martedì 10 dicembre 2013

Irrazionale

A volte succede che desideri con tutto il tuo cuore qualcosa. Poi l'evento all'improvviso si verifica e scopri di non essere affatto felice come pensavi. Anzi, tutto il contrario.

Due giorni fa ero seduta sul divano e stavo leggendo un articolo su uno dei blog che seguo. Mentre leggevo, una parte del mio cervello organizzava quello che avrei dovuto fare di lì a pochi minuti: mettere gocce di gel blatticida sul retro del microonde, dove avevo scoperto un piccolo insediamento di scarafaggi, svuotare la bacinella che argina il gocciolio del soffitto della cucina prima che traboccasse e mettermi ad impastare il pane.
Poi la porta si apre e mio marito rientra a casa dal lavoro, tutto emozionato. Mi dice che ce ne andiamo, che ci trasferiamo in città, che lasciamo la casa in mezzo al deserto.
Mi parla del nuovo appartamento, che dalle foto dovrebbe essere molto bello, in un complesso che ospita anche un supermercato.
La notizia sul momento mi rallegra. Una nuova casa, senza muffa nè gocciolamenti. Per andare al supermercato devo solo prendere l'ascensore. Niente più liste settimanali di cose da comprare. E poi la città, che offre sicuramente più opportunità del paesino sperduto.
Mio marito mi dice anche che l'appartamento sarà libero tra pochi giorni. Nel frattempo ci trasferiamo in un altro posto, sempre in città, messo a disposizione dai datori di lavoro del coniuge. Impacchettiamo e ci portiamo dietro tutto quello che riusciamo a far stare sulla macchina. Il resto delle cose e i mobili verranno portati tra qualche giorno da un camion. Non è una ditta di trasloco, ma solo un signore che abbiamo contattato perchè ci porti le cose più pesanti.

La mattina dopo mio marito esce per andare al lavoro. Sembra un giorno come tutti gli altri, ma nel pomeriggio lasceremo la casa.
Inizio ad insacchettare ( non ho scatole in casa, solo sacchetti della spesa). La pentola dove ho fatto il ripieno per il tacchino del Thanksgiving, la teglia dove ho cotto i biscotti di pasta frolla nei primi giorni dopo il trasferimento dall'Italia.
E scoppio a piangere come una fontana, senza ritegno. Il fatto è che nonostante tutti i suoi difetti, nonostante gli scarafaggi e i gocciolamenti, in questa casa io sono stata felice. Intensamente felice. Qui ho vissuto i primi due anni di matrimonio, e queste mura sono cariche di ricordi bellissimi.
Mi appoggio al lavandino, cercando di ricompormi. Fisso l'acciaio che brilla, e mi viene in mente la patina marroncina che lo ricopriva quando sono arrivata, il pomeriggio passato a grattarlo con la paglietta e la soddisfazione nel vedere il risultato.
Quando mio marito torna a casa, nel pomeriggio, buona parte del lavoro è fatta. Il salotto, nel punto in cui fino a qualche mese fa c'era il majilis, è pieno di sacchetti. Dentro ci sono pentole e bicchieri, posate e canovacci, pacchi di pasta, di farina, di zucchero. Ci sono tanti ricordi, tanti pezzi della nostra vita insieme.
Io sono seduta davanti al computer, in un momento di pausa. Il mio viso è il più possibile rilassato e impassibile.
Mio marito mi guarda. Una delle cose che amo di lui è la capacità di indovinare sempre come mi sento e a cosa sto pensando, con una precisione tale da farmi sospettare che sia capace di leggermi nel pensiero.
Si siede vicino a me e mi abbraccia.
- Lo so come ti senti. Spiace anche me lasciare questa casa.
Poco dopo iniziamo a caricare la macchina, e in poco tempo partiamo.

Ora mi trovo in città, seduta in un piccolo salotto all'interno di un appartamento squallidino e un po' freddo. I nostri sacchetti sono qui sul pavimento, e ogni volta che li guardo mi sento sradicata, come se fossi una pianta con le radici per aria che aspetta di essere travasata in un nuovo vaso.
Non vedo l'ora di andare nel nuovo appartamento, di creare nuovi ricordi, di tessere nuovi legami con l'ambiente.

Ciao ciao, casa nel deserto. Grazie di tutto.

martedì 3 dicembre 2013

Gocce

Plick.........Plick..........Plick.........
Questo è il gocciolio che c'è in cucina. Da due mesi e mezzo il soffitto gocciola senza interruzione. Altro che pioggia nel pineto. Qui piove di giorno e di notte. Quando siamo soli e quando abbiamo ospiti. Mentre preparo l'insalata per noi due e mentre preparo una cena per dodici persone. Il soffitto gocciola quando ho bisogno di spazio per poggiare i sacchetti della spesa, gocciola quando non so dove poggiare i piatti puliti, gocciola quando dimentico qualcosa nelle immediate vicinanze della bacinella. Perchè sì, non ci sono solo le gocce che cadono dal soffitto, ma anche quelle più insidiose, quelle che si formano per rimbalzo ed escono dalla catino, invadendo il prezioso spazio circostante, già limitato.  





Oggi, presa dall'esasperazione per aver dovuto rilavare per la millesima volta piatti puliti colpiti dalle goccioline di rimbalzo, ho tirato fuori il rotolo di alluminio e ho approntato una soluzione un po' rustica ma funzionante. Insomma, più o meno. Diciamo che riesce a limitare i danni.




Poi c'è il gocciolio del bagno ( di uno dei due bagni, incrociando le dita che l'altro resti asciutto).
Qui non gocciola in un punto dove è possibile posizionare un secchio, ma proprio sullo spigolo tra la parete e il soffitto, e più che mettere uno straccio non si può fare.
Non so voi, ma in casa mia gli stracci non sono mai abbastanza. Dieci giorni fa qui è piovuto, per la prima volta dopo mesi. E' venuta una pioggia battente durante la notte, così intensa da riuscire a svegliarci. 
L'ho già detto che in casa mia i vetri delle finestre sono bloccati perchè i binari su cui scorrono sono incrostati di sabbia? la mattina dopo il mio salotto si era trasformato in un lago, il tappeto zuppo. 
Ho preso un secchio e due stracci e ho iniziato ad asciugare. Quanta più acqua tiravo su tanta più sembrava che ne rimanesse sul pavimento. Perchè un conto è mettere lo straccio asciutto, un conto è usarne uno bagnato, che per quanto strizzato è comunque parzialmente già imbibito d'acqua.

Poi ci sono altre gocce. Queste non cadono nella mia casa, ma nel vaso della mia pazienza, della nostra pazienza, e mi chiedo sempre quale sarà quella che lo farà traboccare.
Ci sono i Bambini Terribili del palazzo e le loro interessanti attività (di cui ho già parlato) e tutte le amenità del paesino sperduto. 
Ultimamente a tutte queste piacevolezze si sono aggiunti altri due elementi degli di nota.

Gli invitati mancati.
Si tratta di un gruppo indefinito di persone (sospetto molto giovani) che allietano la vita di chi vive qui passando con la loro vettura avanti e indietro sulla strada e suonando il clacson a tutto spiano, tipo corteo matrimoniale. Dalle 19 alle 22. Tutti i giorni. 

Il maniaco esplosivo.
Il maniaco esplosivo è un tale (anche di costui sospetto un'età relativamente modesta) che si diverte a far fare piccole (insomma) esplosioni al motore della sua auto.
Bruum, bruum, bruuuuummm... BOOM! BOOM! Bruuum, bruum, BOOM!
Il simpatico individuo è capace di passare in questa amena occupazione ore ed ore della sua giornata. Accelera, accelera, e poi si sente il botto. E poi di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, con una certa predilezione per le ore serali.
Una gioia infinita. Specie per me, che ho la fobia dei rumori forti.

Ora siamo in attesa dell'addetto alla manutenzione, che dovrebbe ripararci le perdite d'acqua. Non so perchè, ma non mi sento molto fiduciosa. Forse perchè le ha già "riparate" almeno cinque o sei volte, e dopo un mese il problema si è ripresentato, sempre negli stessi punti, sempre uguale. Ci metterà un pezzetto di scotch? certo che per "riparare" in questo modo tanto vale che mi arrangi da sola. 

lunedì 2 dicembre 2013

Thanksgiving, parte seconda e ricette

Sono passati quattro giorni dal Thanksgiving, e nonostante tutti i miei buoni propositi i resti del tacchino non hanno resistito e sono già finiti nella spazzatura. Sigh. 
La cena è andata bene. Alla fine eravamo solo in quattro, noi e i nostri dirimpettai americani, ma è stata una serata piacevole in cui abbiamo chiacchierato, riso e soprattutto abbiamo mangiato a sazietà.
I barattoli con i biscotti sono stati estremamente apprezzati, e così la ghirlanda di foglie di carta. 
Al termine della serata gli ospiti si sono portati via un bel pezzo di tacchino avanzato, ma ahimè, questo non ha scongiurato la sua triste fine.

Ricette

Biscotti
La ricetta dei biscotti al cioccolato bianco e mirtilli rossi è questa. Non l'ho seguita fedelmente, sono stata costretta ad omettere un paio di ingredienti che qui non si trovano, ma i biscotti sono venuti bene.
Un appunto sul sapore: per me questi cookies sono dolcissimi, decisamente troppo, tanto che se dovessi rifarli sarei tentata di diminuire lo zucchero e ribilanciare le dosi della ricetta o aggiungere qualcosa che ne diminuisca la dolcezza eccessiva. I miei ospiti invece li hanno adorati, riuscendo quasi a finirli prima di tornare a casa.

Green bean casserole
La mia versione di questo tradizionale piatto americano è molto meno "pasticciata" delle ricette che ho trovato in giro, ma ugualmente gradita.
La preparo mettendo a bollire i fagiolini (lavati e privati delle estremità) per una manciata di minuti, finchè non sono teneri. Mentre i fagiolini cuociono taglio una cipolla a dadini molto piccoli e la faccio soffriggere nell'olio d'oliva finchè non è dorata. Unisco quindi i fagiolini scolati e asciugati e abbondanti mandorle tostate.
Stop. Niente burro, sour cream o altre salse.

Mashed potatoes
Per le mashed potatoes mi avvalgo della ricetta del purè di patate che faccio sempre. Lesso le patate e le passo nello schiacciapatate, quindi metto la purea sul fornello aggiungendo una noce di burro, una grattata di noce moscata, sale e latte, e mescolo finchè il composto non è cremoso.


Il tacchino
Per il tacchino e lo stuffing mi baso sulla ricetta di Laurel Evans in Buon appetito, America!
Una volta che la bestia si è scongelata completamente (qui purtroppo non si trova fresca) la lavo per bene e la asciugo, ponendola poi sulla griglia del forno con il petto rivolto verso l'alto. Ungo per bene la pelle, per poi passare un'emulsione di olio e sale tra la pelle e la carne (fin dove riesco ad arrivare). Quindi farcisco per bene il tacchino, legando poi le zampe in modo da chiudere il buco.

Nel mio forno l'animale cuoce in 5-6 ore. Ogni mezz'ora va spennellato con una miscela di brodo e vino.
I succhi persi dal tacchino durante la cottura vanno tenuti e costituiranno la base per la salsa gravy.


Il ripieno
Preparo circa un litro e mezzo di brodo vegetale. Quando il brodo è pronto faccio soffriggere in un'ampia padella abbondante cipolla e sedano, tagliati piuttosto grossolanamente. Quando sono dorati li sposto in una capace pentola (la più grande che possiedo) e unisco del pane tagliato a dadini e bagno col brodo, impastando con le mani finchè il pane non si è ammollato e amalgamato con gli altri ingredienti. Aggiungo quindi una buona quantità di castagne pelate e lessate e una manciata di salvia.
Ovviamente non tutto lo stuffing viene usato per facire la bestia. Quello che avanza lo metto a gratinare in una teglia, e costituisce uno dei piatti più apprezzati della cena.

Questo è il tacchino (fotografato di sbieco) dopo cinque ore di cottura.
Alcuni animali sono dotati di un termometro pop-up, una specie di dischetto rosso che dovrebbe sollevarsi nel momento in cui la cottura si è ultimata. Detto tra noi, questi termometri non sono molto affidabili. L'anno scorso il mio tacchino ce l'aveva, e quando il dischetto si è sollevato l'animale era ancora abbondantemente crudo, per cui consiglio caldamente l'uso del termometro da carne.

I miei ospiti hanno portato la pumpkin pie, completando il gruppo dei piatti irrinunciabili per festeggiare il Thanksgiving.
Quindi insomma, la serata è andata, i miei ospiti hanno gradito e, soprattutto, mio marito è stato contento. 

giovedì 28 novembre 2013

Happy Thanksgiving, parte prima

Happy Thanksgiving!
Inizio a scrivere questo post mentre il tacchino cuoce tranquillo in forno, e la casa è permeata da un aroma di burro, sedano e castagne. Il ripieno avanzato è in una teglia in frigo che aspetta di essere gratinato, e tra poco inizierò a preparare la green bean casserole e a lessare le patate per le mashed potatoes.

Ieri ho passato la mattinata a fare i biscotti al cioccolato bianco e mirtilli rossi da regalare ai miei ospiti.



La "cosa" che si intravede dietro è un tentativo di creare una decorazione per la tavola. Si tratta di una ghirlanda di foglie d'acero di carta, ricavate da vecchie buste e da pagine di riviste con colori adatti. 
Detta così sembra una cosa favolosa, ma il risultato non è stato particolarmente entusiasmante, tanto che stasera non so nemmeno se tenerla in salotto od occultarla da qualche parte.



Questa mattina (oggi qui è festa, quindi niente sveglia alle 5) siamo stati svegliati alle 7 da un sms proveniente da una delle due coppie che avremmo dovuto avere a cena stasera. Causa (gravi) problemi di salute purtroppo non potranno essere con noi per la cena del Ringraziamento. Sigh.
A più tardi...

venerdì 22 novembre 2013

Aspettando il tacchino

E' passato un anno dal mio primo incontro col tacchino, e tra pochi giorni la bestia sarà nuovamente nel mio forno per celebrare degnamente il Thanksgiving.
Quest'anno saremo (fortunatamente) solo in sei, e una delle ospiti si è anche proposta per cucinare la pumpkin pie, in modo da non lasciare tutto il lavoro sulle mie spalle. Io preparerò la green bean casserole, le mashed potatoes e ovviamente il tacchino, il protagonista della festa. 
L'anno scorso eravamo in dieci, e i miei vicini di casa (che si erano offerti di comprare l'animale) mi avevano portato un tacchino di sei chili e rotti, che era stato parzialmente mangiato a cena e quindi, per non sprecarlo, commutato nel pasto giornaliero mio e di mio marito per almeno una settimana. La "dieta del tacchino" era stata un po' noiosa da seguire, specie gli ultimi giorni, in cui l'abbiamo mangiato anche a colazione, per l'ansia che potesse deteriorarsi prima di terminarlo.
Quest'anno, essendo solo in sei, avevo intenzione di comprare un animale decisamente più piccolo, magari una tacchinella o comunque qualcosa di dimensioni ridotte. Il progetto si è rivelato vano quando due dei nostri ospiti hanno dichiarato che il tacchino l'avrebbero preso loro, e nonostante avessi sottolineato che siamo solo in sei ne hanno acquistato uno da sei chili, che al momento riposa nel loro freezer. 
Sei chili, un chilo di carne a testa. Più il ripieno, perchè ovviamente la bestia è abbondantemente farcita, più tutti gli altri piatti tradizionali che accompagnano questa festa. Visto che non possiedo un congelatore credo che mi procurerò una serie di vaschettine, e alla fine della serata farò dono ai miei ospiti di un pezzo di tacchino a testa.

Quest'anno volevo anche occuparmi dell'atmosfera, delle decorazioni, cosa che l'anno scorso tra un problema e l'altro non ero riuscita a fare. 
Qualche tempo fa sono andata in città, in un enorme negozio specializzato in decorazioni per le feste, e mi sono avventurata tra gli scaffali, cercando qualcosa che andasse bene per il Thanksgiving. C'erano un'infinità di cose per tutte le occasioni possibili e immaginabili, dalla festa di fidanzamento alla laurea, dal Natale al St. Patrick's day, ma per il Ringraziamento non c'era assolutamente nulla. 
Ho setacciato internet alla ricerca di decorazioni handmade, ma le composizioni che mi piacciono di più hanno come componenti principali le foglie autunnali, cosa che da queste parti è impossibile trovare. 
Mi sono orientata quindi su decorazioni in stoffa, che abbinerò alla tovaglia bianca di fiandra, e a piccoli sacchettini segnaposto, pieni di biscotti al cioccolato bianco e mirtilli rossi.

Insomma, le idee ci sono, e ho ancora qualche giorno per realizzarle. 
Se poi qualcuno volesse unirsi alla festa e aiutarci a mangiare il tacchino ovviamente è il benvenuto :)


Immagine creata da ramy

lunedì 18 novembre 2013

Non solo il giorno e il mese, anche l'anno è importante

La follia delle case editrici.
Nell'Ottobre 2006 ho comprato un libro di chimica organica per prepararmi in vista di un esame. Al libro era accluso un CD, contenente le molecole rappresentate in tre dimensioni.
Appena arrivata a casa ho inserito il CD nel computer e ho seguito le lunghe istruzioni che mi avrebbero dovuto portare a visualizzare le molecole. Uno dei primi step era la registrazione al sito della casa editrice, cosa che ho fatto non troppo volentieri, pensando che nei mesi a venire sarei stata inondata di consigli per gli acquisti relativi ai libri per i futuri esami del mio corso di laurea.
La registrazione era una cosa antipatica, di quelle dove automaticamente inserisci il solito username e la solita password e invece no, il tuo username è già in uso da qualcun altro e la password non va bene perchè è composta di sole lettere. Allora provi e riprovi, accorci lo username, lo allunghi, inserisci l'anno di nascita, il giorno, il mese, il nome di tua nonna, ma niente, non funziona. 
A questo punto una persona sana di mente avrebbe lasciato perdere, in fin dei conti le molecole in 3D si trovano anche con una breve ricerca su internet. Io però mi esalto sempre quando un libro ha un CD incluso, e fedele al principio che "l'ho pagato, ho diritto a vederlo" sono andata avanti per la mia strada.

Così ho inserito la prima parola che mi è venuta in mente, senza pensare a scrivermela da qualche parte, il metodo standard per scordarla dopo 10 minuti. E infatti. 
Pochi giorni dopo, il 10 Novembre 2006, dopo mezz'ora di inutili tentativi ho inviato una mail al supporto, chiedendo che mi comunicassero quale accidenti di nome utente avessi scelto.

Non ho mai ricevuto una risposta a quel messaggio. Le molecole in tre dimensioni, peraltro non fondamentali per la comprensione della materia, le ho trovate altrove, e poco tempo dopo ho felicemente superato l'esame. 
Il tempo è passato, ho acquistato nuovi libri per nuovi esami, e ho pian piano scordato la storia del libro di chimica e del nome utente. Sono passati anni. La mia vita è cambiata e sono approdata qui, nella casa in mezzo al deserto, completamente dimentica di quell'episodio.

Ieri mattina ho trovato nella casella di posta una strana e-mail, proveniente da una casa editrice.

Gentile utente, in risposta alla sua mail le comunichiamo le credenziali di autenticazione da lei inserite al momento della registrazione sul nostro sito.
Nome utente: pandorobuh
Password: bluf06

Cordiali saluti

Ora, a parte interrogarmi sulla follia di aver scelto come nome utente "pandorobuh", vorrei dire, sono passati sette anni. SETTE ANNI.

Mi immagino il tizio addetto ai rapporti col pubblico:
Vediamo, a quale altra e-mail devo ancora rispondere? Ah, c'è questa qui.. dev'essere vecchia, quando l'hanno inviata? il 10 Novembre? beh, è solo una settimana fa, non ha aspettato tanto!

sabato 16 novembre 2013

Che programmi hai per oggi?

Da quando vivo nella casa nel deserto, le mie giornate hanno assunto strane geometrie spazio-temporali. Le ore di casalinga solitudine sembrano allungarsi a dismisura, perdendosi in minuti dilatati che si snodano pigri tra un piatto da lavare e una camicia da stirare. 
Il fatto è che i lavori domestici non sono eterni. Per fortuna. E' necessario cucinare e lavare i piatti tutti i giorni, questo sì, ma l'attività porta via una quantità limitata di tempo. 
Una volta che la cucina è in ordine, la casa pulita e i panni stirati, sopraggiunge l'ansia. E ora cosa faccio?
In un altro posto si potrebbe uscire di casa, andare al cinema, in piscina, in biblioteca. Si potrebbe lavorare magari, o studiare. Ma qui no. 
All'inizio ero ottimista. Figuriamoci, c'è sicuramente qualcosa che posso fare. Basta volerlo. Magari non qui nel paesino sperduto, ma in fin dei conti con due ore e mezza di autobus sono in città, e lì ci sarà senz'altro qualcosa per me. 
Ho iniziato a vedere, ad informarmi. Posso lavorare? No, perchè il mio visto non me lo permette. Dovrei richiedere un nuovo visto, sponsorizzato dal datore di lavoro, cosa non facilissima da ottenere. E poi ci sono altri problemi, ma è un discorso lungo e inutile.
Posso andare in piscina? ho fatto una ricerca e non sono riuscita a trovarne nemmeno una, intesa come quelle che ci sono in Italia, stabilimenti sportivi dove uno fa l'abbonamento e dietro il pagamento di una cifra modesta può andare a nuotare in determinate ore. Qui le piscine sono negli hotel, e per accedervi occorre soggiornare lì o fare parte di club esclusivi e costosi.
Posso fare volontariato? ho setacciato internet alla ricerca di un modo per fare volontariato in città. A parte la scarsità di informazioni reperibili in inglese, mi pare di capire che qui il volontariato sia inteso soprattutto come donazioni in denaro per sostenere le varie cause.
E va bene. Posso almeno andare in biblioteca? certo. Ma la biblioteca richiede un'iscrizione annuale a pagamento, ha pochi libri e quasi tutti in arabo.
Le passeggiate all'aperto sono impraticabili per buona parte dell'anno, a causa della temperatura, del vento e della sabbia, e qui nel paesino sperduto sono impraticabili e basta, per mancanza di posti dove passeggiare.
In aggiunta a tutto questo, l'amica A. da cui ero solita andare più volte alla settimana non abita più qui, a causa del trasferimento di suo marito in una cittadina a circa 130 km di distanza.

Così, alla fine, mi siedo davanti al computer.
Esaurita la voglia di partecipare ai giochini idioti su Facebook, comincio a girare in rete. Wikipedia è uno dei siti dove capito più spesso e dove precipito in deliri che mi portano a leggere ossessivamente tutte le informazioni su un certo argomento e a cercarne sempre di nuove. 
Ho iniziato con l'Antartide e le isole sub-antartiche, con la loro flora e fauna. Poi sono passata al vulcanesimo e a tutti i fenomeni correlati. Poi ai terremoti. Poi alla storia della Mongolia. Poi ai principi attivi delle piante officinali. Poi alla storia europea tra il XIV e il XVII secolo. Poi a mille altre cose sparse tra gli argomenti più disparati.
Anche Google Earth ha un potere magnetico, ed esercita su di me un fascino indescrivibile. Mi capita spesso di passare ore ad esplorare virtualmente una zona remota, come il Nunavut o l'oblast' di Magadan, risalendo il corso dei fiumi e guardando avidamente tutte le foto.
C'è stato poi un periodo in cui ho letto o riletto un'infinità di libri grazie a Liber Liber e al Progetto Gutenberg.
A volte invece di leggere ho voglia di vedere qualcosa e allora mi lancio su Youtube o sul sito della Rai, dove è possibile rivedere una buona quantità di trasmissioni e documentari.

Casualmente su internet si fanno poi delle scoperte interessanti. Ad esempio ho scoperto che molte prestigiose università americane mettono del materiale e dei corsi online gratuitamente (es. MIT ) e chiunque può scaricarseli e studiare. Scontato dirlo, i risultati ottenuti solitamente non vengono nè testati nè riconosciuti, ma intanto è un modo per imparare qualcosa di nuovo, e senza spendere un centesimo.
Infine pochi giorni fa sono approdata a Zooniverse e a tutti i suoi progetti di citizen science, la ricerca scientifica condotta da scienziati dilettanti e volontari. Si va dalla catalogazione delle macchie sulla superficie di Marte alla trascrizione di vecchi archivi museali, dalla classificazione dei cicloni tropicali all'identificazione di possibili pianeti tramite lo studio delle curve di luce delle stelle usando i dati del telescopio Kepler. La procedura da seguire viene spiegata nel dettaglio, e ogni elemento prodotto viene poi controllato e ri-analizzato dagli altri partecipanti, riducendo così gli inevitabili errori.

Insomma, un panorama ricco e interessante, che mi permette di impiegare il mio tempo in qualcosa di utile e di imparare un sacco di cose nuove.

Alla fine, comunque, a parte rare eccezioni, le mie giornate sono fatte di lavori domestici e computer. La cosa deve apparire incredibile ad un sacco di gente (i miei familiari, alcune colleghe di mio marito..) che pur sapendo e conoscendo bene com'è questo posto, si sentono in dovere di farmi la solita fatidica domanda.

- Che programmi hai per oggi?
- Ehm, dunque.. ho una montagna di roba da stirare, e devo sghiacciare il frigo. Poi passerò un po' di tempo ad esaminare curve di luce su Planet Hunters e a trascrivere l'etichetta di vecchi erbari americani. Poi preparerò il pranzo, e nel pomeriggio volevo fare un po' di Analisi Matematica, ho trovato un corso che la spiega tanto bene..
- Insomma, passi tutto il giorno in casa?
- Beh.. sì. Ma alla fine della settimana vado in città a fare la spesa.
- Ah.. e senti, domani cosa fai?
- ....
- domani esci?
- (ma ti ho appena spiegato che non uscirò prima del weekend...) no, domani sto a casa...

Dev'essere un concetto difficile da assimilare, nonostante tutte queste persone siano state qui e sappiano esattamente com'è.
Comunque le ore alla fine passano. I panni stirati vengono messi nei cassetti, la cena viene sistemata sul tavolo apparecchiato e finalmente la porta di casa si apre, e mio marito rientra.
Questo è il momento più bello della giornata.

martedì 15 ottobre 2013

Di assenze, premi e ricette

Quando ho aperto questo blog mi ero riproposta di pubblicare almeno un post ogni due settimane, ma come tutti i buoni propositi anche questo è caduto nel vuoto. Non certo perchè manca la voglia, piuttosto perchè non so mai di cosa parlare. Alcune cose sono private, altre poco interessanti, di altre ancora non parlo per evitare di innescare polemiche. Vivo all'estero, ma per scelta ho deciso di non fare del mio blog un'agenzia turistica dove trovare informazioni sui voli, prezzi degli hotel e attrazioni da visitare.
Il blog racconta qualche momento della mia vita qui nel deserto, ma tagliando questo e non scrivendo quello alla fine si riduce spesso ad una cronaca domestica di perdite, muffa e scarafaggi.
Le cose cambieranno, lo prometto. Sto progettando delle modifiche. Il problema vero è che ultimamente il tempo è stato davvero poco, abbiamo passato un mese impigliati nelle maglie della burocrazia australiana, con continue corse all'ambasciata e in una miriade di uffici sparsi per il Paese.
Non sono nemmeno riuscita a ringraziare Expat Blog, che a Settembre ha eletto questo spazio virtuale come blog del mese.

Quello di cui volevo parlare oggi riguarda però un argomento completamente diverso, ovvero la genesi di una ricetta.
Questo non è un food blog, ma non certo a causa dello scarso amore della scrivente per pignatte e pentolini. Il fatto è che non mi piace pubblicare un post con la mia esecuzione di un piatto inventato da altri, a meno che le modifiche apportate non siano talmente rilevanti da farne un piatto completamente diverso, ma non mi sembra che la cosa mi sia mai accaduta. 
Pubblicherei volentieri le ricette di mia invenzione, ma purtroppo, un po' complice la difficoltà di fare la spesa (ho la possibilità di comprare gli alimenti solo una volta alla settimana, quando andiamo in città), un po' il fatto che non sono mai contenta e modifico una ricetta mille volte, alla fine ben difficilmente divento così orgogliosa di un piatto da dire ecco, questo l'ho inventato io, ve lo propongo.
A questo proposito, vi chiedo: voi come create nuove ricette? dove trovate lo spunto? 
Conosco molte persone che inventano lì per lì cosa cucinare quando aprono il frigo o l'armadio, in base agli ingredienti presenti o a quelli con la scadenza più prossima. Anche io cucino la maggior parte dei piatti in questo modo, ma solitamente realizzare questi cibi non mi regala particolari soddisfazioni.
Le ricette che mi attirano di più sono il frutto di epifanie improvvise o, come mi capita dall'età di otto anni, di sogni notturni. Mi succede abbastanza spesso di sognare di assaggiare un piatto nuovo, mai visto prima, e, siccome ricordo sempre i miei sogni nel dettaglio, provo spesso a riprodurlo. 
I risultati, lo dico subito, non sono un granchè. Non sono mai riuscita a riprodurre come vorrei i biscotti ripieni, leggeri e friabili, farciti con una specie di marmellata al cedro candito. O il dolce al cucchiaio di melograno e fichi. O la salsa al timo. 
Ho creato un file intitolato "da provare" e scrivo lì tutti i piatti frutto di sogni o di idee improvvise. Accanto ad ognuno segno anche gli ingredienti usati, le prove che più si avvicinano a quello che desidero ottenere e i nuovi spunti.
Oggi vi regalo un paio di foto. Non la ricetta, perchè quella deve ancora essere perfezionata, ma le foto ritraggono il piatto esattamente come l'ho immaginato.
Si tratta di "rose vegetariane" (qui con le cipolle) e no, non è un muffin.



E voi? Da dove prendete lo spunto per nuove ricette?

venerdì 30 agosto 2013

Bentornati a casa

Le vacanze finiscono, è ora di tornare a casa. Confesso che, per quanto possano essere belli e affascinanti i posti visitati durante le vacanze, ho sempre provato piacere al pensiero di tornare nella mia casetta, di rivedere gli oggetti noti, di sentirmi di nuovo dentro l'accogliente e familiare rifugio della vita di tutti i giorni.

Poi certo, ci sono le eccezioni. Sono salita sull'aereo, e mentre le ore si sgranavano lente ho cercato di immaginare come avrei ritrovato il mio appartamento dopo questi mesi di assenza. Chissà, sicuramente ci sarebbe stata della sabbia sotto alle finestre. E della polvere, certo. E magari qualche soffitto gocciolante. 
Non sono riuscita ad immaginare nient'altro e ho pensato, sorridendo, che in fin dei conti non erano poi grossi problemi. Nei punti in cui i soffitti gocciolano avevo lasciato una bacinella, in misura preventiva, e sabbia e polvere si rimuovono in un attimo con l'aspirapolvere.
Niente di preoccupante.

Poi arriva il momento in cui la chiave gira nella serratura, ed eccoci a casa. La prima cosa che colpisce è che c'è un caldo pazzesco, il termometro segna 37°C. L'aria condizionata, da noi lasciata ovviamente accesa, funziona solo in camera da letto, ma poco e male. 
Oltre al caldo manca l'elettricità, e c'è un tremendo odore di marcio e di muffa. In salotto, il tappeto e il majlis ( il divano arabo, costituito da una specie di grossi cuscini appoggiati al pavimento) sono pieni di muffa. Le pareti, in corrispondenza delle grate dell'aria condizionata sono rigate di acqua. 
L'uomo della manutenzione, rintracciato dopo lunghe ricerche, racconta che durante l'estate c'è stato un incendio alla centralina elettrica del nostro piano. Come conseguenza di questo fatto, l'aria condizionata si è bloccata più o meno ovunque, c'è stata condensa, e dalle grate invece dell'aria fredda è venuta giù acqua.
Lui ci sta lavorando, assicura. Domani o dopodomani forse sarà di nuovo in funzione. Forse.

In serata, miracolosamente, il condizionamento funziona di nuovo, ed è possibile accendere la luce.
Il resto della casa è in uno stato pietoso. Il soffitto gocciola in bagno e in cucina, tutte le superfici sono ricoperte da una fanghiglia di polvere, sabbia e acqua, e anche nelle stanze dove non ci sono stati allagamenti è tutto umido.
Nei giorni seguenti l'uomo della manutenzione sistema il soffitto della cucina e pulisce le grate e i filtri del condizionatore. Li pulisce ( a mia insaputa) nella vasca da bagno, che terminata l'operazione è nera come la pece.
Il tappeto e il majlis finiscono nella spazzatura, puliamo.
Nel bagno degli ospiti il water è senza acqua, e sul fondo c'è uno strato di roba nera, mentre il resto del sanitario è ricoperto di piccoli moscerini morti.
In cucina, la perdita all'interno della parete è di nuovo attiva. Il muro è sempre più spanciato e pieno di muffa, e ogni volta che apriamo il rubinetto il pavimento si allaga.
Ogni notte veniamo inoltre svegliati tre o quattro volte dall'allarme antincendio. Il fatto è che i Bambini Terribili del palazzo, quelli che usano l'ascensore come gabinetto e tirano oggetti contro le porte degli appartamenti, hanno come hobby quello di tirare il campanello di allarme. Cinque o sei volte al giorno. Alla fine sono riusciti a romperlo, così l'allarme si aziona da solo e in continuazione.

A causa del lavoro del coniuge dobbiamo poi passare una settimana in città, ed è meraviglioso stare in hotel, in una stanza dove non c'è la muffa e di notte si riesce a dormire.
Siamo tornati a casa ieri sera. L'appartamento era più o meno come quando l'avevamo lasciato. "Nessuna nuova brutta sorpresa" ho scritto via mail a mia madre.
Ceniamo, laviamo i piatti e ci sediamo a guardare un documentario. Al termine riaccendiamo la luce, e vediamo passare in tutta tranquillità, sul tappeto superstite della sala, uno scarafaggio enorme.

Casa dolce casa. Qui urge trovare un altro appartamento o, in alternativa, un bravo esorcista.

mercoledì 31 luglio 2013

Capitoli estivi: Tunisi, che meraviglia

Sono arrivata in aeroporto con la mia borsa azzurra e senza altri bagagli, perchè se vai via solo due giorni i ricambi entrano anche nella borsetta. Indossavo un paio di pantaloni leggerissimi color crema e una camicia azzurra di cotone, comprata per l'occasione. Per completare il quadro sandali e un enorme cappello di paglia in testa, con tanto di fioccone azzurro, perchè un pizzico di follia non manca mai.
L'effetto finale doveva essere molto da turista americana, tanto che ai controlli aeroportuali a Malpensa gli addetti mi hanno parlato in inglese.
Vicino a me si è seduto un signore di 65 anni con i capelli bianchi e la pelle ambrata, che durante il breve volo mi ha raccontato la sua vita, il primo viaggio verso l'Italia alla ricerca di lavoro, negli anni '80, "quando il lavoro c'era", le esperienze come muratore, imbianchino e falegname.
Mi ha raccontato la prima volta che per tornare a casa ha preso l'aereo invece della nave ed è rimasto atterrito dagli scossoni, dalle turbolenze. E poi mi ha parlato della Tunisia, della sua Sousse dove ancora vive sua madre, e di quella Tunisi dove l'aereo sarebbe atterrato poco dopo.
Poi siamo rimasti in silenzio finchè non abbiamo intravisto la costa - il primo sguardo sull'Africa, per me - e poi l'aereo è atterrato.
 - Fai attenzione ai tassisti - mi ha poi detto il mio vicino, prima di sparire tra la folla - cercheranno di chiederti un prezzo molto più alto della normale tariffa.

Ho passato i controlli, ho trovato mio marito che mi aspettava agli arrivi, abbiamo contrattato il prezzo della corsa e siamo arrivati nel centro di Tunisi, nella medina, la città vecchia.
Ci siamo persi nel labirinto di stradine e infine abbiamo trovato il nostro alloggio, un'antica casa tradizionale restaurata e adibita a bed and breakfast, un posto insolito e bellissimo, che è servito da trampolino di lancio per immergermi nell'atmosfera di questa città meravigliosa.

Ho tante cose da dire su Tunisi. Sono arrivata piena di curiosità, per la città, per le persone, ma soprattutto perchè volevo fare il paragone col paese del Medio Oriente in cui vivo e scoprire un'altra sfaccettatura dell'aggettivo "arabo", parola che racchiude in sè universi paralleli e diversissimi.

A Tunisi non ho scattato foto. Avevo la macchina fotografica con me, carica e funzionante, ma non l'ho usata. Ci sono città che si mettono in posa e amano farsi fotografare. Fanno sfoggio dei loro monumenti e dei loro panorami e tu puoi scattare quante foto vuoi, perchè sai che quando avrai finito le statue e i paesaggi saranno sempre lì, uguali a se stessi, e tu potrai guardarli finchè vuoi.
Nella città vecchia di Tunisi i soggetti delle foto sono le persone, sono le scene che vedi per strada, l'uomo che divide la propria cena del Ramadan con un gatto randagio, il negoziante che contratta la vendita delle propria merce, i bambini che giocano a rincorrersi sulla strada acciottolata che si arrampica sulla collina. Avrei dovuto girare con la macchina fotografica in mano, fermarmi in continuazione per immortalare tutti quei frammenti di vita, arrabbiarmi perchè avevo perso l'attimo giusto per scattare e la scena era cambiata.
Quindi ho scelto di non fare foto ma di guardare soltanto, per non perdermi nulla.

A Tunisi era pieno Ramadan e abbiamo digiunato a pranzo, limitandoci a bere litri d'acqua nella penombra e nella frescura della nostra stanza. Abbiamo poi assaporato la cena tradizionale al ristorante, insieme ai Tunisini, al tramonto. Abbiamo assaporato i datteri che rompono il digiuno, gustato il brik con l'uovo all'interno, divorato l'agnello con l'okra e tutti gli altri squisiti cibi che accompagnano tradizionalmente questa festa.
Non è facile essere in un paese musulmano durante il Ramadan. Però, credetemi, ne vale la pena. E' un'esperienza bellissima, e sono lieta di averla potuta vivere, di aver potuto fare il confronto con il Ramadan mediorientale che ho vissuto lo scorso anno.

Ora non mi resta che dire com'è questa famosa città vecchia che mi ha tanto affascinata, e specifico subito che a colpirmi non è stata l'architettura o le opere d'arte (di cui comunque la città abbonda), ma l'atmosfera, che per la prima volta nella mia vita mi ha fatto sentire dentro Le città invisibili di Calvino.
Anzi, ve la racconto proprio così, come se fosse una di quelle del libro.

Le città e la memoria.
Arrivo a Tunisi al tramonto, quando il sole è ormai basso e una luce arancione si riflette sugli edifici, allungando le ombre dei minareti e facendo scintillare gli azulejos.
Il taxi mi ha lasciato in una piazza deserta, sono tutti a casa a cucinare e ad attendere la scomparsa del sole per poter cenare.
Trascinandomi dietro la valigia mi inoltro nel dedalo di viuzze acciottolate, tra i vicoletti bianchi di calce sormontati da archi e portici. Schivo il mucchio di spazzatura abbandonato ad un incrocio - delizia per i gatti e per le mosche - e il rigagnoletto di acqua sporca che corre al centro della strada. Vedo due gattini che corrono all'assalto dell'ennesimo mucchio di rifiuti maleodoranti, vedo gli edifici cadenti, che avrebbero urgentemente bisogno di essere restaurati. Mi chiedo che cosa sto facendo lì, cosa spero di trovare in mezzo al degrado.

Il giorno dopo vado in esplorazione. Giro l'angolo di una moschea, e la piazzetta che appare davanti ai miei occhi è uguale a quella che si trova nel mio sestiere, i vicoli sporchi all'improvviso sembrano quelli della mia città.
Svolto in una strada e mi arriva l'odore di segatura della bottega del falegname, lo stesso odore che sentivo da bambina quando andavo a trovare i nonni, l'odore della stanza a piano terra dove, in mezzo a pericolosi macchinari e a legni di tutti i tipi mio nonno intagliava, costruiva e intarsiava. L'odore che da quattro anni non sento più, e che è andato piano piano sfumando nella mia mente.
Passo accanto ad un portone e intravedo all'interno la bottega di un fabbro, con l'uomo che batte col martello sul ferro incandescente, e questo solleva in me dei ricordi, non so quali perchè oggi la professione è caduta in disuso ed è difficile trovare qualcuno che la pratichi, forse è solo la scena di un film che mi ritorna alla mente o la pagina di un libro che ho letto, ma è qualcosa che sento di possedere come ricordo.
Capito poi davanti alla bancarella delle spezie, dove il mucchio del peperoncino rosso fiammante sfiora quello della curcuma gialla, e dai lati pendono grossi mazzi di erbe profumate i cui aromi si inseguono e si accavallano nelle mie narici, ma non riescono a prevalere sulla fragranza dell'origano, proveniente da un grosso fascio appeso alla mia destra. Chiudo gli occhi e rivedo lo stesso mazzo appeso nella cucina della mia infanzia, in attesa che asciugasse per poterne poi conservare i fiori.

Mi aggiro nel negozio del vasaio, scintillante di terrecotte smaltate di mille colori, nella bottega dei tessuti, dove pesanti drappi ricamati pendono dall'alto e sfiorano le sete fruscianti appese sull'altro lato, entro nel negozio di profumi attratta dall'essenza di limone dal soave e pungente aroma, e tutto in me evoca ricordi e sensazioni, e mi chiedo se un pezzetto di Tunisi non sia inconsciamente dentro tutti noi, se quella città antica non sia che una collezione di ricordi che in Occidente stanno lentamente sbiadendo, le schegge di un mondo che una volta era anche nostro.

E ti viene l'ansia di poter perdere tutto questo, la paura che un giorno dei grattacieli sorgeranno proprio qui, spazzando via gli antichi edifici e i ricordi che vi sono aggrappati. Ti viene la voglia di portarti via tutto per nasconderlo e proteggerlo, vorresti portarti via i palazzi, i negozi, le persone, la silenziosa dignità dell'uomo che chiede a tuo marito di potergli pulire le scarpe, per strada, e gioisce delle poche monete che chiede in cambio.

Poi i due giorni finiscono, e devi ripartire.
Una settimana dopo, la Tunisia è di nuovo al centro dei fatti di cronaca, e non riesci a capacitarti del fatto che pochi giorni prima tu eri lì. E ti viene un'ansia nuova, come se il fatto non fosse solo una notizia del telegiornale ma coinvolgesse persone che conosci, luoghi che ami.
Ti rendi conto che c'è stato il colpo di fulmine e quella città, nel bene e nel male, resterà sempre nel tuo cuore.

lunedì 29 luglio 2013

Capitoli estivi, parte prima

Sono salita sull'aereo alle due del mattino, dopo aver passato quattro ore seduta su una seggiolina a leggere e a combattere contro il sonno. Mi sono sistemata come meglio potevo e ho cercato di dormire, con scarsi risultati. Quanto sono scomodi i sedili della economy class? piccoli, rigidi, ed ero anche senza cuscino a causa di uno "sciopero della società che gestisce la lavanderia", come ha annunciato con voce indecisa la hostess al microfono.
Impossibile ranicchiarsi, impossibile trovare un qualunque punto rialzato dove poggiare le gambe, e ovviamente impossibile reclinare il sedile.
Le ore si sono sgranate lente, e finalmente siamo atterrati a Roma, dove ho fatto una corsa per prendere l'aereo successivo.
Mentre la hostess si scusava per "uno sciopero della società che fa le pulizie" (cartacce ovunque) siamo decollati per il brevissimo volo, e caspita, che bello essere seduti accanto al finestrino in una giornata limpida. Ecco i soffioni boraciferi delle Colline Metallifere, il golfo di La Spezia, il promontorio di Sestri Levante, che da lassù sembrava un sassolino, Chiavari e Lavagna, l'autostrada che appare e scompare tra le colline.. e poi sono atterrata.
Sono uscita dall'aeroporto e ho respirato profondamente quell'aria fresca che sa di sale, di basilico, di timo, di lentisco, che ha il profumo dell'ardesia e delle spiagge di ciottoli.
Ho riabbracciato i genitori, ho guardato con gioia un paesaggio familiare dove la sabbia è solo in spiaggia e nemmeno tanto spesso, ho gustato di nuovo i piatti della mia regione cucinati in loco, quel sapore che all'estero non sono mai riuscita a ricreare uguale.

Poi sono andata all'anagrafe per rinnovare la carta d'identità che era scaduta. Ho aspettato un'ora e mezza, poi finalmente è arrivato il mio turno.
Ho detto all'impiegata che sono iscritta all'AIRE, lei ha guardato il computer e ha spalancato gli occhi, come se vivere all'estero fosse una cosa eccezionale e mai capitata prima. Mi ha chiesto conferma del paese e gli occhi le si sono riempiti di palme, di acque cristalline e spiagge candide, di ricchezza e sfarzo e di tutti gli stereotipi che accompagnano il paese del Medio Oriente dove abito.
Aveva il mio indirizzo sotto il naso, ma sapevo che nonostante questo la domanda sarebbe arrivata. E infatti poco dopo mi chiede:

- Senta.. ma com'è vivere nella Grande e Famosa Città?

Cioè, hai il mio indirizzo davanti agli occhi. Io non vivo lì. Abito a 300 km di distanza, in pieno deserto, in un posto dove l'unico lusso è quello di avere l'aria condizionata che funziona quando fuori ci sono 50°C. Ma non c'è niente da fare, per gli Italiani lo stato dove abito viene identificato con quella città, non esiste che possano esserci altri posti.
Stavo per dirle che a casa mia devo mettere le bacinelle in giro per le stanze perchè i soffitti gocciolano, che ci sono gli scarafaggi enormi, che le finestre sono bloccate e lasciano entrare chili di sabbia.
Poi non l'ho fatto perchè sarebbe stato un discorso lungo e inutile e chissà, magari per lei fantasticare sulle spiagge e sui grattacieli di cristallo era un modo per far passare un'altra noiosa giornata di lavoro.

- E' bellissimo - le ho detto.

Lei ha continuato a sorridere. Poi si è accorta di aver messo una riga nera sullo stato civile e sulla professione, si è scusata e ha detto che si poteva anche lasciare così. Ho controllato che almeno il nome ci fosse, e sono uscita.

venerdì 21 giugno 2013

Questioni oleose, uno sfogo

I miei ricordi di bambina sono indissolubilmente legati alla casa di campagna dove vivevamo all'epoca. 
Il terreno comprendeva parecchie piante di ulivo, e durante l'anno era una gioia veder apparire i fiorellini bianchi (che si depositavano poi a quintali sulle scale) e poi i piccoli, preziosi frutti, che maturavano giorno dopo giorno diventando sempre più grossi e turgidi. 
Infine, in autunno, un intero weekend (a volte di più) veniva dedicato alla raccolta, sia delle olive già cadute sulle reti arancioni diposte da mio padre, sia di quelle ancora attaccate al ramo. Ricordo molte ore passate a raccogliere i piccoli frutti caduti, esaminandoli uno ad uno per controllare che non fossero ammuffiti o bacati. Ricordo la sensazione che si prova schiacciando tra le dita un'oliva matura, la sua consistenza, il suo odore, la sua pastosità. Le olive venivano poi raccolte in grossi sacchi o in cassette di legno e portate quindi al frantoio, dove mio padre si metteva in fila dietro "a qualcuno che so che non usa pesticidi" perchè il nostro olio fosse il più genuino possibile.
Infine portavamo a casa le latte o le bottiglie con l'olio nuovo, e nei giorni successivi organizzavamo un pranzo con i parenti perchè potessero godere con noi del piccolo tesoro appena racimolato.

L'olio d'oliva ha sempre avuto un'importanza particolare nella mia famiglia. Non è solo l'unico grasso utilizzato per cucinare, ma anche qualcosa di intrinsecamente prezioso, una sorta di oro liquido da usare senza sprechi.
"Se non hai nulla, tranne un bicchiere di olio d'oliva, allora non sei completamente povero" soleva dire mio nonno, e in famiglia si racconta la storia della mia bisnonna, che, colpita negli anni '50 da appendicite acuta (diagnosticata erroneamente dal medico condotto come un problema alle ovaie) si salvò bevendo dei cucchiaini d'olio d'oliva "buono" che il mio bisnonno andò a prendere apposta per lei dai contadini sulle colline. Forse la guarigione è dipesa dalla sua fibra robusta e non dall'olio, ma la vicenda ha comunque donato un'ulteriore patina di eccezionalità al succo dei piccoli frutti dell'olivo.

L'olio d'oliva, sempre e solamente extravergine, è quindi un cardine della mia tradizione culinaria. Ho imparato ad usare solo ed esclusivamente quello per qualunque tipo di preparazione (eccettuati i dolci), frittura inclusa. L'olio di girasole o quello di arachide vengono "tollerati" ma utilizzati in modo assai sporadico, ed escusivamente in ricette particolari. Tutti gli altri olii nella mia famiglia sono sempre stati guardati con disgusto e mia nonna racconta spesso, con tono carico di pietà, come una sua conoscente utilizzasse l'olio di sansa di oliva, da lei considerato il massimo dell'orrore alimentare.

Poi sono venuta qui, e qui, si sa, è un altro mondo.
Nello scaffale degli olii dei supermercati la parte riservata a quello d'oliva è piuttosto esigua e le bottiglie più grandi non superano il litro. Per qualche tempo ho comprato l'olio extravergine di oliva siriano, ma purtroppo le bottiglie di quella casa produttrice hanno spesso un problema che ne rende quasi impossibile l'apertura, quindi recentemente sono passata all'olio con la marca del supermercato, che dall'etichetta dovrebbe provenire da un paese europeo.
Olio extravergine di oliva, dice la composizione. Apro la bottiglia, lo annuso. Profumo quasi inesistente. Il colore è scialbo, non l'oro intenso con note verdi che conosco.
Ne verso un poco nella pentola, e non posso fare a meno di pensare che non ho mai visto un olio di oliva così liquido, e continuo a ripetermi cento volte, che sì, è sicuramente colpa della temperatura. La temperatura, certo. La temperatura. La temperatura....

Il resto dello scaffale degli olii è uno spettacolo poco edificante. Olio di lino e di canola in grande quantità, ma chi la fa da padrone è l'olio di palma, che non è proprio un toccasana. Anche le poche bottiglie di olio di girasole e di arachide secondo l'etichetta sono addizionate con l'olio di palma.

Il ristorante italiano del centro commerciale mette in bella vista, in caso qualche cliente fosse interessato all'acquisto, una latta da cinque litri che porta l'orgogliosa scritta "Olio di sansa di oliva italiano", come se fosse il non plus ultra della produzione italiana. E' una questione di mentalità.

Ma non resteremo qui per sempre, e questo mi ricorda un pomeriggio, durante il nostro viaggio in Australia, in cui abbiamo percorso una strada di campagna che costeggiava alcuni campi coltivati. Io guardavo pigramente fuori dal finestrino, e ad un tratto ho avuto un balzo al cuore: un oliveto. Quelli sono olivi, indubbiamente, riconosco l'albero anche ad occhi chiusi.
In Australia producono l'olio d'oliva, e questo è confortante, mi fa sentire quest'isola così lontana e diversa molto più vicina al mio cuore.
Trasloco, ti sto aspettando.

lunedì 3 giugno 2013

Modi alternativi per occupare una serata

Erano le 8.30 di sera di qualche giorno fa, e io ero comodamente seduta sul divano davanti al computer.
La cena era stata preparata e consumata, i piatti lavati e la cucina riordinata. I panni erano stati tutti stirati e riposti negli appositi cassetti, per cui non avevo nulla che disturbasse il mio stato di quiete e stavo solamente aspettando che mio marito scegliesse un film da guardare in serata.
E poi , d'un tratto, plick.
"Plick" è un suono che da quando vivo qui decisamente non sopporto. Perchè sì, magari è solo il diffusore della doccia che sta rilasciando qualche gocciolina, ma di solito non è così.
Plick.
Al secondo plick mi sono alzata, e sono andata in cucina, dove il soffitto ogni tanto si diverte a gocciolare. Ma la bacinella che uso per arginare il fenomeno non recava tracce di acqua, quindi il gocciolio aveva un'altra origine. 
Vado nel bagno dove il coniuge aveva appena fatto la doccia, ma il diffusore sembrava asciutto. 
A quel punto poteva essere solo il soffitto del bagno piccolo, che già mi aveva dato tantissimi problemi e per cui già avevo chiamato l'addetto alla manutenzione del palazzo ( che mi aveva allagato mezza casa).
Entro nella stanza ed eccola lì la maledetta goccia, quella che cade proprio nell'angolino dove è impossibile mettere un qualunque recipiente.
Plick.
Il soffitto gocciolava, e si udiva, attutito, un gocciolio più lontano e sinistro, il rumore di acqua che si stava accumulando da qualche parte sopra al soffitto.
L'ultima volta che ho trascurato la faccenda mi sono ritrovata con una lampada al neon piena d'acqua, un bagno allagato e tutte le scatole di cartone dei detersivi da buttare, perchè da un momento all'altro la raccolta di liquido sopra al soffitto è venuta giù di colpo.

Dopo un breve consulto abbiamo deciso di chiamare immediatamente l'addetto, che avrebbe lo stesso fatto un macello, ma almeno non nel cuore nella notte e senza danneggiare (si spera) il soffitto o le luci.
L'uomo è arrivato, ha guardato il gocciolio, si è astenuto da commenti tipo: "Perchè non ci mettete un secchio?" (come aveva fatto in questa occasione), ha diagnosticato una perdita dal sistema di condizionamento e se n'è andato.

Avete presente i condizionatori che ci sono in Italia, quelli che scegli tu al negozio e che ti vengono montati in un angolo della stanza? ecco, qui funziona diversamente. Il sistema di condizionamento è "di serie", tutte le case vengono costruite con degli appositi condotti all'interno dei muri che fanno uscire l'aria fredda dalle grate presenti in tutte le stanze.
- Wow, che meraviglia - ho pensato quando sono arrivata qui, per poi ricredermi dopo pochi mesi. Questo sistema fa acqua da tutte le parti, e non solo in senso figurato. Le perdite sono all'ordine del giorno e la scommessa è sempre trovare qualcuno che le sistemi senza compromettere l'agibilità dell'appartamento.

L'addetto è tornato dopo pochi minuti. Con l'attrezzatura necessaria? macchè, ovviamente no. Mi ha chiesto un coltello, dopodichè è salito sul water e ha iniziato a scardinare le lastre metalliche che compongono il soffitto.
Splash.
Dopo il plick, lo splash è il secondo rumore che odio. O il primo, dipende dai punti di vista. Plick è minaccioso, e fa presagire un futuro allagamento. Quando arriviamo a splash l'allagamento è in corso.

Il tizio ha armeggiato ancora un po', quindi ha dichiarato che tutto era a posto ed è andato via. 
"Tutto a posto" significa pavimento del bagno con due centimetri buoni d'acqua mista a polvere, ragni e pezzetti di roba nera di cui ho preferito non sapere la natura. Stendo un velo sulle condizioni delle pareti, del water e degli altri sanitari. Per fortuna almeno avevo tolto il tappetino. Una cosa fradicia in meno.

Un'ora dopo i sanitari erano stati lavati, e il pavimento era pulito e più o meno asciutto.
Cosa c'è di meglio di una doccia calda per rilassarsi e dimenticare i soffitti gocciolanti? Ho aperto l'acqua e mi sono abbandonata all'azione tranquillizzante e confortevole dell'acqua calda. 
Al termine, corroborata, ho afferrato l'asciugamano pulito che avevo appena tirato fuori dal cassetto e mi sono vigorosamente asciugata, passando poi in camera da letto per rivestirmi. Mi guardo distrattamente allo specchio, e vedo una cosa scura sulla mia spalla. Sgrano gli occhi, guardo meglio, senza avere il coraggio di guardare direttamente il mio corpo. Non è possibile. 
Mi continuo a ripetere che non può essere quello che sembra, ma l'evidenza spazza via ogni dubbio. 
Sulla mia spalla c'è la zampa, anzi, la zampona, di uno scarafaggio. La zampa posteriore di una Periplaneta Americana adulta, per essere precisi. Eccola lì, con gli artiglietti e tutte quelle protuberanze che le permettono di muoversi a velocità fulminea.

Poi mi rendo conto che non ho finito di vestirmi e sono ferma impalata davanti allo specchio con una zampa di blatta sulla spalla, persa nell'osservazione anatomica della stessa. 
Oddio, che schifo. Corro nuovamente sotto alla doccia. Quando ne esco la mia testa è piena di domande.
Come è arrivata questa zampa sulla mia spalla? E il resto del corpo dov'è? Non è possibile che fosse sull'asciugamano, ho fatto la lavatrice due giorni fa! e poi ho riposto tutto nei cassetti dove da mesi tengo la biancheria della casa. Non è possibile che ci fossero le blatte dentro.
Il dubbio però s'insinua, e corro a controllare. Ecco, il cassetto è pulito, non ci sono blatte. 

Poi guardo meglio, e vedo quello che la carente illuminazione della stanza non mi aveva permesso di vedere prima. In un angolo, semi mimetizzata col colore del legno, c'è una blatta, morta da un bel po'. Probabilmente è entrata lì dentro mesi fa, quando la casa pullulava di queste bestie, simpatiche portatrici di salmonelle, enterobatteri e altre schifezze.
- Keep calm and relax. E' solo un insetto morto - continua a dirmi la mia testa. 

Ho lavato tutto a fondo, cassetto incluso. In fin dei conti se non siamo morti quando la casa ne era piena sicuramente una singola blatta, e per di più morta, non può essere un pericolo così grosso per la nostra salute. O almeno basta crederci.

sabato 1 giugno 2013

Arabo approssimativo, ovvero come rapportarsi con i bambini

"Hameme" è una delle prime parole di Arabo che ho imparato. A dire il vero non sono proprio sicurissima che sia hameme, potrebbe essere anche hamemi. In ogni caso, in qualunque modo io la pronunci i bambini corrono alla finestra, perchè hameme vuol dire colombo, piccione, e quando sei abituato a vedere un panorama composto esclusivamente di sabbia anche un volatile di passaggio poggiato sul cornicione diventa interessante.
Un'altra parola utile è "halas", pronunciata con una forte aspirazione iniziale. Halas vuol dire "basta", e, con intonazione diversa, è utile sia per chiedere ai figli della mia amica A. se hanno finito di bere il succo di frutta, sia per lanciare un urlo ai Bambini Terribili del palazzo quando iniziano a fare qualcosa di molesto, come lanciare oggetti contro la porta del mio appartamento.

Le parole si possono imparare, ma la verità è che io non so l'Arabo, e vivendo nella penisola arabica questo è un grosso problema, se si ha necessità di comunicare con dei bambini.

Ogni volta che vado a trovare A., passo buona parte della mattinata a giocare con la Principessa, la terzogenita duenne. All'inizio è stato davvero difficile. Lei mi metteva in mano i librini, quelli per bambini piccoli con le pagine di cartone spesse spesse, e pretendeva che glieli leggessi. 
Purtroppo io i libri in Arabo so a malapena da che parte si aprono, figuriamoci il resto. Un paio di volte ho provato ad inventarmi la storia e a raccontargliela in Inglese o in Italiano, ma come mi sentiva parlare le sue sopracciglia si inarcavano in un'espressione di preoccupazione. Perchè l'amica della mamma non parla la mia lingua?
Poi, col passare del tempo ha capito che c'erano problemi linguistici. Non so in che grado questo le sia chiaro, ma non mi ha più proposto di leggere i librini. 
Un giorno stavo parlando con A., e la Principessa voleva giocare. E' entrata in cucina, dove eravamo noi, e ha iniziato a dirmi: "Tali, tali!!".
Vedendo che le sue parole non avevano effetto mi ha preso la mano e mi ha trascinata in salotto. Come mi ha detto poi A., "tali" vuol dire "vieni".

Io e lei abbiamo poi inventato i nostri giochi, che non necessitano di spiegazione: quando la Principessa afferra il rotolo di scotch da pacchi vado subito a sedermi ad una delle estremità del corridoio, perchè so che di lì a poco lei si siederà dal lato opposto e giocheremo a tirarci lo scotch facendolo rotolare sul pavimento.

Un giorno, passando vicino alla finestra ho visto che un uccellino si era poggiato sul cornicione.
- Tali habibti, hameme! - ho detto alla Principessa.
Lei è corsa a vedere, ha fatto un gran sorriso all'uccellino e poi mi ha abbracciato, dandomi la certezza che anche senza conoscerne la lingua è possibile entrare nell'universo magico e incantato dei bambini.

martedì 14 maggio 2013

Viaggio nel paese delle meraviglie

E' passato più di un mese dal nostro viaggio nella terra dei canguri, e ancora non so come strutturare questo post. Continuo a scrivere e cancellare, scrivere e cancellare. Come ve la racconto l'Australia? Come si può condensare in poco spazio una nazione, un continente, una città come Melbourne, una campagna come quella australiana? E poi c'è il volo ovviamente, il lungo volo aereo sopra l'Asia e al di là dell'equatore che è servito a prepararmi "spiritualmente" all'arrivo nel Down Under e allo stesso tempo mi ha permesso di intravedere dal finestrino dell'aereo un'incredibile quantità di paesaggi interessanti e vari.

Forse il punto di partenza è stabilire dove comincia un viaggio. Per noi è iniziato mesi fa, il giorno in cui abbiamo comprato una grossa carta geografica dell'Oceania e ci siamo letteralmente sdraiati sopra di essa per poterla esaminare palmo a palmo, per scoprirne ogni più piccolo anfratto e fare nostri anche i paesini più sperduti.
Studiare la cartina del Down Under è già di per sè un viaggio, un percorso nella storia di questa vasta isola dell'emisfero sud. Si parte da posti come Wagga Wagga, Wollongong, Murrunburrah, nomi che ci appaiono strani e buffi ma che sono quelli originali, quelli aborigeni, quelli dati prima che l'isola venisse conquistata dagli invasori europei. Poi ci si imbatte in Cape Disappointment, in Doubtful Bay, in Cape Catastrophe, quei toponimi che testimoniano quando dovesse essere difficile la vita per i primi coloni europei. Poi l'Australia divenne una colonia penale, e i nomi sono quelli della nostalgia, quelli di tante città e paesi dell'Inghilterra e dell'Irlanda, Cork, Kilkenny, Torquay, Brighton.
Oltre alla mappa, il primo tuffo nel Down Under ce l'hanno fatto fare i libri, primo tra tutti In un paese bruciato da sole di Bill Bryson, e i documentari, tra cui vi consiglio i due video The Kangaroo Dundee, presenti su Youtube.

Poi un giorno ci siamo trovati a fare le valigie e siamo partiti, carichi di curiosità, vestiti, scarpe, emozione, impermeabili, libri, itinerari e un pizzico di ansia. Abbiamo volato sopra l'India, la Thailandia, la Cambogia, il Vietnam, poi l'aereo ha virato a sud, verso Bandar Seri Begawan, la capitale del Brunei, nel nord del Borneo, dove abbiamo fatto scalo. Abbiamo sostato due ore in un aeroporto minuscolo formato da un piccolo edificio e un grande prato pieno di aironi in mezzo alla foresta pluviale.
Siamo quindi ripartiti in direzione sud. Abbiamo attraversato l'equatore e siamo passati sopra Bali, piccola piccola e verde come uno smeraldo.

A sud di Bali è oceano aperto per centinaia di chilometri, tanto che cominci a chiederti se dopo tutta quell'acqua ci sarà davvero la terraferma, se l'Australia esiste realmente o è un posto mitico e intangibile come Mu e Atlantide.

E poi la vedi. Ed è grandissima, enorme, e ti lascia senza parole.

Noi siamo atterrati circa tre ore e mezzo dopo aver scattato questa foto, all'aeroporto di Melbourne-Tullamarine. Ed eccoci, finalmente. Siamo in Australia.

Melbourne è completamente diversa da come me l'aspettavo, ma avrei delle difficoltà a spiegare cosa esattamente mi aspettassi.
E' una città di circa quattro milioni di abitanti, che per gli standard australiani è tantissimo. Il centro è uno strano agglomerato di edifici vittoriani mescolati con alti grattacieli, il tutto disposto su stradine che salgono e scendono tra parchi e giardini.
Sono rimasta catturata dal verde dei suoi parchi, sconvolta dalla presenza dei contenitori per siringhe dentro ai bagni del McDonald's, affascinata dalla moltitudine di negozi strani e per me inconcepibili (c'è quello che vende solo nani da giardino, quello che ha solo oggetti viola...) e incantata dalla fauna, che qui in città si limita agli uccelli, come i grossi pappagalli verdi e rossi che abitavano gli eucalipti davanti al nostro alloggio.

Al di là di questo, la prima cosa che salta all'occhio è che sembra che il pianeta sia tutto qui. Nella stessa strada trovi la pizzeria italiana, il club lituano, il ristorante mongolo, il caffè brasiliano, la pasticceria marocchina. Si respira un'aria internazionale e multiculturale che mi fa vedere questo paese come la nuova America,  il luogo in cui arrivano migranti da tutto il mondo alla ricerca di una nuova vita, di una nuova storia da scrivere, e l'impressione è che ci sia spazio per tutti, e che questo nuovo "sogno australiano" sia a portata di mano.

L'Australia è anche un paese estremamente civile. Ogni posto che abbiamo visitato, anche quello più piccolo e sperduto era accessibile alle persone sulla sedia a rotelle. Magari c'era solo una stretta striscia di asfalto che andava dal parcheggio al belvedere, ma sufficiente per far sì che davvero tutti potessero godere della bellezza di quei luoghi. Anche le terme, in cui siamo andati alla fine del soggiorno, avevano una rampa che permetteva ai disabili di accedere alla piscina, e abbiamo assistito al bagno di una signora che è stata per l'appunto accompagnata in acqua in questo modo, con una speciale sedia fornita dalla struttura.

Dopo Melbourne ci siamo spostati sulla costa. Abbiamo esplorato la foresta pluviale, aggirandoci tra felci arboree alte svariati metri, eucalipti dal tronco gigantesco ed un'infinità di altre piante, mentre tutto intorno risuonavano i versi di chissà quali animali.
Camminare tra questi giganti della natura è un'esperienza strana e particolare, è come tornare indietro di milioni di anni in un'epoca lontana, e che nel resto del mondo sopravvive solo nei fossili.
Ci si sente piccoli e insignificanti, e allo stesso tempo parte di un mondo meraviglioso e dimenticato.

Abbiamo ammirato la Surf Coast, dove nonostante la pioggia che scendeva inesorabile abbiamo avvistato varie persone che cavalcavano le onde.
Procedendo lungo la Great Ocean Road in direzione di Adelaide la costa diventa un'alta scogliera a picco sul mare. E' in questa zona che si trovano i Twelve Apostles, un gruppo di faraglioni a pochi metri dalla riva.

Ci siamo quindi spostati all'interno, nei paesini del bush, dove la prateria si mischia alla boscaglia di eucalipti.
Abbiamo avvistato emù, cacatua sulphurea e kookaburra, ma l'incontro più interessante è stato quello con i canguri.

Una sera eravamo in un paesino all'interno del parco dei monti Grampians e stavamo cercando "Darcy's", un locale dove cenare che ci era stato consigliato dal gestore del motel dove alloggiavamo.
Arriviamo davanti al ristorante e ci fermiamo di colpo. Nel cortile antistante l'ingresso ci sono almeno dieci canguri che brucano l'erbetta. Gli animali non ci hanno degnato della minima attenzione, ma l'idea di passarci in mezzo non ci attirava troppo, sono sempre animali selvatici e non sapevamo come avrebbero potuto reagire.
Abbiamo deciso di fare ancora due passi e di ritornare al ristorante più tardi.
Venti minuti dopo gli animali si erano spostati, così siamo entrati velocemente nel locale. La cameriera, alla quale abbiamo chiesto notizie dei canguri, ci ha confermato che vengono tutte le sere.


Quando siamo usciti dal locale ogni prato, cortile, giardino, campo o spazio verde della cittadina era pieno di canguri, ne abbiamo contati almeno 100.
Lì non è che avvisti la fauna selvatica, la fauna selvatica vive intorno a te, ti travolge con i suoi rumori e i suoi movimenti e reclama il suo spazio.


Il giorno abbiamo lasciato i monti e ci siamo rituffati nel verde delle pianure. Era l'ultimo giorno della nostra vacanza, e l'abbiamo trascorso tra la visita ad una cioccolateria, il bagno alle terme e una lunga passeggiata lungo un piccolo lago.

Mi manca, l'Australia. Siamo stati solo una settimana, ma questa isola mi ha già conquistata e sono ansiosa di tornarci, di esplorarla, di scoprire nuove meraviglie.
Arrivederci a presto, bellissimo continente.

martedì 7 maggio 2013

Expatclic e un meraviglioso concorso

Ho scoperto Expatclic per caso, qualche mese fa, cercando notizie sulla famigerata anagrafe dei residenti all'estero, e me ne sono innamorata. Curato da uno staff di tutto rispetto, il sito offre aiuto e appoggio alle donne espatriate di ogni nazionalità, con infinite informazioni utili in svariate lingue, bellissimi articoli e la risposta a tutte quelle domande che quando espatri prima o poi ti poni.
Expatclic ha anche un forum, dove le utenti si scambiano consigli e informazioni e dove possono partecipare alle bellissime iniziative, e un blog, con tutte le ultime novità.
Il sito fornisce inoltre corsi online e, per i soci onorari, la possibilità di consulenza personalizzata offerta dallo sportello espatrio di Expatclic.

Ho riassunto il sito in poche righe, ma Expatclic è molto di più, è un caleidoscopio di storie di donne fantastiche e coraggiosissime, e invito chiunque fosse interessato ad andarlo a visitare.
Questo mese il sito ha lanciato un'iniziativa con i controfiocchi: il concorso Riflessi di viaggio, Premio Maria Pia Forte.

L'iniziativa è rivolta a donne espatriate, o che abbiano vissuto all'estero per almeno due anni. E' suddiviso in tre categorie, racconto letterario o articolo giornalistico, poesia, fotografia.
I lavori dovranno focalizzarsi sui seguenti temi: la vita della donna espatriata, il viaggio, l'incontro tra culture, il valore della scrittura.
E' possibile inviare elaborati in italiano, inglese, francese e spagnolo.
Cliccate sul banner qui sotto per leggere il bando completo e i ricchi premi, e mi raccomando, partecipate!!!


venerdì 26 aprile 2013

Iniziative dal web

Ho già scritto più volte di come il web sia una fonte inesauribile di scoperte interessanti, e qui alludo soprattutto ai blog. Girando per il web si trovano blog stupendi, dietro a cui ci sono persone meravigliose, con cui è possibile stringere amicizia, anche se la distanza effettiva che ci separa è di migliaia di chilometri.

L'elenco è lungo, ma questo post è dedicato a due blog in particolare. Il primo di cui vi parlo è L'arcobaleno di Sara.
Al suo blog sono arrivata per caso, qualche tempo fa, e mi sono subito innamorata delle sue ricette. Ma al di là della passione per la cucina, io e lei abbiamo davvero un sacco di cose in comune ( a partire dalla passione per i cavoli!!) e una visione del mondo molto simile.
Per festeggiare il sesto compleanno del suo blog Sara ha organizzato un GiveAway, a cui ovviamente partecipo.
Se siete interessati vi invito a cliccare sull'immagine qui sotto, che vi porterà (almeno spero! non sono bravissima in queste cose) all'iniziativa.


La seconda iniziativa a cui partecipo viene dal blog Il solletico nel cuore a cui sono arrivata proprio cliccando un link sul blog di Sara.
E' stato amore a prima vista. Viviana abita in un posto bellissimo, scrive ricette fantastiche, si occupa di giardinaggio (non sai quanto vorrei poter partecipare allo scambio di semi!! purtroppo non posso, per varie ragioni, ma è un'iniziativa bellissima!) di riciclo creativo e di un sacco di altre cose interessanti.
Viviana ha organizzato l'iniziativa "Mi piaci perchè", un modo per farsi pubblicità e, soprattutto, per conoscere altri blog interessanti. Come dire di no?
Ecco qui il banner con il link all'iniziativa ( che ovviamente spero di essere in grado di inserire..)


Cos'altro posso dire? Spero di aver fatto tutto bene... e grazie di cuore, ragazze!
A presto!

PS: Il post sull'Australia è in elaborazione!

mercoledì 24 aprile 2013

Quei giorni fragili

Sarà che è quasi una settimana che il sole non lo vediamo, perso da qualche parte dietro i nuvoloni, e questo tempo a metà, che non è sole e non è pioggia, io lo odio.
Sarà che l'idea del trasferimento nel paesino-ancora-più-sperduto-di-questo potrebbe tornare in auge, ma ovviamente non c'è nulla di certo.
Sarà che in effetti l'incertezza qui è di casa. Domani ci vediamo? può darsi. Inshallah, se Dio vuole. Tu aspettami, al limite non mi vedrai arrivare. Posso tenere la carne in frigo fino a mercoledì?  Può essere, ma non è sicuro. Il mio frigo è l'elettrodomestico più inefficiente che abbia mai visto, a volte dopo poche ore la roba si è già deteriorata. Devo comprare il burro, ci sarà al supermercato? A volte c'è. A volte no. E queste sono solo le cose piccole.

Sarà che non avere un lavoro non mi piace affatto. Stare a casa tutto il giorno mi rende nervosa, preoccupata e ipocondriaca, e divento isterica se qualcuno mi chiama "casalinga". Non perchè abbia qualcosa contro le casalinghe eh, tanto di cappello a chi sceglie questo tipo di vita (che non è affatto facile). 
Sarà che oltre a non avere un lavoro non posso uscire di casa. Cioè, non me lo vieta nessuno, ma non c'è nessun posto dove andare, eccettuato il piccolo supermercato (che è comunque lontano). Non ci sono negozi, non c'è una libreria, un caffè, una piscina, un cinema, un centro commerciale. Non c'è niente, eccettuata una temperatura di 40°C e un vento che ti rovescia in faccia chili di sabbia, facendola entrare in bocca, nel naso, negli occhi, tra i capelli, nei vestiti.

Sarà che sono stanca di questo rapporto odio-amore con il computer, stanca di passare ore e ore su internet per evitare l'atrofia cerebrale. Stanca di partecipare ai giochini idioti di Facebook, stanca di passare ore su Wikipedia a leggere la storia della Mongolia o l'elenco delle piante rare del Guatemala.
Sarà che non sono capace di stare senza mio marito, mi pesano anche le ore che lui trascorre al lavoro, figuriamoci l'idea di andare qualche giorno in Italia per cambiare aria (che comunque non servirebbe a niente).
Sarà che il soffitto della cucina gocciola, sotto al lavandino è pieno di muffa e le finestre non si possono aprire perchè i vetri sono bloccati dalla sabbia. 
Sarà che sono in piena sindrome premestruale, e vedo tutto nero, anzi, nerissimo.

Sarà. In ogni caso oggi è uno di quei giorni fragili, in cui la mia eutimia, la mia tranquillità sembra venata e sul punto di sgretolarsi come sabbia asciutta.
Lo so, i giorni fragili capitano a tutti, e con questo post non voglio nè impietosire nè dire che sto peggio di altri, ma solo esporre cosa sento. Ogni tanto mi capita un giorno fragile.
Poi mio marito torna a casa e la malinconia svanisce come la nebbia quando il sole si fa alto. Tutto si ridimensiona, e del temporale appena passato resta solo un grande arcobaleno.

martedì 23 aprile 2013

Premi

Eccomi di nuovo qui a scrivere, dopo quasi un mese di assenza. In questo periodo di silenzio c'è stato un viaggio in quel posto meraviglioso che è l'Australia, una settimana di sonno cronico dovuta al jet-lag e una visita di mia madre, che è rimasta per qualche giorno con noi nella casa in mezzo al deserto, dormendo sul divano (ovvero il giaciglio più morbido della casa) e adeguandosi alle temperature in rapida ascesa.

Sto ancora cercando il modo di condensare l'Australia in un post ( o in più post) senza essere troppo prolissa, ma non è facile. Intanto vi anticipo che l'isola è il posto più bello che abbia mai visto, ma questo si può leggere in un qualunque resoconto di viaggio nel Down Under.

In attesa dell'ispirazione scrivo questo post un po' incoerente, cucendo insieme, come in un patchwork, i premi ricevuti negli ultimi mesi, premi di cui non ho ancora parlato ma certo non perchè non li abbia graditi! Colgo anzi l'occasione per scusarmi per il ritardo con chi me li ha assegnati.

A Dicembre ho ricevuto da Lena del blog Alta Priorità il premio di Blog Affidabile.


In super ritardo eleggo altri 5 blog che ritengo meritevoli di tali premio.
Le caratteristiche che questi blog devono avere sono le seguenti:
- Vengono aggiornati regolarmente.
- Mostrano la passione autentica dei bloggers per l'argomento di cui scrivono.
- Favoriscono la condivisione e la partecipazione attiva dei lettori.
- Offrono informazioni e contenuti utili e originali.
- Non sono infarciti di troppa pubblicità.


"Dichiaro che i seguenti blog da me scelti rispettano le 5 regole del premio "Il Blog Affidabile" disponibili a questa pagina: http://www.gliaffidabili.it/a/altro/il-premio-il-blog-affidabile. Sono pertanto una risorsa utile per gli utenti della Rete e meritevoli di essere conosciuti da un pubblico più ampio come gli artigiani, le aziende e i professionisti iscritti su http://gliaffidabili.it/."

I blog da me scelti sono i seguenti:

Come da regolamento devo anche indicare come e perchè ho deciso di aprire il blog.
Ho aperto questo spazio virtuale nel 2011, per raccontare il mondo dal mio punto di vista, potenzialmente diverso da quello degli altri. Poi la vita mi ha portato in Medio Oriente, e il mio blog è diventato il punto di vista di una donna occidentale, diverso -  per cultura, lingua, tradizioni e mille altre cose - da quello del mondo che mi circonda.

A Marzo Daniela di Guarda con il cuore mi ha assegnato l'Inspiring Blog Award.


Ecco le domande a cui devo rispondere:
1- Qual è il capo di abbigliamento che ti fa sentire meglio?
Niente che abbia i bottoni o le zip. Il mio massimo sono fuseaux e maglione.
2- Quando ti senti più energico, mattino, mezzogiorno o sera?
Sicuramente al mattino. Adoro quel momento prima dell'alba in cui c'è un silenzio incredibile e tutto ancora dorme. E' il momento migliore per il mio cervello, quello in cui riesco a concentrarmi di più.
3- Quali sono il tuo cibo e bevanda preferiti?
Sono una donna dai piaceri semplici. Il mio cibo preferito è il cavolo, di qualunque tipo e cotto in qualunque modo, e la bevanda preferita è l'acqua.
4- Quale tipo di cioccolato preferisci?
La cioccolata mi piace tutta, a patto che non sia troppo amara o troppo dolce (tipo quella degli ovetti K.)
5- Qual è il tuo hobby preferito?
Adoro camminare in montagna, preferibilmente dentro un bosco e durante un giorno di pioggia. Purtroppo qui è impossibile, quindi ripiego su Gimp, la pasticceria e il ricamo.
6- Qual è la tua musica preferita?
La musica mi piace tutta (con poche eccezioni), ma ho una predilezione particolare per la sesta e la nona sinfonia di Beethoven, mi fanno sentire bene.
7- Se potessi fare le valigie e partire in questo momento in quale città o paese vorresti andare?
In Australia, senza il minimo dubbio.
8- Hai delle cattive abitudini?
Qui sono estremamente sedentaria, dovrei muovermi di più.
9- Cosa non sopporti degli altri?
I pregiudizi accettati senza riflettere.
10- Cosa non sopporti di te stessa?
Al primo posto l'insicurezza, ma l'elenco è lungo.

Infine, ecco i blog a cui rigiro il premio.

Siamo quasi in fondo: ad Aprile, neveverde di Vita magica di una famiglia alpina mi ha assegnato il Very Inspiring Blog Award 2013.
Da regolamento devo dire sette cose simpatiche di me stessa. Vediamo..
1- Amo tantissimo il profumo delle viole e dei narcisi selvatici, passerei ore ad annusarli. Forse in un'altra vita sono stata una farfalla :)
2- Ricordo sempre i miei sogni in modo preciso e dettagliato, anche a distanza di anni.
3- Adoro impastare: pane, pasta, focaccia, dolci...
4- Uno dei miei desideri è avere un piccolo orto da crescere con le mie mani, dove raccogliere verdure 100% biologiche.
5- Per due anni ho seguito un corso di calligrafia cinese, che mi ha fatto venire una gran voglia di visitare la Cina.
6- Ho bevuto la coca-cola per la prima volta quando avevo 21 anni, e solo un cucchiaino. Non mi è piaciuta, e non ho ripetuto l'esperienza.
7- Amo gli insetti, scarafaggi a parte, e ho sempre desiderato mettere su un piccolo allevamento di farfalle.

Ecco i blog a cui rigiro il premio. Non sono dieci ma molti meno:
Il Timido Ubriaco (che mi odierà, per questo!)

Ho finito. Ringrazio di nuovo tutti quelli che mi hanno premiata.
A presto!