domenica 26 gennaio 2014

Uno spezzatino multiculturale

Ci sono delle volte in cui, dopo un periodo variabile di dubbi e tentennamenti, finalmente ci decidiamo a fare qualcosa che vogliamo davvero, ma che fino a dieci minuti prima avevamo troppa paura per tentare.
Dopo mesi di "mi piacerebbe, però.." "no, non sono all'altezza! e non so fare le foto" "non credo di potercela fare, però..." mi sono finalmente decisa e qualche giorno fa ho inviato una mail per iscrivermi all'MT Challenge (cliccare sul link per le spiegazioni).

Da quel momento la mia mente si è sintonizzata su "spezzatino", il tema della sfida di Gennaio, e più in particolare su "spezzatino da fare al più presto" perchè la ricetta va postata prima del giorno 28. 
Ho cominciato quindi a pensare a quale spezzatino preparare. Quello della mamma, con vitello, carciofi e patate? manzo e piselli col pomodoro? in realtà, per quanto ami le ricette della mia terra, sono sempre piuttosto restia a riprodurle qui, più che altro perchè il sapore non è mai uguale a quello che ottengo in Italia, e ne rimango invariabilmente delusa.
Allora un piatto tradizionale della penisola arabica? se penso alla parola "spezzatino", unita al nome dello stato mediorientale dove vivo, mi affiorano nella mente tutte le serate passate seduta su un tappeto in mezzo al deserto, in compagnia delle mogli di un amico di mio marito, mentre il coniuge sedeva su un analogo tappeto nella zona riservata agli uomini. Sono serate bellissime, dove il sole che tramonta assume l'aroma del caffè al cardamomo servito più e più volte in tazze piccolissime, e le stelle si accendono luminose e innumerevoli mentre dalle coppe disposte per terra si alzano gli effluvi deliziosi dell'incenso (questo ha un profumo meraviglioso, niente a che vedere con quello che si usa nelle chiese).
Tutta questa poesia però termina di colpo (almeno per me) nel momento in cui viene servita la cena, che invariabilmente consiste in un enorme vassoio dove, su un letto di riso, giace mezzo cammello a pezzi. Il vassoio viene posto al centro del tappeto, ci si lava le mani nelle apposite catinelle e quindi si mangia l'enorme spezzatino, senza piatti nè posate, utilizzando esclusivamente la mano destra.
Sinceramente? il cammello mi fa schifo. Proprio schifo schifo, mi viene la nausea solo a sentirne l'odore. Per fortuna tutte le volte che sono stata invitata a questo tipo di cene tradizionali era sera, e complice il buio sono riuscita ad occultare i pezzi di carne in un tovagliolo.
Potrei allora fare un piatto giordano, come il mansaf che ho visto fare tante volte dalla mia amica A.? oppure il maqluba? sarà meglio uno spezzatino con la mulukhiya?

In realtà questi piatti vanno probabilmente bene tutti, ma non ce n'è nessuno che senta "mio" al punto di decidere di proporlo per la sfida. In parte forse è colpa degli ingredienti: cucinare col ghee, il burro chiarificato, per me è impensabile. E l'olio di canola? Brrr. 
E allora, che spezzatino cucino? Forse il motivo per cui non riesco a trovare la ricetta giusta è che la mia stessa cultura culinaria è diventata un puzzle, e a fianco dell'olio evo, del basilico, della pasta, sono comparsi il sumac, lo za'atar e tutti gli squisiti profumi e sapori propri della cucina mediorientale. 
Infine, un ulteriore tassello di questo puzzle culturale è fornito dalla cucina statunitense (non storcete il naso, c'è molto di più oltre gli hamburger di McDonald's), dalle innumerevoli ricette di The joy of cooking sperimentate per cercare di trovare i sapori familiari a mio marito, i suoi comfort foods, le sue radici culinarie.

Insomma, questo spezzatino?
Questo spezzatino non segue una ricetta sola. C'è dentro un po' di Liguria e un po' delle tradizioni culinarie in cui mi sono imbattuta in questi ultimi anni, profumi e sapori che ho imparato a conoscere e che ho in seguito rielaborato e fatto miei.

Spezzatino di agnello, fave e okra con pane arabo


400 g di spalla di agnello, disossata, senza grasso e ridotta a cubetti
100 g di fave fresche
200 g di okra
2 pomodori maturi
2 piccole cipolle rosse
1 grosso spicchio d'aglio
una manciata abbondante di za'atar
mezzo bicchiere di vino bianco
mezzo litro di brodo vegetale
olio extravergine di oliva
sale 

Tagliare finemente le cipolle e l'aglio, e farli soffriggere con un filo d'olio insieme ai pomodori (spellati e tagliati a cubetti).
Passare l'agnello in una miscela di farina e za'atar (foto a fianco), e farlo insaporire nella pentola insieme al trito.
Sfumare con il vino, quindi unire le fave e l'okra. Salare e unire il brodo, abbassando la fiamma al minimo.
Lasciar cuocere per circa un'ora, finchè la carne non è tenera e il brodo si è ridotto ad un abbondante sugo.

Mentre l'agnello cuoce preparare il pane. Le dosi sono approssimative perchè solitamente vado a occhio.

200 g di farina
1 cucchiaino di lievito secco
mezzo cucchiaino di zucchero
olio extravergine di oliva
acqua
sale
2 cucchiai di semi di nigella (foto sotto)


Sciogliere il lievito in un po' d'acqua calda insieme allo zucchero, e mettere da parte. Quando il composto inizia a schiumare impastare la farina con l'olio, il sale, il lievito sciolto ed eventuale altra acqua calda fino a formare un impasto morbido ed omogeneo. Lasciar lievitare fino al raddoppio, quindi suddividere il cinque palline. Lasciar riposare le palline per 15' circa, quindi stenderle ottenendo dei dischi di circa 15 cm di diametro e pochi mm di spessore.

Lasciar lievitare ancora 10 minuti, quindi cospargere di semi di nigella e infornare in forno già caldo per circa 10-15 minuti.
Sfornare e mangiare caldo insieme allo spezzatino.


Con questa ricetta partecipo ( o almeno, ci provo) all'MT Challenge del mese di Gennaio.
Come si dice, l'importante è partecipare? Eccomi.

giovedì 23 gennaio 2014

Un appartamento tra le nuvole

L'appartamento tra le nuvole è la mia nuova casa. Si trova in città, in un grattacielo.
Siamo arrivati qui piano piano, un pezzo alla volta, oggi una coperta domani forse le pentole, adattandoci ai ritmi lenti di questo paese.
Abbiamo dormito per dieci giorni su un materassino gonfiabile, poi finalmente il signore col camion ci ha dato la sua disponibilità per portarci i mobili qui, così una settimana fa siamo tornati nella casa nel deserto dove tutte le nostre cose ci aspettavano pazientemente, dentro sacchi e scatole poggiati sul pavimento.
- Sarò lì alle otto del mattino - ci aveva detto il signore del camion.
Così noi ci siamo alzati diligentemente alle cinque del mattino, ci siamo preparati e siamo arrivati nel paesino sperduto alle 7.45.
Quella che è stata la nostra casa per due anni era irriconoscibile, piena di polvere e sabbia, umida e fredda. Ci siamo seduti sui divani, quei divani che sono stati la mia postazione preferita per due anni e che ora abbiamo dovuto vendere alla signora che verrà ad abitare lì dopo di noi, perchè purtroppo la porta dell'appartamento tra le nuvole non è sufficientemente larga per farli entrare.
Abbiamo dato uno sguardo sconsolato in giro e abbiamo aspettato. Le otto. Le otto e un quarto. Le otto e mezza. Le otto e quarantacinque. Finalmente, quando mancavano pochi minuti alle nove, il signore col camion è arrivato, insieme ad un amico.
- Allora, bisogna portare via i tappeti, i tavoli, le sedie, il letto e tutti questi sacchetti qui per terra. ma non i divani e le poltrone. D'accordo?
Come no. Il signore del camion e il suo amico sono Pakistani, e parlano solo Urdu. Niente Inglese, niente Arabo, niente.
Forse l'uomo della manutenzione che abita a piano terra può tradurre per noi? Lo andiamo a cercare, lui sorride e scuote la testa. Lui viene dallo Sri Lanka, non dal Pakistan. Parla il Bengalese, non l'Urdu.
Magnifico. Ci affidiamo ai gesti, e con ampi movimenti del capo e delle braccia riusciamo a farci capire.
Le nostre cose vengono pian piano trasportate sull'ascensore e poi a pianterreno, dove vengono accumulate nell'attesa di trasferirle sul camion.


Ecco, parliamo del camion. Pensando ad un camion per un trasloco io avevo ingenuamente immaginato che fosse una cosa simile a quelli che ci sono in Italia: una specie di scatola di metallo chiusa su tutti i lati.

In realtà il "camion" era una cosa tipo questo nella foto: senza tetto, aperto, e con i lati costituiti da sbarre di ferro.

Gli uomini iniziano a caricare tutto sul camion. Abbiamo finito?
No, c'è ancora il materasso. I due tornano nell'appartamento e portano giù il materasso, poggiandolo poi sopra a tutto il resto, tipo tetto, per proteggere i mobili sottostanti.

Sospiriamo. Non piove, e siamo fortunati. Ora speriamo che in questi 180 km che ci separano dalla città a nessun uccellino venga in mente di liberarsi l'intestino proprio mentre il camion passa lì sotto. Speriamo che non cada niente. Speriamo che non si rompa nulla. Speriamo.

I due uomini non conoscono la città. Ci sono stati ma non conoscono le strade e non hanno idea di come fare ad arrivare al nuovo appartamento.
L'idea è di precederli in macchina mentre loro ci seguono col camion. Sembra facile, vero? Ecco, ci abbiamo messo 45 minuti per riuscire a spiegare il concetto a gesti.
- Ecco guardi: questa mano è la mia macchina, quest'altra mano è il suo camion: voi ci SEGUITE, vedete? ci seguite.
Non funzionava, loro poverini continuavano a scuotere la testa, perplessi.
Alla fine, non so come, quando eravamo ormai sul punto di andare a comprare un dizionario di Urdu, finalmente siamo riusciti a fargli afferrare il concetto.

Siamo partiti, dopo circa tre ore siamo arrivati in città e tutte le nostre cose sono state portate dentro l'appartamento.
Uno degli assi centrali della struttura del nostro letto si è spaccato, e mancano almeno due "piedini" dei comodini, ma pazienza. La lavatrice, la mia ansia più grande, è arrivata senza danni. O quasi. Ora durante il lavaggio fa degli strani rumorini. Incrociamo le dita, se si rompe me la devo riparare da sola.

E così abbiamo terminato il trasloco. Il letto è ancora smontato, e i pezzi giacciono appoggiati alle pareti della camera, e così rimarranno finchè non troveremo qualcuno che ce li metta insieme. Ma in fin dei conti dormire sul materasso (arrivato incolume e subito disinfettato) poggiato per terra non è poi così tremendo.

E così siamo qui. Questo appartamento ha comunque degli enormi vantaggi rispetto alla casa nel deserto. Tanto per cominciare, qui non ci sono nè muffa nè soffitti gocciolanti. L'acqua del rubinetto è potabile, le finestre si possono aprire e non ci sono spifferi da cui entra la sabbia. Inoltre non ci sono scarafaggi ( e spero che continui così) e l'aria condizionata funziona davvero e non solo a tratti.
Ultimo grande vantaggio, qui la carta igienica usata si può buttare nel gabinetto senza intasare il sistema fognario (nell'altra casa dovevamo buttarla nella spazzatura).
Questi che ho appena elencato sono le caratteristiche che apprezzo maggiormente, ma ce ne sono molte altre. Una di queste è il panorama, che spazia sulle isolette qui intorno, e la luce, che qui nell'appartamento tra le nuvole non manca mai.

Due giorni fa ero seduta accanto alla finestra del salotto, alle 6.30 del mattino ( i nostri orari sono sempre antelucani), al termine delle pulizie mattutine, e stavo guardando le ultime notizie dei giornali online.
Piano piano la notte ha iniziato a dissolversi, ed infine il sole è spuntato laggiù a Oriente, colorando di rosso l'acqua intorno alle mangrovie.


martedì 21 gennaio 2014

Quattro giorni in Belgio

La settimana prima di Natale mio marito ed io abbiamo fatto una piccola vacanza in Belgio.
- Ma cosa andate a fare in Belgio? - è stata la domanda che ci hanno fatto tutti, come se il paese fosse assolutamente privo di ogni attrattiva. In realtà eravamo stati attirati dalle offerte speciali, da un volo Easyjet che sembrava convenientissimo e da un'offertona di Booking.com per un hotel super-favoloso a Bruxelles. 
Così il giorno 20 siamo andati all'aeroporto di Malpensa, terminal 2, per prendere il nostro volo.
Era la prima volta che volavamo con Easyjet, anzi, era la prima volta in assoluto che volavamo low-cost, e le differenze con le compagnie di bandiera non ci erano molto chiare. Avevo letto che il bagaglio a mano non poteva superare una certa dimensione standard, così avevo preso la valigia più piccola che ero riuscita a trovare e l'avevo accuratamente misurata, per essere sicura che rientrasse nelle dimensioni consentite.
Poi a causa di alcuni imprevisti ci siamo ritrovati all'aeroporto con due valigie, quella piccola che avevo preso io e un'altra enorme, piena di cose che in quei giorni non ci sarebbero servite.
- Beh, nessun problema. La lasciamo al deposito bagagli del Terminal 2 - ci siamo detti.
Già. Il deposito bagagli. Quello che al Terminal 2 non esiste. Qui potrei aprire una lunga parentesi polemica sull'assurdità ( oppure sulla convenienza, basta decidere quale lato della medaglia si vuole guardare) di non mettere un deposito bagagli proprio nel terminal da cui partono i voli low-cost, in modo che se la valigia eccede di qualche centimetro dalle dimensioni stabilite si è costretti a spendere un sacco di soldi per imbarcarla perchè non è possibile fare altrimenti. Chiudo qui il discorso.
E va bene. Purtroppo non abbiamo tempo per andare fino al Terminal 1 per lasciare la valigia che non ci serve, quindi pazienza, la imbarcheremo.
Ci mettiamo in fila per il check-in, e quando arriva il momento inserisco la mia valigia (quella accuratamente misurata) nell'apposito contenitore... e guarda un po', non entra. Peccato non avere un metro qui, per poter vedere quali sono le misure del contenitore.
- Dovete imbarcarle entrambe - dichiara con maligna soddisfazione l'addetta al check-in - sono trenta euro a valigia, anzi no, trentacinque, quindi settanta per le due valigie, e centoquaranta considerando il volo di ritorno. Si paga là.
Col la lingua tra i denti e contando mentalmente fino a diecimila, andiamo a pagare, otteniamo la carta d'imbarco, ci immettiamo in una chilometrica e lentissima coda per i controlli e finalmente saliamo sull'aereo, che in poco tempo ci porta a Bruxelles. Prendiamo il treno, scendiamo alla stazione centrale e ci incamminiamo verso l'hotel.
La hall in effetti ci colpisce subito per la sua imponenza e il suo lusso. Un'intera parete è inoltre coperta dalle firme dei personaggi famosi che hanno alloggiato qui, da Edith Piaf alle teste coronate di diversi paesi europei.
Complimentandoci con noi stessi per aver trovato una camera ad un prezzo basso in un posto così bello facciamo check-in e otteniamo le chiavi.

Ci dirigiamo quindi verso l'ascensore, che pare sia lì dal 1895, quando l'hotel è stato costruito. Saliamo, chiudiamo tutte le porte e partiamo. Stiamo ammirando le decorazioni in stile Liberty quando l'ascensore si blocca tra il primo e il secondo piano. Dopo un attimo di incertezza ci guardiamo intorno. Vediamo un cameriere uscire da una camera, e lo chiamiamo chiedendogli aiuto.
Lui scende velocemente le scale, e poco dopo l'ascensore riparte.. e si blocca di nuovo. Dopo il terzo blocco ci troviamo di nuovo a pian terreno, e veniamo scortati verso un ascensore di servizio decisamente brutto ma funzionante, caratteristica che apprezziamo particolarmente.
Nei giorni seguenti resteremo bloccati dentro all'ascensore varie altre volte. Il motivo ufficiale addotto dalla reception è che il dispositivo è vincolato, a causa del valore storico-artistico, e questo impedisce di ripararlo in modo appropriato. Sinceramente questa giustificazione non mi convince pienamente.
Comunque insomma, arriviamo in camera. La stanza non è sicuramente la più bella dell'hotel, ma è comunque decorosa e confortevole.
Poggio la valigia ed entro in bagno per rinfrescarmi, e noto subito che la zona circostante il lavabo è tutta bagnata e gli asciugamani sono zuppi.
Per abitudine alzo gli occhi al soffitto... che sta gocciolando. Perchè evidentemente noi abbiamo un feeling particolare con i soffitti gocciolanti, non ci basta averli a casa, li vogliamo anche in vacanza. Quando si dice la fortuna... e meno male che questo dovrebbe essere un hotel extra-lusso. Ecco perchè la camera costava così poco. Andiamo a protestare ( scendiamo le scale a piedi, per sicurezza) e nel pomeriggio la perdita è arginata.

Ci incamminiamo poi per Bruxelles, e la città ci conquista subito: la Grand Place, il palazzo reale, il museo reale delle Belle Arti... e poi le strade scintillanti di decorazioni natalizie, i mercatini, il cioccolato, un locale dove fanno delle torte da svenimento.. quello che ci delizia meno sono i prezzi: un caffè espresso (cioè quello che costa meno) preso ad un chioschetto senza nessunissima pretesa dentro alla stazione costa 2,80€. Mezzo chilo di pane lo paghiamo 4€, e così via.

Un'altra cosa che ci colpisce quando arriviamo sono i sacchi della spazzatura (colmi, ovviamente) lasciati in mezzo alla strada.
- Dev'essere il giorno in cui ritirano i rifiuti - ci diciamo - sicuramente domani saranno spariti.
Il giorno dopo non solo i sacchi sono ancora lì, ma sono anche aumentati di numero. Il terzo giorno formano delle disgustose collinette qua e là sul marciapiede, mentre il quarto giorno, l'ultimo della nostra permanenza, a causa di un forte vento i sacchi sono parzialmente lacerati, con i rifiuti sparsi qui e là sul marciapiede, delizia per i gatti e per i topi.
E questo sarebbe il civilissimo Belgio? Al primo che mi viene a dire che noi Italiani siamo sporchi mostro le foto dei marciapiedi di Bruxelles.

Tirando le somme, a parte gli inconvenienti è stata una vacanza piacevole. Abbiamo avuto modo anche di visitare Anversa e Bruges, che ci hanno colpito - specialmente Bruges - con la loro bellissima atmosfera e i loro musei.