mercoledì 30 gennaio 2013

Le chiavi e la capra

Ieri mio marito è stato a B., il villaggio con più cammelli che uomini dove potremmo prossimamente trasferirci.
E' andato dal custode delle chiavi degli appartamenti, e gli ha chiesto se fosse possibile visitarne qualcuno. L'uomo gli ha dato due chiavi, ognuna con la sua targhetta sopra, e lo ha avvisato che a volte la serratura è un po' dura e occorre dare qualche colpetto alle porte. 
La prima chiave era rossa, e recava la scritta "edificio A, appartamento 12B". Da queste parti le strade non hanno nome, quindi per identificare una certa costruzione si usano le lettere dell'alfabeto, o i numeri, o una combinazione di entrambi.

Si è recato all'edificio A, e ha trovato la porta del 12B. Ha inserito la chiave, ma non riusciva a farla girare. Seguendo i consigli ricevuti ha cominciato a dare qualche colpetto alla porta... finchè da dentro l'appartamento non è arrivato l'urlo della donna araba che ci abita, convinta che un malintenzionato stesse cercando di entrare.
La targhetta sulla chiave era sbagliata.
Il coniuge si è profusamente scusato, ed è scappato via in preda all'imbarazzo.
Ha pensato che forse avevano sbagliato a scrivere, e non doveva andare nell'edificio A, ma nel B.
Ha raggiunto l'edificio B, ha trovato l'appartamento 12B e ha provato ad infilare la chiave nella serratura. Era la chiave giusta, e la porta si è aperta.
All'interno spazzatura ovunque, e una quantità incredibile di scarafaggi, uova ed escrementi dei medesimi. Si è affrettato a chiudere la porta e ad andarsene.

La seconda chiave era azzurra, e la targhetta indicava un appartamento dell'edificio B. Memore dell'esperienza precedente si è recato direttamente all'edificio A, ma la chiave non girava nella serratura. E' tornato all'edificio B, e ha cercato l'appartamento indicato. Fuori dalla porta c'era uno zerbino con evidenti tracce di sabbia, segno che qualcuno abita già quell'appartamento.
Ha provato a chiedere informazioni.
- Ah sì, quell'appartamento è abitato. Ci vive una famiglia che prima abitava al 15C, e poi si è spostata.
- Ma come ha fatto a spostarsi se la chiave ce l'ho io? - ha chiesto il coniuge, perplesso.
- Ah, è facile. Basta distruggere la serratura e procurarsene una nuova, con chiave annessa, e poi avvertire il custode. Fanno tutti così.
Il coniuge è allora andato a cercare il capofamiglia dell'appartamento "occupato", per chiedergli dove fossero le chiavi del 15C, e come mai avesse deciso di cambiare appartamento. 
L'uomo gli ha detto che le chiavi erano presso un ufficio. Il coniuge si è recato nel posto indicato, e gli sono state consegnate le chiavi, e il consiglio di andare a visitare anche il palazzo D, dove sembra ci siano diversi appartamenti liberi.

Il 15C non era male, tutt'altro. I muri erano stati pasticciati dai bambini e i pensili della cucina avevano la muffa, ma non c'erano scarafaggi nè perdite d'acqua, quindi insomma, considerando gli standard era un buon appartamento.
Gli era però venuta la curiosità di vedere gli appartamenti dell'edificio D, di cui uno sembra che non sia mai stato abitato. La chiave però - chi l'avrebbe mai detto? -  non apriva la porta.
Ora sono stati presi accordi con qualcuno che verrà a distruggere la serratura, così si potrà vedere l'appartamento.

- Capisco.. - ho detto sconvolta, al termine del resoconto - toglimi una curiosità: quanti Occidentali vivono a B.?
- Beh, c'è K, una ragazza statunitense che è qui per lavoro. Mi hanno detto che però ha dei problemi, sai, stare lì da soli dopo un po' ti fa andare fuori di testa..
- Eh, sì, immagino. E nessun altro?
- C'era una coppia di Inglesi, ma hanno abitato lì solo poche settimane, poi sono scappati.
- Scappati? come mai?
- Era la prima volta che venivano a lavorare in Medio Oriente. Sono arrivati alla fine del Ramadan, quando c'è la festa dell'Eid, e per tre giorni non si fa che mangiare. Il palazzo era saturo dell'odore degli animali arrosti...
- Beh, non mi sembra così terribile.
- No, non è stato per quello. E' che qualcuno in occasione dell'Eid aveva arrostito una capra intera. Poi ne hanno mangiato un po' e hanno buttato i resti nella caditoia dell'immondizia.

Da queste parti i cassonetti della spazzatura non esistono. Si buttano i sacchetti nelle caditoie, due condotti di circa 60x60 cm incassati nel muro di due stanze alle due estremità del palazzo. Si apre lo sportello nel muro, si buttano dentro i sacchi e questi cadendo si accumulano in una stanza dove gli addetti alla nettezza urbana li vengono a prelevare.

- E allora?
- Beh, questi due Inglesi dovevano buttare la spazzatura.. sono andati nella stanza della caditoia, hanno aperto lo sportello e si sono trovati faccia a faccia col muso mezzo decomposto della capra, che si era incastrata nel condotto..

Che dire? meraviglioso. La vita a B. sembra più eccitante di quanto credessi.

martedì 29 gennaio 2013

Nebbia, corsa sulle dune e i Bambini Terribili

Paesino sperduto, ore 6 del mattino.
Il coniuge sta finendo di vestirsi, io saltello riordinando la casa e sbrigando tutti i lavori della mattina presto.
- Sei sicura che non vuoi un passaggio fino alla stazione degli autobus?
Oggi devo andare in città per spedire alcuni documenti tramite corriere. L'autobus è alle 8.
- No, grazie. Se mi accompagni adesso poi devo stare due ore in sala d'aspetto... tranquillo, vado a piedi.
La stazione degli autobus è a circa tre chilometri da casa, e la strada per arrivarci passa, letteralmente, in mezzo al deserto. Camminare su una striscia di asfalto in mezzo alla sabbia ha un suo fascino e quando la temperatura lo permette non mi dispiace fare questa passeggiata.
Finisco di sbrigare le ultime faccende, indosso il mio abaya ed esco di casa. E' freddino, ma io ho il maglione e camminando svelta mi scaldo. Il sole è ancora basso sull'orizzonte e dona alla sabbia una sfumatura dorata. 
E' tardi. Sto quasi correndo, ma non so se arriverò in tempo, e il prossimo autobus è tra due ore.
Come una tacita risposta alle mie ansie una macchina si ferma per darmi un passaggio. Qui è normale: se una donna sta guidando e vede un'altra donna che cammina per strada le offre un passaggio, anche se non l'ha mai vista. C'è una solidarietà fortissima.
Mi arrampico sul SUV, e due minuti dopo sono alla stazione degli autobus. Faccio il biglietto, mi accomodo e il viaggio comincia.

Dopo una ventina di chilometri cominciamo ad incontrare banchi di nebbia. Perchè sì, nel deserto d'inverno c'è la nebbia, specialmente nell'entroterra, e si estende per centinaia di chilometri. A volte è così fitta che è assolutamente impossibile muoversi. Qualche giorno fa un collega di mio marito è arrivato al lavoro in ritardo, perchè la nebbia era così densa che non riusciva a trovare la propria macchina nel parcheggio.
Man mano che il pullman procede, la nebbia aumenta sempre di più. La visibilità è di venti metri, poi di dieci, poi di cinque. Infine fuori dal vetro non si vede assolutamente nulla. E' come quando, in aereo, si entra dentro una nuvola, e guardando fuori dal finestrino sembra di essere dentro ad un bicchiere di latte.
Il pullman si ferma. E' molto rischioso stare qui: una macchina potrebbe tamponarci senza vederci, ma del resto anche l'autobus potrebbe fare la stessa cosa muovendosi senza vedere nulla.
All'improvviso, a pochi metri di distanza da noi vediamo i lampeggianti della macchina della polizia. Seguendone la luce e procedendo a passo d'uomo il pullman raggiunge il bordo della strada, e si ferma, al sicuro.
Un poliziotto sta saggiamente facendo fermare tutti i camion ancora in circolazione.
Piano piano la situazione migliora, e dopo un quarto d'ora la visibilità è abbastanza buona da poter ripartire.
La nebbia ci accompagna comunque per tutti i 180 km che dividono il paesino dalla città, in alcuni punti più fitta e in altri più rada.
Quando arriviamo in città ci si vede abbastanza bene, ma la cima dei grattacieli è ancora nascosta.
Sbrigo le mie commissioni, riprendo l'autobus e torno nel paesino.

Mentre siamo in macchina mio marito mi aggiorna su un possibile trasferimento a G.
G. è la cittadina dove lui lavora, a 100 km di distanza da dove abitiamo ora. Effettivamente trasferirci lì per lui sarebbe meglio, si risparmierebbe i 200 km quotidiani di viaggio, e forse riusciremmo anche ad alzarci un po' più tardi al mattino. E' un'opportunità che abbiamo varie volte vagliato ma sempre scartato, soprattutto in vista del prossimo trasferimento in Australia, e del fatto che l'idea di "trasloco" che c'è qui è leggermente diversa da quella che c'è in Italia.
Mio marito mi informa comunque che a G. gli appartamenti liberi sono già stati presi.
- Che ne dici di andare a B.?
B. è un villaggio di forse 200 persone in pieno deserto.
- Ehm... beh.. in effetti a B. tu saresti più vicino al tuo luogo di lavoro...
- Ti sento perplessa. Dimmi.
- No, è che, come dire, è un po' sperduto, non c'è niente, ci sono più cammelli che persone..
- Vuoi mettere la pace e la tranquillità? e poi il deserto lì è bellissimo, ci sono le dune... e c'è una strada dove non c'è mai nessuno dove possiamo andare a correre e sui pattini..
Effettivamente un po' di movimento farebbe bene a tutti e due. Nel prossimo futuro c'è quindi una visita agli appartamenti liberi di B.
In ogni caso ho già messo in chiaro che voglio una casa asciutta. Niente muffa, perdite o gocciolamenti. E niente scarafaggi.

Infine arriviamo a casa. I bambini che vivono sul nostro piano sono fuori che giocano. Li abbiamo ribattezzati i Bambini Terribili, perchè hanno la mania di giocare nel corridoio dove si affacciano le porte degli appartamenti. Urlano, si buttano di peso contro le porte, cospargono il corridoio di biscotti sbriciolati e semi di girasole e così via.
S., una ragazza irlandese che abitava a due porte di distanza da noi, era stata presa di mira dal gruppo dei piccoli selvaggi. Le andavano a suonare il campanello mentre dormiva, sbattevano oggetti contro la sua porta a così via. Un giorno lei era andata a parlare con la madre dei piccoli vandali.
La signora l'aveva ascoltata e poi le aveva chiesto, perplessa, quale fosse esattamente il problema.
Non è maleducazione. Qui c'è l'idea che se hai un problema sei tu a doverlo risolvere, senza coinvolgere altre persone.
Ora S. è tornata in Irlanda, dove senza dubbio dorme sonni più tranquilli.
Entriamo nell'ascensore.
- Ma.. il pavimento è bagnato!!
Il pavimento dell'ascensore è pieno di un liquido giallo. L'odore è familiare, è quello che sentiamo tutti quando andiamo in bagno.
- Che schifo! Non ci posso credere, hanno fatto pipì in ascensore!!!

Forse, in attesa dell'Australia, un trasferimento altrove non è poi una cattiva idea.

lunedì 21 gennaio 2013

L'insostenibile morbidezza della domenica mattina

Domenica mattina, ore 5. La sveglia suona con precisione insonne, strappandomi dagli ultimi brandelli di sogno. 
E' domenica, bisogna alzarsi. Dire domenica qui è come dire lunedì: è il primo giorno della settimana lavorativa dopo il weekend di venerdì e sabato. E se abituarsi al venerdì festivo è un attimo, non posso nascondere di sentirmi derubata, vagamente presa in giro, quando ogni domenica la sveglia suona di prima mattina.
Mi alzo, mentre il coniuge resta ancora qualche minuto tra le coperte, cercando di afferrare gli ultimi evanescenti scampoli di sonno.
Il cielo è buio, scuro, in questo giorno d'inverno l'alba è ancora lontana e il deserto dorme ancora. Solo il vento è sveglio e sferza folate di sabbia contro le finestre.
Con passi lenti raggiungo la cucina, apro il frigo e tiro fuori l'occorrente per la colazione.
Quest'ora del mattino ha la consistenza del cotone idrofilo, tutti i rumori sembrano attutiti, ovattati, e la mia mente è piena di pensieri vaghi, soffici, con una morbidezza che ricorda vagamente quella del mio cuscino.
Preparo le uova strapazzate, scaldo la focaccia e lavo la frutta con gesti automatici. La tavola viene apparecchiata rapidamente, mentre le tazze di the e caffè girano sul piatto di vetro del microonde.
Porto in tavola le ultime ciotole. All'improvviso, dall'alto dei minareti immersi nell'oscurità brumosa del deserto si diffonde il canto del muezzin che invita i fedeli a praticare la salat al fajr, la prima preghiera della giornata. La melodia ha qualcosa di irreale, è come se la voce pastosa e imponente che canta parole sconosciute arrivasse da un mondo magico e lontano.
Il coniuge riemerge dal buio della camera da letto, e ci sediamo a fare colazione. Lentamente, i primi tenui barbagli di luce appaiono in cielo e da qualche cortile lontano arriva il verso di un gallo che canta.
Ingoiamo le ultime briciole e ci alziamo. Il caffè bollente non è riuscito a strapparmi di dosso la sensazione di freddo, per cui mi avviluppo in una coperta e mi siedo sul divano per qualche minuto. Poi lui va a prepararsi e io pigramente mi alzo.
Mentre la luce fuori comincia a farsi più consistente e a delineare il profilo delle palme, la mattinata diventa frenetica, e perde tutta la sua indolenza.
Ora bisogna sbrigarsi: la tavola viene sparecchiata e i piatti accumulati nel lavandino. Poi c'è la camicia da ri-stirare velocemente, appena un colpo di ferro per togliere le piegoline date dall'armadio, l'insalata da lavare, asciugare e riporre nel tupperware da dare al coniuge, le scarpe da lucidare in fretta, mentre lui dice che no, che non è necessario, ma che io faccio lo stesso perchè non mi va che lui vada al lavoro con le scarpe piene di sabbia.
Poco dopo lui esce di casa e io resto qui, prigioniera del sonno. Non è ancora pieno giorno, la luce forte del sole è ancora solo una promessa, eppure non riesco a tornare a letto.
Sistemo la casa, lavo i piatti, rifaccio il letto, passo l'aspirapolvere per togliere la sabbia entrata durante la notte. La lunga litania delle faccende domestiche si snocciola lenta e prevedibile finchè tutte le voci non si sono esaurite o io non mi sono stufata.
Quando il sole è ormai alto e la sua luce ha invaso ogni più piccolo interstizio tra le fronde delle palme davanti a casa, è il momento di sedersi davanti al computer per rispondere alle mail, per vedere cos'è successo stanotte nel mondo e per avere un contatto col resto del pianeta.
La calda morbidezza del primo mattino è svanita piano piano insieme al buio. Ha lasciato dietro di sè vento, sabbia, e i quotidiani problemi dell'appartamento.
Un'altra settimana è cominciata.


sabato 5 gennaio 2013

Di marmellata e voli aerei

Eccomi di nuovo qui, con il primo post del 2013, dopo una lunga pausa dovuta alla preparazione di un esame di Inglese e alla vacanza in Italia, in cui io e mio marito abbiamo girato come trottole tra parenti e amici su e giù per la penisola.
Sono state due settimane di relax fisico e soprattutto mentale: temperatura diversa, paesaggi diversi, alberi, prati. E poi la stranezza di sentire la gente per strada che parla la mia lingua, di non vedere nessuna donna con l'abaya e nessun uomo in kandura.. un altro mondo.
Mia madre fin dal primo giorno ci ha coccolato con i cibi preferiti e qui introvabili e grazie a pesto in quantità, braciole di maiale, stracchino e prosciutto in due settimane il mio peso è aumentato di due chili (che cercherò di smaltire in fretta).
Comunque sia, tra un pranzo e l'altro i giorni sono volati e in breve ci siamo ritrovati a Malpensa il primo Gennaio, per prendere il primo dei due voli che ci avrebbero riportati a casa.
Le valigie erano così piene che le cerniere minacciavano di saltare. All'interno, oltre ai vestiti, c'era una nutrita collezione di generi alimentari che andavano dalle zuppe toscane ai dolci, più una parure di lenzuola matrimoniali, una tovaglia e un mattarello. 
Avevamo anche una copiosa quantità di bagagli a mano, tra cui spiccava un sacchetto in cui trovavano posto tre vasetti di marmellata comprati a Nizza, un barattolo di olive taggiasche sott'olio, uno di pesto e uno di crema al pistacchio. 
Personalmente avevo qualche dubbio sul fatto di poter portare in cabina tutto questo armamentario, a causa delle leggi internazionali sul trasporto di liquidi in aereo, ma mio marito era assolutamente tranquillo a riguardo. 
Espletiamo le formalità del check in, salutiamo i miei genitori e ci dirigiamo ai controlli. Il sacchetto viene subito bloccato. Il tizio addetto al controllo ci guarda e ci dice laconico:
- Avete della marmellata, vero?
 Estraiamo i vasetti incriminati e glieli mostriamo.
- Duecentocinquanta grammi di marmellata?! - ci dice, tra il sorpreso e lo scandalizzato.
- Non si porta la marmellata in cabina! - esclama, con fiero cipiglio.
I vasetti incriminati vengono estratti dal sacchetto e, visto che abbiamo tempo, mentre io proseguo verso il gate il coniuge torna al check in per imbarcare anche quelli.
Quindi, monito per tutti: non importa se avete nel bagaglio a mano un barattolo di olive pieno d'olio o uno di pesto semi-liquido, ma la marmellata, anche se compattissima, non è tollerata in cabina.

Decolliamo. La compagnia aerea ci serve il pranzo (o la cena?) alle 4 del pomeriggio ora italiana. Spilucchiamo qualcosa. Il mio hamburger di vitello con patate al forno è morbidissimo ed effettivamente buono. Mentre mi pongo indolenti domande su quando questi pasti vengono cucinati, e da chi, vedo avanzare nel corridoio dell'aereo un cuoco vestito di bianco, con tanto di toque blanche in testa, che, con in braccio un cesto pieno di pane fresco rifornisce una delle hostess che è rimasta senza. Non sapevo ci fosse un cuoco di bordo. Ci sarà anche una cucina, sull'aereo?

Il viaggio continua tranquillo ed infine atterriamo a Istanbul, da dove prenderemo un nuovo aereo per il volo - più lungo - che ci porterà a casa.
Nuovo volo nuovo pasto, e questa volta è presente addirittura del salmone affumicato.
Dovremmo atterrare alle tre del mattino, ovvero mezzanotte in Italia, sarebbe bello riuscire a dormire un po'. Purtroppo il velivolo è pieno di bambini urlanti che saltellano qui e là (con IMMENSA gioia degli assistenti di volo) e nonostante le auricolari che mi trasmettono le note rilassanti della sesta sinfonia di Beethoven non riesco a prendere sonno che negli ultimi venti minuti, poco prima di essere svegliata di soprassalto dal sobbalzo delle ruote che toccano terra.
Ritiriamo i bagagli, recuperiamo la macchina al parcheggio e ci mettiamo in viaggio per tornare nel paesino sperduto.
Le luci dell'alba cominciano a colorare il cielo scuro quando finalmente entriamo in casa.
Niente scarafaggi, ma i due soffitti gocciolano il loro "bentornati" a tutto spiano. E poi, dobbiamo dircelo: questa casa ha un odore tremendo. Eppure è tutto pulito, il frigo svuotato, il cestino della spazzatura vuoto.
E' un miasma persistente, radicato, che sembra fuoriuscire dalle stesse mura e che acquisisce sfumature diverse a seconda della stanza: in camera da letto sembra fogna, in salotto è decisamente formaggio andato a male, mentre in cucina inizio a sospettare un cadavere abbandonato da qualche parte. 

Pazienza. Ora che siamo arrivati a casa i nostri pensieri si fanno indistinti e il sonno preme sui nostri occhi. 
Prendo dalla mia collezione un paio di calzini con i gommini antiscivolo offerti da una qualche compagnia aerea durante i voli notturni e striscio incerta verso il divano, dove crollo più o meno istantaneamente.
Buon 2013 a tutti, con un po' di ritardo.