sistema sanitario nazionale italiano. 
Non vivi qui? per noi non sei più nessuno. In caso di bisogno niente più medico di base, medicine, assistenza. 
Io sono Italiana. Lo sono i miei genitori, i miei parenti. Sono andata a scuola lì, i miei amici vivono lì. Conosco l'arte italiana, la sua cultura, la sua politica.
Eppure, se mi sentissi male, in Italia tutto quello a cui ho diritto sono le prestazioni di emergenza del pronto soccorso, esattamente come se fossi un'immigrata clandestina.
Non ci sono parole per descrivere come mi sono sentita, la paura, la sensazione che il mio paese, la mia patria, lo stato in cui ero nata mi avesse abbandonato. 

In preda all'ansia ho postato domande su Internet, in vari forum di Italiani espatriati. Non l'avessi mai fatto: sono stata insultata da perfetti sconosciuti. Chiedi informazioni? allora sei egoista, sei quella che vuole "fare la furba" ed evitare di attenersi all'obbligo di legge dell'iscrizione al registro, vuoi tenere il piede in due scarpe, vuoi godere di vantaggi a cui non hai diritto.

Poi ho capito che c'è sì l'obbligo di legge all'iscrizione, ma non essendoci sanzioni per gli inadempienti parecchi non si iscrivono e pur vivendo all'estero per lo stato italiano continuano a risiedere in Italia. Questo causa ovviamente l'ira degli iscritti, che vorrebbero che tutti i residenti all'estero fossero nella stessa (brutta) barca.
Io mi sono iscritta lo stesso, perchè mi ritengo una persona onesta, e se c'è una legge io la seguo. 
Non entro in merito alle polemiche tra gli iscritti e i non iscritti.
Forse sono davvero egoista, ma lo stato italiano mi ha abituata all'idea che la cura è un diritto, e non mi va giù l'idea che il diritto sia solo di alcuni. 

C'è chi dice che è un peso per lo stato. Ma se io non usufruisco del sistema sanitario nazionale come faccio ad esserlo? Voglio dire, vivo in Asia. Se ho bisogno dell'aspirina me la compro qui. In Italia sarei tornata solo per cose più serie.
C'è chi dice che il problema è che, visto che i medici di medicina generale possono avere solo un certo numero di assistiti, vivendo all'estero "rubo" il posto a qualcuno che vive in Italia. Ma era così difficile fare una categoria a parte? anche qui, ne avrei usufruito ben raramente.

Ma pazienza, magari queste obiezioni sono giuste e sono io che non le capisco.
Personalmente posso dire solo una cosa: l'Italia mi ha già disgustata abbastanza, e questa per me è stata la goccia che fa traboccare il vaso. 
Se un giorno, avendo due cittadinanze, dovessi decidere di abbandonarne una, non sarei certo presa dai dubbi su quale lasciare.



martedì 18 settembre 2012

Facile come ricevere una lettera

Quando ero bambina l'arrivo della posta era un momento che attendevo sempre con emozione. Quando tornavo a casa da scuola facevo i gradini a due a due per l'impazienza di andare a sbirciare nella cassetta delle lettere. Ero sempre in attesa di una lettera dai miei cugini, e intravedere una busta all'interno del vano metallico mi riempiva di euforia, una promessa di fogli scritti a mano e profumanti di inchiostro.
Crescendo il fascino della corrispondenza cartacea si è attenuato, le lettere dei parenti sono diventate e-mail, e a parte qualche rara cartolina non ho più trovato cose interessanti ad attendermi nella cassetta.

Poi mi sono trasferita qui, ed improvvisamente la posta ha riacquistato tutto il suo fascino, forse ancora di più di quello che aveva quando ero nell'infanzia.
Il motivo è che qui ricevere posta è una faccenda complicata, prima di tutto perchè non c'è la distribuzione porta a porta. Del resto le strade non hanno nome, sarebbe complicato sapere dove portare le lettere.
Qui nel paesino sperduto è possibile affittare una casella postale, un vano di 10x10x30 cm che si trova insieme ad una quarantina di altri in un bizzarro agglomerato a forma di fungo, dove le cassette postali formano il gambo, e la sovrastante volta in plexiglass per difenderle dalla pioggia e dal sole ne costituisce il cappello. Il tutto si trova nel mezzo di un marciapiede, all'aria aperta.
Viste le esigue dimensioni della casella, ovviamente è impensabile che ci possano entrare cose più grandi di una busta standard.

Per tutto il resto c'è una struttura che funge da ufficio polivalente, un basso edificio dove ci si reca per tutta una serie di necessità, che vanno dal pagare le bollette al ritirare la posta che non entra nella cassetta (ovvero quasi tutto).
Andrebbe tutto bene se non fosse che questo posto ha degli orari di apertura particolari, che sono forse buoni per chi abita lì vicino ed è a casa tutto il giorno, ma purtroppo si accordano malissimo con i ritmi lavorativi di mio marito, in quanto l'ufficio apre dopo che lui è andato al lavoro e chiude prima che ritorni, restando chiuso tutto il weekend.
Quanto a me, purtroppo la mancanza di un mezzo di locomozione rende quasi impossibile il ritiro della posta.
Non ci sono autobus che passino vicino a casa mia, nessuno che mi possa dare un passaggio e ovviamente nessun negozio di noleggio biciclette o simili. Potrei andare a piedi, ma il centro è distante, la strada per raggiungerlo passa in pieno deserto e ci sono 40°C.

Qualche giorno fa mia madre doveva inviarmi un pacco dall'Italia e invece che affidarsi alle poste normali è andata da una famosa ditta di spedizioni rapide, sperando che per me fosse più facile ottenerlo. L'impiegato l'ha assicurata che il pacco sarebbe arrivato proprio qui, ma certamente, nessun problema.
Tre giorni dopo io stavo già assaporando il piacere di ricevere il pacco magari proprio a domicilio quando ho ricevuto una telefonata.
- Buongiorno, la chiamo dalla sede della ditta di spedizioni qui in città, a 180 km da dove abita lei, non è che potrebbe venire qui a prendersi il suo pacco?
- Ah... pensavo che lo portaste qui, nel paesino sperduto..
- Fin lì?? No, guardi, non portiamo mai i pacchi lì. Troppo lontano.

Per fortuna quel giorno mio marito era a casa, così siamo partiti e siamo andati a prenderci il pacco in città.
Per la prossima volta stiamo valutando mezzi alternativi come i piccioni viaggiatori e i tappeti volanti.
Potrebbe essere difficile reperirli, ma non dubitiamo che saranno più efficienti.

domenica 2 settembre 2012

Scarafaggitudini, un post disgustoso

Attenzione, questo post parla di insetti, in particolar modo di blatte. Se questi animali vi facessero impressione vi consiglio caldamente di non proseguire nella lettura.

Io amo gli insetti, davvero. Mi sono sempre piaciuti, fin da bambina. Ho cercato innumerevoli volte di allevare farfalle e coleotteri, sono andata a caccia di grilli e cavallette, ho palpitato davanti ai colori delle libellule e studiato appassionatamente il comportamento delle formiche.
Prima di arrivare qui non avrei mai pensato di poter incontrare degli insetti che mi avrebbero disgustato.

Poi sono venuta qui. La prima mattina, entrando in cucina ancora mezza assonnata per il fuso orario sono stata accolta da sei Periplaneta lunghe 5 cm che uscivano da sotto il frigorifero, ed è stato solo l'inizio.
La situazione era tipo film dell'orrore: su sei stanze, sette incluso il corridoio, solo il salotto non era infestato, e questo grazie al fatto che per accedervi occorre superare un gradino metallico.
Il resto della casa era un disastro: scarafaggi ovunque, anche in pieno giorno. Nidi dappertutto, uova ed escrementi in quantità impressionante, ovunque.

Poi mi sono dotata di una siringa di gel blatticida, e con pazienza ho costellato la casa di gocce di gel, senza dimenticare di tappare tutti i buchi da cui le simpatiche bestie potevano uscire. 
Piano piano la situazione si è normalizzata, e i coinquilini sono scomparsi.

Purtroppo l'infestazione non riguarda solo il mio appartamento, ma tutto il palazzo, a causa delle caditoie dell'immondizia. Qui non esistono amministratori condominiali, nè tanto meno disinfestatori esperti a cui rivolgersi, quindi ognuno fa da sè. 
Questo per dire che sapevo che la pace non sarebbe durata per sempre.

Un giorno, circa un mese fa, stavo preparando la cena. Avevo appena affettato le verdure, e stavo per cuocere la pizza. Con le mani tutte piene di farina apro lo sportello per prendere una pentola... e vedo un grosso scarafaggio che si sta allegramente arrampicando sullo scolapasta. 
Quanto alla pentola che mi serviva, beh, era stata usata come gabinetto. 
Quale momento migliore della preparazione della cena per fare una scoperta del genere? Ah, le pentole, ci tengo a dirlo, erano tutte pulite, asciugate e prive di residui di cibo.

Circa due settimane fa ero in un centro commerciale, seduta su un morbido divanetto imbottito della Food Court, intenta a scrivere al computer. Ad un tratto un gruppo di passeri ( perchè sì, nel centro commerciale vive uno stormo di passerotti, tutti obesi a causa delle briciole di cibo dei fast food) si è messo a becchettare sul pavimento non lontano da me, pigolando.
- Che carini - ho pensato - forse mi stanno chiedendo delle bricioline..
Li ho guardati intenerita per qualche minuto, quindi mi sono girata e ho ripreso a scrivere.. ma con la coda dell'occhio ho visto qualcosa che si muoveva sul divanetto accanto a me. Mi giro, e vedo una blatta. Non una di quelle che ho in casa, ma una Supella, più piccola. Sempre blatta è comunque, e stava a circa 10 cm di distanza dalla mia gamba, chissà magari anche lei in attesa del cibo.

Tre giorni fa ero in un locale molto carino, che è sia negozio che caffè e ristorante. Stavo sorseggiando una tazza di tè, quando mi cade l'occhio su qualcosa che corre lungo uno scaffale... un'altra Supella, o forse una Blattella. Comunque, sempre uno scarafaggio.
A volte mi viene da pensare che magari le blatte non ci sono, ma la mia mente, ancora sconvolta dalle passate esperienze, mi propone allucinazioni scarafaggesche e varia anche la specie, per non annoiarmi. Chissà.


Ieri sera ero a letto che leggevo. Mi alzo per andare in bagno, e come muovo il lenzuolo vedo nel letto, all'altezza dei piedi, qualcosa che assomiglia tanto ad un escremento di blatta.
- Ok, mi sto fissando. Figuriamoci se quello è davvero quello che penso. Assolutamente, la devo smettere con queste idee. Sarà una pallina di lana, o della polvere, qualcosa che mi è rimasto attaccato ai piedi.
L'ho tolto e me ne sono andata a letto tranquilla. 

Stamattina, quando mi sono alzata, c'erano vari escrementi di scarafaggio sul pavimento, esattamente nel punto in cui poggio i piedi quando mi alzo dal letto. Un'azione che alle 5 del mattino faccio senza troppa attenzione.
Accidenti a loro. La guerra ricomincia.

giovedì 16 agosto 2012

Non voglio un nuovo aspirapolvere

La mia casa è piena di spifferi. Le finestre sono state montate con i piedi, e si vede benissimo la fessura tra il metallo e l'infisso. 
Questo vuol dire che ogni volta che soffia un filo di vento la sabbia entra, e si deposita ovunque. 
Qualche giorno fa, passando l'aspirapolvere sotto la finestra della cucina per togliere lo strato che si deposita durante la notte, ho sentito il mio fidato elettrodomestico fare un rumorino strano, del tipo il-sacchetto-è-pieno-per-favore-cambialo.

Due giorni fa siamo andati in città, e mentre mio marito era al lavoro io sono andata in uno dei centri commerciali più grandi, per comprare i sacchetti.
Entro, mi dirigo verso un enorme negozio di elettronica, vado nel settore elettrodomestici e mi guardo intorno. Niente. Individuo un commesso, e gli chiedo se vendono i sacchetti per il mio aspirapolvere. 
Lui mi guarda perplesso.
- Ma no signora, i sacchetti non servono!
Gli faccio notare che a me servono eccome. 
- Beh, noi non li vendiamo... ma se vuole può comprare un nuovo aspirapolvere, guardi, questo modello ha un sacchetto omaggio!

Esco dal negozio, ed entro nell'enorme ipermercato che vende un po' di tutto. Vado nel settore elettrodomestici, individuo un commesso e gli pongo la solita domanda.
Lui mi guarda perplesso.
- No, mi spiace. Non abbiamo prodotti di quella marca. Però se vuole qui ci sono un sacco di altri aspirapolveri. Perchè non ne compra uno?

Raggiungo in taxi un secondo centro commerciale, grande e lussuoso. Entro nell'enorme negozio di elettrodomestici al secondo piano, e cerco un commesso, rivolgendogli la solita richiesta.
- Come, sacchetti? io non ho mai sentito che i sacchetti vadano cambiati. E' sicura di doverlo fare?
Lo rassicuro su questo punto.
- Ah, capisco... purtroppo non posso aiutarla. Potrebbe però comprare un nuovo aspirapolvere.

Entro nell'ennesimo negozio. Individuo il commesso, che mi spedisce nella zona di assistenza clienti.
L'impiegato di turno mi guarda, sorride, e chiede come può aiutarmi. Gli espongo il mio problema.
- Eh, in effetti qui i sacchetti non si trovano facilmente.. dovrebbe chiamare direttamente la casa produttrice e farseli spedire.. oppure guardi, ora che ci penso può andare al primo piano, da "Hero". Lì ci sono senz'altro.

Prendo le scale mobili, scendo al primo piano, ed inizio a scarpinare per i corridoi. Il centro commerciale è grande, ma dopo mezz'ora il primo piano non ha più segreti, per me.
Purtroppo non solo non ho trovato "Hero", ma non ho incontrato nemmeno nessun negozio che potesse vendere quello che sto cercando. 
Mi dirigo verso il punto informazioni, e scopro che in tutto il centro commerciale non c'è nessuna attività commerciale con quel nome, e l'unico posto dove potrebbero avere qualcosa è il punto vendita dove sono già stata.

A quel punto era tardi, e sono dovuta andare via, cercando di allontanare la sensazione di essere stata presa in giro.
Chiamerò la ditta produttrice, e chiederò se possono spedirmi i sacchetti.
Ovviamente non sarà facile, visto che l'elenco telefonico qui non esiste e le poste sono un macello. Cercherò su internet, ma ho già il presentimento che il sito sarà in Arabo...

mercoledì 8 agosto 2012

L'ultima tappa della caccia al tesoro


Finalmente una tappa a cui riesco a partecipare! 
Purtroppo non seguo blog di viaggi, di fotografia o di poesia, quindi me ne sono rimasta in un angolino aspettando l'occasione giusta.
Questa è arrivata con l'ultima tappa della caccia al tesoro di Mammafelice, ovvero la presentazione di un blog straniero.
In Inglese ne seguo parecchi e la scelta è stata davvero ardua, ma dopo averci pensato un po' ho deciso di parlarvi di Working London Mummy.
La creatrice del blog ha una vita piena e impegnatissima, come lo è quella di tutte le mamme che lavorano.
Questo però non le impedisce di pubblicare favolose ricette, anche in collaborazione col marito, ex-cuoco.
Una delle mie preferite è quella dei ravioli al cioccolato, ma i suoi post sono ricchi di spunti, consigli ed idee che mi permettono di realizzare piatti davvero particolari.
Insomma, un blog tutto da leggere. E da assaporare.

martedì 7 agosto 2012

Ramadan Kareem

Ramadan Kareem è la frase che capita di leggere e sentire ovunque, in questi giorni. La trovi scritta sui manifesti, sulle vetrine dei negozi, persino sugli scontrini. La senti dire alla gente per strada, la auguri tu stesso ai tuoi amici musulmani, e la radio la ripete ossessivamente.
E' l'augurio di passare un buon Ramadan, o più esattamente "che il Ramadan sia generoso con te".  
Siamo nel mezzo del mese sacro per i Musulmani, e parenti ed amici mi chiedono preoccupati e perplessi come sia vivere in un paese islamico in questo periodo.
Non è nulla di tremendo, ve lo posso assicurare. La legge del paese vieta a chiunque di bere o mangiare in pubblico durante le ore diurne, pena multe salatissime, ma basta usare un briciolo di intelligenza per sopravvivere senza problemi.
Innervosirsi per la costrizione a seguire i dettami religiosi è assolutamente inutile e controproducente. Questa è una di quelle cose che occorre solo accettare e capire. 
Anche perchè, una volta lasciati i pregiudizi, si può fare l'esperienza di una festa davvero particolare e molto sentita, come lo è in Occidente il Natale.
Ricordo i commenti dei nostri amici ancora prima che il Ramadan iniziasse:
- Mancano pochi giorni, non vedo l'ora! - ci dicevano con emozione e gli occhi che scintillavano.
Poi le strade si sono riempite di luminarie a forma di mezzaluna, di stella e di lanterna, i centri commerciali hanno iniziato a fare offerte speciali ( "Compri oggi, paghi a Ramadan 2013!") e facendo una ricarica al cellulare ho ricevuto un "bonus-Ramadan" pari a metà della cifra che ho speso. 
Quanto al digiuno, i Musulmani lo vivono con gioia, perchè tramite quello si avvicinano alla divinità. 
Lo so, non è facile capire. Qui c'è una spiritualità fortissima che ti pervade, e ti fa quanto meno considerare con il massimo rispetto questa festa.
Il momento più bello è alla sera, poco prima dell'Iftar, il pasto serale che rompe il digiuno.
Qualche giorno fa io e mio marito eravamo in un centro commerciale poco prima delle 19, e siamo passati in mezzo alla zona dei ristoranti. Ci siamo fermati a guardare, affascinati.
I tavoli erano tutti pieni, ma i piatti, non essendo ancora l'ora, erano tutti vuoti. 
Gli avventori erano tutti in silenzio, concentrati, aspettando di poter ringraziare Allah per la giornata di digiuno e per il cibo che stavano per assaporare.
Poi, all'improvviso, nei corridoi sì è diffuso il canto del muezzin della vicina moschea. 
Il cibo ha cominciato ad arrivare sui tavoli, gli avventori hanno ricominciato a parlare, e il digiuno giornaliero è stato rotto, con gioia. 
Siamo rimasti a guardarli per un minuto o due, poi ci siamo seduti anche noi e abbiamo mangiato con loro, in un'atmosfera simile a quella del pranzo di Natale.

lunedì 30 luglio 2012

Una favola moderna

C'era una volta una bambina di nome Phaedra, che frequentava la seconda media. Amava le piante, gli insetti e le stelle e le piaceva molto scrivere. Un giorno, all'inizio dell'anno scolastico, la professoressa di Inglese portò in aula dei cartoncini. 
- Oggi ho una sorpresa per voi - disse l'insegnante - qui ci sono i nomi e gli indirizzi di alcuni ragazzini stranieri che vorrebbero corrispondere con voi in Inglese. Qualcuno è interessato ad avere degli amici di penna?
Phaedra non amava molto l'Inglese, ma era affascinata dall'idea di entrare in contatto con altre culture, così si fece avanti e prese due cartoncini.
- Li avete presi tutti? - chiese la professoressa.
- Sì, li abbiamo presi - disse una compagna di classe di Phaedra - ma chissà se questi bambini ci risponderanno!
- Chissà! - disse l'insegnante - potrebbero non ripondere, oppure magari lo faranno e diventerete amici. Una volta ho letto la storia di due ragazzi che si sono conosciuti così e poi si sono sposati. Non si può mai sapere!
A Phaedra erano toccati in sorte una bambina russa e un ragazzino inglese. Scrisse ad entrambi, ma non ottenne mai una risposta.

Gli anni passarono. Phaedra finì le medie e cominciò il liceo classico. L'Inglese continuava a non piacerle, e si iscrisse alla sezione tradizionale, che prevedeva lo studio delle lingue straniere solo nei primi due anni. Per varie circostanze dovette però cambiare classe, e studiò Inglese (con scarsi risultati) per tutti e cinque gli anni.
Il liceo finì, Phaedra fece varie esperienze universitarie e si laureò. Quasi per caso decise poi di iscriversi ad un corso di Inglese, per migliorare le proprie conoscenze linguistiche. A quel corso ne fece seguito un altro, e poi ancora un terzo. 
Nel frattempo Phaedra aveva scoperto su internet un sito per trovare amici di penna, e pensò che era una buona occasione per migliorare ulteriormente il suo Inglese. Questa volta le risposero quasi tutti, e lei si ritrovò a parlare della propria città e della propria vita con perfetti sconosciuti. C'era la ragazza australiana, che le raccontava la propria vita nel Queensland, il ragazzo texano che le parlava dei rodei e tanti altri. 
Nel frattempo la vita di Phaedra andava avanti, continuò a studiare ed iniziò a lavorare. L'unico fronte sul quale non c'erano sviluppi era quello sentimentale. Non c'erano mai stati sviluppi, e lei si era ormai convinta che sarebbe rimasta sola per tutta la vita.
Tra i suoi corrispondenti c'era un ragazzo della costa occidentale degli Stati Uniti che era molto carino e gentile, e riusciva ad indovinare al volo i suoi stati d'animo. Ma era solo un corrispondente, viveva a migliaia di chilometri di distanza, e Phaedra non si faceva illusioni.
Un giorno però, dopo pochi mesi di corrispondenza lui le disse che era interessato a lei. 
- Se anche tu fossi interessata, ti chiedo una cosa - le scrisse lui - potresti non uscire con nessun ragazzo finchè non riusciamo a vederci?
Lei promise senza problemi. Non c'erano ragazzi con cui sarebbe potuta uscire.
I mesi passarono. Lui si trasferì a lavorare in Medio Oriente. Un giorno le disse che aveva una settimana libera, e poteva venire a trovarla. 
Lei non riusciva a crederci. Razionalmente era sicura che questo genere di cose non potessero accadere davvero, e cercava di non illudersi. 
- Lo dice tanto per dire - pensava - Non verrà. E se dovesse davvero arrivare scoprirò che è una persona completamente diversa da quello che immaginavo. 
Ma lui parlava seriamente, e pochi giorni dopo le scrisse il giorno e l'ora in cui il suo aereo sarebbe atterrato.
Il giorno stabilito lei andò in aeroporto, in preda ad una terribile agitazione. La sua fervida immaginazione aveva creato almeno una ventina di motivi diversi per cui lui poteva aver speso centinaia di dollari per volare in un altro continente per incontrare una tizia conosciuta su Internet.
Magari era un serial killer. Oppure un sessantenne calvo, che le aveva mandato le foto di qualcun altro. O magari un sociologo che voleva studiare con quanta facilità le ragazze sceme abboccano a questo genere di cose. Le idee più strane le frullavano per la testa.
Poi le porte si aprirono, e lui era lì. Si guardarono per la prima volta negli occhi, si abbracciarono e si strinsero forte.
Lui stette a casa di lei per una settimana. Una settimana bellissima. Meravigliosa, incantevole. Lui non era solo la persona fantastica che lei aveva conosciuto online, ma molto di più. 
Al momento della partenza piansero tutti e due come fontane.
Esattamente una settimana dopo, in chat, lui le chiese di sposarlo, e lei per poco non cadde dalla sedia. 
- Sei sicuro che vuoi sposare me? - gli chiese. Probabilmente non era la risposta giusta da dare, ma l'emozione era troppa.

Decisero di sposarsi sei mesi dopo, in estate. Lei iniziò i preparativi, e lo disse ad amici e parenti.
Ci fu chi la incoraggiò, chi inaspettatamente fu dalla sua parte e chi le disse senza peli sulla lingua che forse era meglio aspettare ancora un po'.  Ci fu chi si sedette su un divano con un sorrisino ironico negli occhi, chi fece alle sue spalle crudeli scommesse su quanto il matrimonio sarebbe durato.
Lei ascoltò tutti, e poi fece di testa sua, come sempre. 
Lo sposò, e appena potè si trasferì in Medio Oriente insieme a lui, in una casa piena di scarafaggi e muri gocciolanti.

Oggi è passato esattamente un anno da quando la ragazza italiana e il ragazzo americano si sono detti "Sì".
Lei ha imparato a destreggiarsi in un paese completamente diverso, e nella vita quotidiana parla esclusivamente Inglese.
Non possiede la sfera di cristallo, e non è in grado di dire quello che le riserverà il futuro. Può solo dire che se tornasse indietro sposerebbe ancora il suo principe altre cento, mille, diecimila volte.
Perchè da quando è con lui, la sua vita è diventata meravigliosa. Come in una favola.

domenica 22 luglio 2012

Lo strano sapore delle mele

(Avvertenza: questo non è il seguito del post in cui parlo di cosa amo di questo paese, quello lo sto ancora scrivendo.)

Ogni volta che vado a fare la spesa, sia in città che qui nel paesino sperduto, mi viene spontaneo pensare a quelle comodità che in Occidente sono normali, mentre qui non sono mai ovvie. 
Mi riferisco in particolare alla professionalità. Hai bisogno di un idraulico? In Italia basta prendere le pagine gialle e cercarne uno. Possono capitare inconvenienti, ma di solito la persona che arriva a casa tua è qualcuno che conosce il proprio mestiere, e si destreggia abbastanza bene tra tubi e bulloni. 
Ho già raccontato QUI la mia esperienza a riguardo.
Il problema è che da queste parti la maggior parte dei lavori sono svolti da persone che non avevano nessuna esperienza in quel particolare settore, e all'arrivo nel paese si sono improvvisati idraulici, sarti o parrucchieri da un giorno all'altro. 
Questo discorso (fortunatamente) non vale in campo medico, dove anzi, si trovano medici ottimi e di estrema competenza.
Ora, io capisco perfettamente che quando si arriva in un paese straniero c'è l'ovvia urgenza di trovare un lavoro, sia per mantenere se stessi che per provvedere al sostentamento della famiglia rimasta in patria. 
Forse sarebbe opportuno scegliere un'occupazione di cui si è già esperti, o per lo meno un'attività per cui si abbia una qualche attitudine, ma non voglio sindacare su questa questione. 
Il fenomeno è comunque vasto, e se in alcuni casi l'inesperienza può arrecare danni, in altri può anche essere innocuo e a volte divertente.
Ogni volta che in un supermercato entro nel reparto di ortofrutta non manco mai di notare come spesso i nomi dei vari vegetali siano sbagliati. Bietole classificate come spinaci, lime come limoni, e così via. 
Magari è un problema di lingua, non dico di no, però ci si può sempre documentare..
Ieri siamo stati al supermercato. Abbiamo comprato una confezione di pesche classificate come "sandra". Chissà se "sandra" è il corrispondente per "pesca" in qualche lingua o è un lapsus del tizio delle etichette, magari impegnato a pensare alla sua ragazza.
Quanto alle mele, niente da dire, non erano male. Sapevano di mandarino, ma erano buone.


giovedì 12 luglio 2012

Cosa mi piace di questo paese


Nel post della presentazione alla caccia al tesoro ho accennato alle meraviglie di questo paese, e mi sono resa conto solo ora di non averne mai parlato. Lo so, leggendo il mio blog questo posto sembra il regno della disorganizzazione e dell'incompetenza, tutt'altro che favoloso.
Eppure anche qui, in questo desertico paese, ci sono delle cose meravigliose e ho deciso di scrivere un post per raccontarle.

La natura.
Questo primo punto è scontato. Che il deserto abbia un suo fascino magico e misterioso è risaputo, ma finchè non l'ho visto con i miei occhi non me ne sono resa conto pienamente.
Non ci sono parole per descrivere quello che la sabbia può fare. Ci sono dei punti dove, viaggiando sulla strada, sembra di essere dentro ad una coppa di gelato, appena appena sciolto. Le dune sono morbide, vellutate, sembra quasi un tessuto.
In altri punti invece il vento ha accumulato i granelli creando margini netti, spigolosi, apparentemente taglienti e affilati, come se la duna fosse stata scolpita nel marmo.
E poi, i colori. La sabbia non ha le stesse sfumature ovunque, ma va dal bianco perlaceo al rosso vivo, un arcobaleno di tinte che è una gioia per gli occhi. Come essere dentro ad una variegato all'amarena.
Poi, benchè la flora sia carente, la fauna è strepitosa. Il mare pullula di conchiglie di ogni dimensione, colore e forma, l'acqua è cristallina, sugli scogli ci sono infiniti animaletti, dai granchi alle stelle marine.
Passeggiando nei giardini pubblici si possono avvistare lepri del deserto, pernici e una marea di uccelli, per non parlare delle orme sulla sabbia, che testimoniano un mondo animale ben più ricco.

L'ospitalità.
Il senso di ospitalità degli Arabi è speciale, impossibile paragonarlo all'Occidente.
“Fai come se fossi a casa tua” è una frase fatta che per me in Italia non si è mai realizzata. Per quanto una persona possa essere accogliente, non ho mai sentito “mia” la casa di un estraneo.
Questo qui non succede. Nel momento in cui entri nella casa di un Arabo, ti senti davvero a casa tua, o meglio, ti senti parte della sua famiglia. E' una sensazione bellissima, difficilissima da spiegare a parole a chi non l'ha provata.
Inoltre, nella cultura locale non essere in compagnia è una sciagura tremenda. Ho passato qui una settimana senza mio marito, ma grazie alle mie amicizie arabe non mi sono mai sentita sola. Sono con te quando li desideri, senza mai essere invadenti.

La cucina.
Questo punto è soggettivo. Io adoro la cucina del Medio Oriente. Adoro la crema di ceci e quella di melanzane, gli involtini di foglie di vite ripieni di riso, il kebab di agnello. Adoro la pasta di semi di sesamo che costituisce la base di molti dolci e salse salate.
Inoltre, benchè quando vivessi in Italia non fossi un'appassionata, da quando sono qui ho scoperto le spezie. L'amarognolo dei semi di cardamomo usati per aromatizzare il caffè, il sapore fresco e piccante dello zenzero, la deliziosa fragranza di limone del sumac. I mercati di spezie sono dei posti favolosi, dove l'occhio si bea del contrasto tra il rosso scuro del peperoncino e il giallo della curcuma, mentre i profumi deliziano l'olfatto.

I profumi.
I profumi arabi, sia quelli maschili che quelli femminili, sono composti da varie fragranze, miscelate tra di loro. Sono una cosa strepitosa, ti prendono il naso e lo portano via. Mi capita spessissimo di incrociare le scie profumate di quelli che mi stanno camminando davanti, ed ogni volta è un'esperienza sensoriale fantastica. Hanno un costo relativamente alto, ma ne vale davvero la pena.

I prezzi.
Non voglio essere prosaica o materialista, ma sicuramente questo è uno dei vantaggi di vivere in questo paese. Qui non c'è l'inflazione, e lo stato non ha nessun problema economico. 
Per fare un esempio, il pieno di benzina per la macchina( 33-35 litri) costa intorno agli 11 euro, e mi fermo qui.

C'è ancora un sesto punto di cui voglio parlare, ma ho così tanto da dire sull'argomento che lo rimando al prossimo post.


giovedì 5 luglio 2012

Caccia al tesoro

I blog sono come le ciliegie, incominci a leggerne uno e ne scopri cento altri, e la lista dei post da leggere si allunga sempre di più. Da quando ho scoperto questo mondo variegato e coloratissimo sono sempre alla ricerca di nuove storie, nuove realtà, nuovi pensieri e orizzonti.
Oggi ho scoperto Mammafelice, e girellando tra i vari post ho scoperto che è in corso una caccia al tesoro davvero particolare, che porterà alla scoperta di nuovi blog. Che dire? è un'idea fantastica, non me la posso davvero perdere.
Eccomi dunque qui, alle prese con la prima tappa, ovvero scrivere un post in cui racconto qualcosa di me.

Carta di identità:
Trent'anni, arrivati di soppiatto senza che me ne accorgessi. Sposata con un Americano, da Gennaio mi sono trasferita in Medio Oriente. Adoro il cielo stellato, i fiori profumati e i colori delle farfalle.
Sto cercando un lavoro, e nel frattempo coltivo i miei hobbies: cucinare, leggere e, naturalmente, scrivere.


Nome del blog e obiettivi:
From another point of view, diario di una farfalla curiosa. Quando il blog è nato, un anno fa, il titolo alludeva solo al fatto che i post riguardavano il mondo dal mio punto di vista, potenzialmente diverso da quello degli altri. Oggi è diventato qualcosa di differente, la cronaca della vita in un paese dove il mio punto di vista di donna occidentale è sempre "diverso", e si mescola a quelli, totalmente differenti, della società eterogenea di questo paese.


Un buon motivo per seguirvi:
Vivere all'estero è sempre una sorpresa. Qui lo è più che mai, in un Paese completamente diverso per lingua, abitudini, cultura, religione, temperatura e mille altre cose. Tutto quello che in Occidente è normale qui non lo è, ma in cambio questo posto riserva fantastiche sorprese.


Due post che vale la pena leggere:


Come seguirvi (newsletter, FB, twitter…):
Per ora solo unendosi ai lettori del blog tramite l'apposito tasto o tramite newsletter, ma a breve aprirò una pagina facebook.


Indirizzo RSS feed:
Credo sia questo: http://farfallacuriosa.blogspot.com/feeds/posts/default
NB: non ne sono sicura. Se poi il link di cui sopra porta ad un sito di compravendita di salamandre maculate, io non c'entro.

domenica 1 luglio 2012

Post impopolare

Attenzione, questo post parla di calcio, esprime idee impopolari e può urtare la sensibilità di qualcuno. Ecco, l'ho scritto. Ora non ditemi che non avevo avvertito.

Ogni mattina, finito di rassettare la casa do un'occhiata a Internet. La posta, i blog che seguo, le principali notizie dei quotidiani. Due giorni fa apro la homepage del mio quotidiano preferito, e in alto, bene in evidenza, campeggia la notizia che l'Italia ha sconfitto la Germania. 
Questa scelta editoriale (comune a diverse testate giornalistiche) non mi fa impazzire, al primo posto preferirei una notizia politica o economica e non certo lo sport, ma in fin dei conti è un riquadro piccolo, pur con numerosi link ad approfondimenti vari.
L'ultimo sito che apro è Facebook. Non amo particolarmente questo social network, lo uso più che altro per i giochi, ma lo trovo un interessante specchio della società. Percorrendo la bacheca si individuano le notizie che hanno più colpito gli utenti, la musica preferita, i nuovi trend, e così via.
La notizia che campeggia su tutte è, naturalmente, la vittoria della squadra italiana. Ci sono improbabili vignette di Angela Merkel che commenta ( in Italiano, ovviamente) la sconfitta, frasi racchiuse dentro grossi cuori, fotografie ritoccate e piene di glitter luccicanti, e, su tutto, una moltitudine di bandiere tricolori.

Sono seria e impopolare: la bandiera l'avrei lasciata in pace. Non la esporrei, non la userei per proclamare una vittoria sportiva di questo tipo. 
La bandiera rappresenta il nostro Paese, il nostro orgoglio di essere Italiani. Quel tricolore è la nostra Storia, quella con la S maiuscola. Il suo rosso è anche quello del sangue delle migliaia di persone che sono morte per fare dell'Italia  lo stato che è oggi, unito e libero da dominazioni straniere. 
Ormai le guerre di indipendenza sono un ricordo lontano, il Risorgimento è diventato solo un noioso capitolo del libro di Storia, e leggere Cuore non va più di moda, ma non posso fare a meno di fare il paragone tra l'Italia di oggi, che espone la bandiera per una vittoria calcistica, e la piccola vedetta lombarda, il bambino che veniva avvolto dal tricolore per essere morto per il suo Paese.
In Italia è normale: appena la nazionale di calcio ha una vittoria, le finestre, i terrazzi, a volte anche i muri e i marciapiedi si riempiono di tricolori.
Perchè non si espone invece la bandiera quando un ricercatore Italiano fa una scoperta importante, quando un connazionale vince un premio Nobel, o, semplicemente, quando andiamo alle urne per scegliere il partito che dovrà guidarci?


Ancora peggio sono i video caricati su Youtube, che mostrano persone riversarsi nelle strade a piedi, in moto, in macchina, con la bandiera in mano e in preda ad un'incredibile euforia, come se da quella vittoria dipendesse la loro vita o fosse merito loro.

Io non riesco a capire il rapporto che gli Italiani hanno col calcio. E' diventata una valvola di sfogo, qualcosa dove veicolare sentimenti che dovrebbero invece essere propri di altri eventi, più "personali".
A me lo sport piace, davvero. Mi piace la ginnastica artistica e ritmica, il pattinaggio, i tuffi, il nuoto. Guardo con piacere le Olimpiadi, mi piace ammirare la bravura dei singoli atleti, a prescindere che siano Italiani o meno. Sono contenta quando qualcuno bravo vince una medaglia perchè la merita.
Il calcio, sinceramente, non mi fa impazzire. Soprattutto ai giorni nostri, dove in campo sembra che spesso invece degli atleti giochino montagne di soldi, per assoldare questo o quel giocatore o per comprare l'esito della partita.

Perdonatemi questo post impopolare. Per chiudere, condivido con voi la fantasia che mi passa davanti agli occhi ogni volta che vedo esposta una bandiera italiana per una vittoria calcistica.


Dicembre 2002. Riccardo Giacconi, ricercatore italiano, viene proclamato Premio Nobel per la Fisica per i suoi studi sulle sorgenti cosmiche di raggi X. Gli Italiani, che hanno seguito a milioni l'evento incollati davanti al televisore, si riversano nelle strade, con la bandiera sventolante.
"Giacconiiiiiiiiiiiiii, ha vinto Giacconi!!! Il Nobel quest'anno è nostroooooooooooo!!!"
Lo so, non è accaduto e non accadrà mai. Ogni tanto però mi piace immaginarlo.




mercoledì 20 giugno 2012

Ingredienti, che nostalgia!

Ieri, frugando nel'armadio alla ricerca di un libro da leggere nei momenti di noia, ho trovato un vecchio numero della mia rivista di cucina preferita. L'ho guardato, sospettosa, indecisa se rileggerlo o continuare la mia ricerca. 
Le riviste di cucina italiana qui sono pericolose, possono aprire squarci e alimentare ricordi di profumi e sapori, facendo scorrere fiotti di nostalgia. Se da un lato sono pericolose, dall'altro però sono anche piacevoli, e possono essere un prezioso spunto per creare nuovi piatti, o per riportare alla mente ricette ormai dimenticate.
Sono rimasta un attimo in forse, con il giornale in mano, indecisa se leggerlo o no, poi ho chiuso l'armadio e mi sono diretta verso il salotto.
Apro la rivista. Un articolo sui cibi biologici a "Km 0", uno sul corretto uso di un ipermoderno frigorifero multipiano, pubblicità di invidiabili attrezzature che fanno capolino tra le pagine. Le ricette hanno solleticato la mia fantasia e la mia creatività, ma nemmeno una era realizzabile. Ho chiuso il giornale, rimpiangendo di non aver optato per una lettura più innocua.
A volte mi viene da pensare che forse, invece che in un altro continente sono finita su un pianeta alieno, dove menti completamente diverse dalla mia hanno ideato la cultura e le regole sociali di questo desertico paese. 
Per quanto riguarda la cucina, qui la parola magica è "adattamento", in quanto gli alimenti sono ben diversi da quelli a cui siamo abituati.
Cominciamo dalle uova. In Italia la data di scadenza è un mese dopo la deposizione. Se devo fare una crema, tipo uno zabaione o una pasticcera, so che posso contare sulle uova extra fresche, deposte meno di una settimana prima. Qui le uova scadono dopo tre mesi dalla deposizione. Tre mesi. Non solo le uova fresche non ci sono, ma la maggior parte delle volte quelle che trovo in commercio hanno già un mese di vita. Le uso, perchè non c'è altro, ma non posso fare a meno di pensare che in Italia sarebbero già da buttare, e vorrei capire se è solo una diversa interpretazione del concetto di "fresco" o se qui alle galline danno da mangiare dei conservanti.
Delle erbe aromatiche, mie preziose alleate in cucina, qui si trova solo il prezzemolo. Il basilico, il timo, il rosmarino, l'alloro e la salvia sono irreperibili. In qualche supermercato molto fornito si può trovare qualcosa in polvere, ma, a parte i prezzi stratosferici, il sapore è inesistente.
Vino e derivati del maiale qui hanno un'esistenza tutta speciale, a causa dei dettami religiosi. Il vino e gli alcolici in generale, tanto utili in cucina, vengono venduti solo in speciali negozi dai vetri oscurati, un po' discosti dalle vie più frequentate, e per comprare qualcosa occorre procurarsi una costosa licenza. 
Quanto al maiale, la leggenda dice che nei supermercati c'è un settore dove si vendono carni e derivati suini, ma io questo speciale reparto non l'ho mai visto, per quanto l'abbia cercato a lungo. 
I salumi si trovano comunemente nel banco frigo, ma si tratta di "falsi": il prosciutto è fatto col tacchino, la mortadella è di vitello, e così via. A parte la quantità di conservanti che contengono, il sapore è ovviamente completamente diverso.
I formaggi sono pochi, e completamente diversi. La ricotta è ovviamente importata, e si trova raramente. Inoltre, poichè viene acquistata dai supermercati una volta al mese, conviene andare nei primi giorni, onde trovare prodotti freschi. Negli ultimi giorni di solito è esaurita, e se se ne trova ancora qualche confezione la data di scadenza è dopo un giorno o due. La mozzarella viene venduta solo in due supermercati, e si trova molto raramente, e non parliamo del parmigiano. I formaggi locali sono pochi, e sono di solito cremosi, una via di mezzo con lo yogurt.
Per quanto riguarda la frutta e la verdura, qui il concetto di "biologico" o di "Km 0" deve fare i conti col fatto che siamo nel deserto, e quindi, purtroppo, comprare prodotti importati da altri paesi è la regola. 
Il coniuge stravede per i frutti di bosco, e ogni volta che si va in città questi sono un acquisto fisso. Ogni volta che li devo lavare mi vengono i brividi: in Italia sono frutti delicatissimi, che spesso dopo qualche ora hanno già la muffa. Qui sono importati dagli Stati Uniti o dall'Australia, e anche dopo una settimana sono sempre lucidi e brillanti.
La verdura arriva soprattutto dalla Spagna, dalla Giordania, dall'Egitto e dalla Cina, e per quanto la lavi a lungo e con cura ho sempre il dubbio su quello che sto mangiando, e coltivo il sogno di un piccolo orto dove crescere verdure senza pesticidi e conservanti.
A dire il vero anche qui c'è la verdura biologica, ma è poca e difficilissima da trovare. Nelle oasi ci sono delle fattorie che producono verdura biologica, ma il sito internet non è aggiornato e non si sa dove vendano i loro prodotti.
Tutto questo discorso ovviamente vale solo per la città, distante 180 km. Qui nel paesino sperduto fare la spesa è un'impresa, e molti dei prodotti che in Italia sono in vendita anche nel più piccolo negozietto qui non si trovano, tipo il burro.
Ci sono almeno otto tipi di yogurt diversi, da quello praticamente solido a quello liquidissimo, ma niente formaggi degli di questo nome, solo dei "preparati" pieni di additivi e conservanti.
La scelta di frutta e verdura è molto limitata, e tantissime cose si trovano solo saltuariamente.

Non parliamo poi delle attrezzature da cucina: il mio forno, a gas, con bombola vicino alla finestra, cuoce senza bruciare, ma seccando terribilmente tutto. A nulla vale inserire nel forno un recipiente con dell'acqua, cuocere al minimo e nel ripiano più alto: il risultato è invariabilmente molto croccante ( quando va bene) e bianco in superficie. Sul frigo mi sono già dilungata in un post precedente. 
Insomma, un altro mondo. Anche quando, raramente, riesco a reperire gli ingredienti giusti resto comunque delusa, perchè i sapori non sono gli stessi.
Forse la cucina italiana si può fare solo in Italia, e all'estero occorre rassegnarsi a sapori e ad aromi diversi, accontentandosi di sognare sfogliando le pagine di una rivista.