giovedì 28 febbraio 2013

La cultura del cibo

Vivendo all'estero, prima o poi viene naturale chiedersi cosa ci lega ad un paese, quali fattori entrano in gioco, quali alchimie si sviluppano per farci sentire a "casa". All'Italia mi legano i parenti e gli amici, le abitudini, la lingua e tutto quello che compone le mie radici culturali, perchè è il paese dove sono nata.
Ma è possibile sentirsi a proprio agio anche all'estero, magari in un posto con tradizioni completamente diverse da quelle del suolo natio?
Questa domanda mi si è presentata davanti con prepotenza quando più di un anno fa sono arrivata qui seguendo mio marito. Questo posto suonava terribilmente diverso dal mondo a cui ero abituata. Un altro clima, un'altra lingua, un altro paesaggio, tradizioni diverse e sconosciute. Avevo un disperato bisogno di trovare qualcosa di familiare, di crearmi una routine, di costruirmi delle certezze, dei nuovi punti cardinali entro cui muovermi e ritrovare me stessa. Da dove potevo cominciare?

Uno dei capisaldi della mia cultura è il cibo. Credo che i sapori di una terra siano legati indissolubilmente con l'essenza più intima e profonda del luogo in cui sono nati, per cui ad esempio la Liguria è per me il rumore della risacca sulla spiaggia di ciottoli, sono le stradine del centro storico di Genova, le colline coperte di ulivi che si affacciano a picco sul mare, ma allo stesso tempo è anche l'aroma del pesto, la consistenza delle trofie, il profumo della focaccia genovese appena sfornata.

Cominciare dal cibo mi sembrava quindi una buona idea per trovare la chiave per capire questo paese in cui ero capitata quasi per caso.
Sono andata al supermercato. Non riuscivo ad immaginare nessuna attività più routinaria e rassicurante del fare la spesa, mi aspettavo di ritrovare un mondo familiare, un universo noto da percorrere con il carrello tra lo scaffale dei biscotti e quello delle conserve di pomodoro.
Mi sbagliavo completamente. La prima volta che ho fatto la spesa qui è stato traumatico. Il reparto delle verdura aveva le zucchine, le patate, i pomodori, i peperoni, qualche insalata e almeno venti tipi di vegetali completamente sconosciuti, dalla forma strana ed esotica e dal nome impronunciabile. Gli scaffali erano pieni di prodotti strani ed inusuali, dal ghee alle foglie di vite sott'olio. Non era affatto il mondo che conoscevo, ma un universo alieno e minaccioso, da cui mi sentivo respinta. L'esperimento spesa era fallito. Come potevo ricreare "casa"?

Il primo tentativo l'ho fatto un giorno in cui mi sentivo particolarmente triste, più che altro per iniziare a domare il senso di inadeguatezza che mi pervadeva ogni volta che entravo in cucina, luogo che in quel primo mese mi sembrava ancora sconosciuto ed estraneo.
Però questo non bastava certamente a ricreare "casa", non serviva a farmi conciliare con la cultura in cui mi ero ritrovata immersa.

L'aiuto, lo spiraglio improvviso che mi si è aperto davanti l'ho avuto grazie ad A., la mia amica giordana, che al'epoca non era ancora un'amica ma solo la moglie di un collega di mio marito.
Lei era particolarmente nervosa perchè in Giordania era abituata a lavorare, e stare a casa tutto il giorno da sola con i figli la stava mandando in depressione. Cercava disperatamente di trovare un'occupazione, ma pur essendo laureata qui nel paesino sperduto è davvero difficile trovare qualcosa.
Così ho iniziato ad andare a passare qualche ora con lei. Le prime volte ci sedevamo sul divano, piuttosto rigide, senza sapere bene di cosa parlare, sorseggiando una tazza di tè. Poi piano piano ha iniziato a considerarmi una presenza familiare nella sua casa, e siamo passate in cucina, dove tra una chiacchera e una risata le facevo compagnia mentre preparava il pranzo.
La sua cucina, sempre perfettamente pulita, era piena di profumi e colori a me ignoti, ma dal fascino irresistibile. I barattoli delle olive raccolte da suo padre in Giordania e conservate in una miscela di acqua, olio e limone, i vasi di vetro pieni di piccole forme di labneh sott'olio, i vasetti pieni di spezie colorate e dall'aroma intenso.
La cucina di A. mi ricordava irresistibilmente quella di mia nonna, con le piantine di basilico e i vasi di funghi sott'olio. Certo, i cibi e i profumi erano diversi, ma c'era la stessa cultura del cibo, la stessa generosa condivisione.

Mangiare i piatti di A., e poi imparare a cucinarli è stato il passo necessario per capire questa cultura che mi circondava ed accettarla, rielaborarla e farla parte di me.
Cucinare e mangiare insieme i piatti della sua tradizione ci ha anche portate ad una sincera amicizia, facendomi scoprire che dietro ad un velo e ad una lingua ostica e complicata c'era una donna che mi assomigliava moltissimo per modo di pensare, gusti e abitudini.

I fatayar, i tradizionali fagottini ripieni della cucina giordana sono uno dei primi piatti che abbiamo preparato insieme, e per me sono particolarmente importanti proprio perchè rappresentano il momento in cui questo posto ha smesso di essere un luogo estraneo e difficile, ed è diventato "casa".
Ecco la ricetta, in fondo c'è un glossario per gli ingredienti poco noti.

Fatayar

Per la sfoglia:
500 g di farina 00
2 cucchiaini di lievito istantaneo ( qui quello fresco in cubetti non c'è, ma si può utilizzare senza problemi, avendo l'accortezza di rispettare i tempi di lievitazione)
2 cucchiaini di semi di nigella
un pizzico di sale
olio extravergine di oliva
acqua calda quanto basta

Primo ripieno
250 g di spinaci bolliti o congelati
una piccola cipolla
un limone
un pizzico di sumac
sale

Secondo ripieno
200 g di carne macinata
5-6 pomodorini crudi
una punta di cucchiaio di cannella
olio extravergine di oliva
sale

Terzo ripieno
due manciate di bulgur lessato
un bicchiere di labneh
sale

Versare la farina sul piano di impasto e fare la fontana al centro. Aggiungere un filo d'olio e il lievito e impastare aggiungendo via via acqua calda. Quando l'impasto è ridotto a grosse briciole aggiungere il sale e la nigella e continuare ad impastare (aggiungendo eventualmente altra acqua) finchè il composto non è liscio e omogeneo.
Coprire con un panno e lasciar riposare. Nel frattempo preparare uno o più ripieni.
Primo ripieno: far rosolare in una padella la cipolla tagliata a fettine sottili con un filo d'olio. Aggiungere gli spinaci, salare e lasciar insaporire per qualche minuto ( se si usano spinaci congelati attendere finchè non sono cotti). Ridurre la fiamma al minimo, e aggiungere il succo e la polpa del limone. Quando non c'è più liquido nella padella togliere dal fuoco e aggiungere il sumac.
Secondo ripieno: cuocere la carne macinata con un filo d'olio, facendo attenzione a "sgranarla" bene ( se dovesse essere molto compatta si può aggiungere un pugno di farina). Salare e aggiungere la cannella. Lasciar raffreddare qualche minuto, quindi unire i pomodorini lavati e tagliati a cubetti.
Terzo ripieno: unire il bulgur lessato al labneh, e salare leggermente.

Riprendere l'impasto lasciato a riposare, e ricavarne delle palline grosse come un'albicocca. Stendere le palline col mattarello fino a ricavare delle sfoglie sottili ( pochi mm) e porre al centro di ognuna un po' di ripieno. Ripiegare come in figura.
Chiudere i tre lembi sigillando il ripieno all'interno.
Mettere i fatayar sulla placca del forno e ungerli d'olio da ambo i lati.
Cuocere a temperatura moderata finchè non sono dorati.

Glossario
Bulgur: frumento integrale, grano duro germogliato che subisce un particolare processo di lavorazione. i chicchi vengono cotti al vapore e fatti seccare, poi macinati e ridotti a pezzettini.
Labneh o labaneh: vedi qui. Sostituibile con uno yogurt non dolce e non eccessivamente acido ( lo yogurt greco è probabilmente il migliore).
Sumac: spezia in polvere dal colore rosso scuro e dal delizioso aroma di limone.
Nigella: vedi qui.

sabato 16 febbraio 2013

Un pomeriggio con Anna

Quando ero bambina, l'unica cosa che la mia famiglia poteva permettersi di comprare era il riso. I soldi non li aveva nessuno, e ancora oggi poche persone nelle Filippine possono permettersi di comprare la carne. Avevo due soli vestiti, le divise della scuola, e ogni giorno bisognava lavare e stirare quella che non avevo addosso, in modo che fosse pronta per l'indomani. 
I soldi non c'erano mai, ma avevamo tanti sogni. Alla sera, prima di dormire io e le mie sorelle ci descrivevamo a vicenda i vestiti meravigliosi che ci saremmo comprate quando ne avremmo avuto la possibilità.
Quando ho finito la scuola dell'obbligo sono dovuta andare a lavorare. Non avevo scelta, ero la più grande, ci si aspettava che aiutassi a mantenere la famiglia.
Mi sono sposata alla prima occasione, a diciassette anni, solo per scappare da una situazione familiare davvero difficile da gestire. Abbiamo avuto quattro figli e poi lui mi ha lasciata. Non era adatto per diventare padre, ma l'ho scoperto troppo tardi.
Io lavoravo dodici ore al giorno, ma non riuscivo a guadagnare abbastanza per sostentare i miei bambini, così li ho lasciati a dei parenti e sono partita per l'estero, dove avrei potuto guadagnare di più. Stare lontana da loro è stato lancinante. 
Ho trovato lavoro a Singapore. Guadagnavo abbastanza, ma sempre meno degli altri perchè ero filippina, perchè ero povera, e su di me gravavano mille pregiudizi.
Mia madre si è ammalata di cancro e quando è morta non ho avuto nemmeno il permesso di andare al funerale. Se n'è andata da sola, senza che la potessi salutare.
Poi sono venuta qui, e ho trovato lavoro come tata presso una famiglia. Le condizioni sono migliori, quando mio padre è morto, qualche anno fa, sono potuta andare ad assisterlo e passare con lui le ultime ore.
Qui ho incontrato un uomo buono, l'ho sposato e ora sono felice. Qui si vive bene. Posso andare al supermercato e comprare quello che voglio, anche la carne.
Ho fatto mille sacrifici per i miei bambini, perchè volevo che potessero avere tutto quello che io non avevo avuto. E' stata dura, ma loro hanno potuto studiare e si sono laureati. Uno di loro si è sposato, e ora ho due nipotini.
Qui ho solo amiche filippine. Ho imparato l'inglese ma sono timida, ho paura di essere giudicata per l'accento, per gli errori. Ho paura di non capire quando gli altri parlano, ho paura che non mi capiscano. 
Ho paura di essere considerata sempre e solo come una domestica. Tu sei diversa, con te mi trovo bene.

Anna è la moglie di un collega di mio marito. Ha quarantasette anni, i capelli neri e lisci e gli occhi allungati, ed è così piccola che sembra una bambina.
Ieri pomeriggio, sedute davanti ad una tazza di caffè in un centro commerciale mi ha raccontato la sua vita, tra un sorso e l'altro. Era la prima volta che usciva con una donna occidentale, ed è stata così felice di parlare con qualcuno che non la giudicava nè la discriminava che si è messa a piangere, così, mentre beveva il caffè.

lunedì 11 febbraio 2013

Gentile Connazionale

Qualche giorno fa ho ricevuto una mail dal consolato italiano. Diceva così:

Gentile Connazionale,
a breve verrà contattato telefonicamente da una ditta di corrieri per concordare le modalità di consegna del plico elettorale per le elezioni politiche 2013. Una volta ricevuto il plico potrà decidere se esercitare immediatamente il suo diritto di voto e riconsegnare il plico al corriere o concordare con la ditta una data di restituzione nell'arco di qualche giorno.

Seguivano nomi e numeri di telefono dei vari corrieri della ditta, da contattare in caso di esigenze particolari.
I corrieri erano tutti pakistani, e questo sapevo già che sarebbe stato un problema, perchè, purtroppo, nella mia imperfetta conoscenza della lingua inglese l'accento pakistano mi suona del tutto incomprensibile, nonostante cerchi disperatamente di capire cosa dicono i miei interlocutori.

Mercoledì mattina il mio cellulare ha cominciato a squillare.
- Pronto?
- Jsdhsjhdue ajshcdjsh...
- Cosa?
- Kasdjka sajkdfhjs askdj.
- Mi scusi, non capisco.. forse ha sbagliato numero..
- Jkdfhjsbfcjhsdjkfch... Italia..
- Italia? Ah! lei è il corriere, vero? quello che mi deve portare le schede elettorali? mi perdoni se non l'ho riconosciuta...
- Hsjdhkhdjshkjd... abitare?
- Ehm. Io abito nel paesino sperduto. Lei conosce il paesino sperduto, a 180 km dalla città? ora le spiego..
- Kdjaskjl kjdkj.
- Come? allora, esce dall'autostrada quando vede la moschea con i 4 minareti, poi supera un'altra moschea, alla terza prende la rotonda..
- Lksdjklj... dove abita?
- Io abito nel paesino sperduto, come le dicevo..
- Nel paesino sperduto??? akjfhsdfjsdhkfds... non vengo lì. Knejdhjkdfhjk.. lontano.
- Capisco.. io domattina sono in città, se vuole possiamo vederci lì..

La mattina seguente dovevo andare a reclamare il nuovo tesserino della mia assicurazione sanitaria, latitante  da quasi un mese e mezzo.

- Va bene, allora, io sarò nel centro commerciale intorno alle 9..
- Hnasnjcdsahj alksjdkjs.
- Cosa? intorno alle 9 per lei va bene?
- KJhdsjhdhjsnds askdjksj.
- Non ho capito.. domattina semmai la chiamo. Arrivederci.

Il mattino dopo alle 9 ero nel centro commerciale in città, seduta al tavolino di un caffè in compagnia di mio marito. Nessuna traccia del corriere.

- Cosa dici, lo chiamo? - ho chiesto esitante al coniuge.
- Ma sì, dai, chiamalo - ha risposto lui, addentando il bacon.
- Però io non capisco una parola di quello che dice.. non è che ci potresti parlare tu che sei madrelingua inglese e magari lo capisci più di me?

Gli ho passato il cellulare, e lui ha composto il numero.

Pronto? buongiorno, sono il marito della signora italiana che deve votare, può venire al primo piano, al caffè xyz? Come? Al centro commerciale.. può venire al primo piano? Non la capisco.. Sì, al centro commerciale, può salire al primo piano? Cosa? al centro commerciale, al primo pi... va bene, mia moglie l'aspetta all'ingresso.

Ho preso la scala mobile e sono scesa al piano sottostante. Pochi istanti dopo un ragazzo poco più che ventenne mi ha dato una busta sigillata, scusandosi di non essere venuto di persona nel paesino sperduto.
Ho votato nell'ingresso del centro commerciale, in mezzo ad una quarantina di persone che entravano ed uscivano e sotto lo sguardo vigile del corriere, che ignaro del concetto di privacy mi ha offerto una penna ( perchè se voti all'estero il segno dev'essere tracciato rigorosamente a penna, blu o nera) ed è rimasto ad osservare mentre scoprivo le amenità della Circoscrizione Estera ed espletavo il mio diritto di cittadina italiana. Ha ripiegato le mie schede, le ha infilate dentro le buste giuste ed è sparito.

Non sono particolarmente turbata del fatto che un ragazzo pakistano abbia scoperto le mie preferenze elettorali, soprattutto perchè dubito che le sigle e i nomi dei politici italiani  per lui abbiano un qualche significato.
Quello che mi ha lasciato perplessa è stato scoprire che non ho più il potere di voto che avevo prima. Quando vivevo in Italia ero iscritta nelle liste elettorali della mia regione e votavo per i candidati che un domani avrei voluto che si sedessero in parlamento a Roma.
Ora appartengo alla Circoscrizione Estero, la circoscrizione fantasma, e a parte scoprire che appartengo alla folcloristica ripartizione "Asia, Africa, Oceania e Antartide" che nonostante comprenda tre popolosi continenti ospita pochi Italiani, e ha quindi diritto ad eleggere solo un deputato e un senatore ( a confronto ad esempio con la ripartizione America Meridionale, dove si vota per quattro deputati e un senatore) il mio dubbio, ancora insolubile dopo lunghe ricerche su internet, è: i candidati che ho votato vivono all'estero. In caso di vittoria si trasferiranno a Roma per contribuire alle decisioni del loro partito? O resteranno nel paese dove attualmente hanno la residenza, riservando alle vicende italiane solo qualche e-mail, una manciata di pensieri e poco altro?

In preda a domande senza risposta mi sono poi diretta nella sede dell'ente per cui lavora il coniuge, per avere notizie del tesserino della mia assicurazione sanitaria. Sono entrata dalla porta sbagliata, ho attraversato un auditorium pieno di seggiole e bottiglie di acqua minerale, ho parlato con un signore addetto ai pagamenti, con una gentile signora velata, con uno che probabilmente passava di lì per caso e con un addetto alle pulizie e mi sono infine seduta davanti ad un'impiegata, stringendo nella mano il foglietto col numero.

- Ehm, buongiorno. Io vorrei sapere che fine ha fatto il tesserino della mia assicurazione sanitaria, quello vecchio è scaduto a Dicembre, quello nuovo sarebbe dovuto arrivare ai primi di Gennaio ma non l'ho visto..
- Ah. Aspetti, vediamo. Dove abita?
- Nel paesino sperduto.
- Oddio, laggiù? ehm... aspetti che vediamo.. mmm.. ecco, è andato perso.
- Meraviglioso. Come faccio per averne uno nuovo?
- Dovrebbe andare negli uffici del paesino a metà strada..
- Mio marito è già stato negli uffici del paesino a metà strada e gli hanno detto di chiedere qui da voi.
- Ehm.. va bene, torni tra cinque giorni.

Ieri miracolosamente, alle 11 qualcuno ha suonato il campanello del mio appartamento. Fuori dalla porta c'era una ragazza americana sconosciuta, che mi ha sorriso e mi ha allungato il tesserino sanitario.
- Ciao, questo penso che sia tuo, sai, l'hanno ritrovato.
- Ehm, grazie... grazie mille - ho detto io, senza parole.

Poi si è volatilizzata, lasciandomi piena di domande sulla sua identità e su come facesse a sapere l'indirizzo.
Ma le domande spesso hanno poco senso, da queste parti. Ho votato e ho di nuovo l'assicurazione sanitaria, ed è abbastanza.

venerdì 1 febbraio 2013

George, insetti&C.

Avere la casa invasa da scarafaggi enormi è stata un'esperienza abbastanza tremenda, e quando ho finalmente risolto il problema ho tirato un sospiro di sollievo e ho preso tutte le misure precauzionali per evitare che accadesse di nuovo: ho costellato l'appartamento di gocce di gel blatticida e ho chiuso tutte le fessure da cui i mostri potevano entrare.
Ogni giorno inoltre controllavo che fosse tutto pulito e non ci fossero briciole o frammenti di verdura sul pavimento. Man mano che passavano i mesi mi sono tranquillizzata. Sporadicamente ne ho trovato ancora qualcuno, che è stato prontamente freddato, ma nel complesso il problema poteva dirsi risolto.
All'approssimarsi delle vacanze di Natale una sottile inquietudine ha cominciato a serpeggiare di nuovo tra i miei pensieri. Cosa sarebbe successo in quelle due settimane di assenza? Cosa avrei trovato al ritorno? L'ansia era alimentata dal fatto che purtroppo mi ero resa conto che per le blatte c'erano altri punti di accesso alla mia casa, e non sapevo proprio come chiuderli.
In quasi tutte le stanze del mio appartamento, sul soffitto ci sono delle prese d'aria formate da quadrati concentrici, con uno spazio di circa un cm tra un elemento e l'altro. Queste aperture mettono in comunicazione l'appartamento con un'intercapedine sovrastante, dove corrono i tubi dell'acqua e del condizionamento, insomma, il posto ideale per gli scarafaggi. Una in particolare mi preoccupava, quella presente sul soffitto del bagno piccolo, stanza in cui ho rinvenuto una incredibile quantità di blatte.
Su internet mi era stato suggerito di schermare le prese d'aria con dei pezzi di zanzariera, ma la cosa si era dimostrata presto infattibile.

Un giorno, poco prima della partenza per le vacanze, sono entrata nel bagnetto per prendere un detersivo. E' una stanza che da quando ho la lavatrice non uso praticamente mai, soprattutto perchè mi ricorda un bruttissimo incontro avvenuto quasi un anno fa.
Accendo la luce, entro in bagno. Con la coda dell'occhio vedo qualcosa, in alto, proprio sotto la presa d'aria. Alzo la testa e controllo. Non è uno scarafaggio, per fortuna, ma un grosso ragno.
Mi rilasso istantaneamente, i ragni non mi fanno la benchè minima impressione. Lo osservo, pensierosa. Cosa faccio, lo devo catturare? E se mi pungesse? se lo lascio in pace dubito che possa creare qualche problema.
Dopo qualche minuto di riflessione mi sono girata verso di lui.

- Ok, senti, ecco cosa facciamo. Io ti lascio vivere qui, nel bagnetto. Anzi, ti do anche un nome, da oggi ti chiami George. Puoi fare quello che vuoi, ma non devi pungerci per nessun motivo. In cambio ti chiedo di sorvegliare la presa d'aria. Fai in modo che nessuno scarafaggio ci si infili attraverso. Siamo d'accordo?

George è rimasto immobile, forse sconcertato dall'umana pazza e incosciente che aveva davanti. Nei giorni seguenti però si è dato da fare, costruendo una ragnatela fittissima su tutte le fessure della presa d'aria.
A metà Dicembre ho guardato con soddisfazione la ragnatela, ho salutato George e siamo partiti per l'Italia.
Al mio rientro la ragnatela era sempre lì, ma il suo creatore era sparito, e non si è più fatto vedere.

Questo posto comunque pullula di insetti. Oltre agli scarafaggi ci sono le formiche, le vespine che ogni tanto trovo morte sui pavimenti e vorrei tanto sapere da dove arrivano, gli opilioni e così via.
Oltre agli insetti "autoctoni" della casa ci sono anche quelli che introduco io, ovviamente senza volerlo. Ad esempio mi capita abbastanza spesso di mettermi ad impastare il pane e scoprire con un certo disgusto che la farina appena comprata è popolata da piccoli vermetti, probabilmente larve della plodia interpunctella, la tarma del cibo.

Al piccolo zoo casalingo sono comunque abituata, ed ero sicura che niente avrebbe potuto scalfire la mia sensazione di sicurezza. Questo fino a ieri, quando mio marito è rientrato a casa dal lavoro.

- Tesoro, cosa sai sugli scorpioni?  - mi ha chiesto il coniuge, con tono casuale.
- Mmm.. in che senso? quali scorpioni? - ho chiesto preoccupata.
- Oh, quelli che ci sono qui, nel deserto.
- Amore.. non mi stai dicendo che ne hai visto uno in casa, vero? perchè gli scorpioni da queste parti hanno un veleno mortale.
- Ehm.. no, no. E' che a B. ci sono, insomma, si incontrano piuttosto frequentemente.
- COSA?? ma dove? negli appartamenti?
- No, no, negli appartamenti non ci sono - ha dichiarato sicuro.
- E dove sono, allora?
- Beh, a piano terra.
- A piano terra?? cioè, passeggiano nell'ingresso del condominio? - ho chiesto, sconvolta.
- No. Cioè, non lo so. Comunque non si arrampicano, tranquilla. Ho parlato con un tizio che viveva a B. in una casa ad un solo piano, e ogni tanto li trovava dentro.
- Scusa, ma se la casa era ad un solo piano che ne sa lui se si arrampicano più in alto o no?

A frenare gli allarmismi va detto che gli scorpioni pungono molto difficilmente, e d'altro canto in Australia troveremo ben di peggio.
In ogni caso urge scoprire qualcosa di più.