mercoledì 20 giugno 2012

Ingredienti, che nostalgia!

Ieri, frugando nel'armadio alla ricerca di un libro da leggere nei momenti di noia, ho trovato un vecchio numero della mia rivista di cucina preferita. L'ho guardato, sospettosa, indecisa se rileggerlo o continuare la mia ricerca. 
Le riviste di cucina italiana qui sono pericolose, possono aprire squarci e alimentare ricordi di profumi e sapori, facendo scorrere fiotti di nostalgia. Se da un lato sono pericolose, dall'altro però sono anche piacevoli, e possono essere un prezioso spunto per creare nuovi piatti, o per riportare alla mente ricette ormai dimenticate.
Sono rimasta un attimo in forse, con il giornale in mano, indecisa se leggerlo o no, poi ho chiuso l'armadio e mi sono diretta verso il salotto.
Apro la rivista. Un articolo sui cibi biologici a "Km 0", uno sul corretto uso di un ipermoderno frigorifero multipiano, pubblicità di invidiabili attrezzature che fanno capolino tra le pagine. Le ricette hanno solleticato la mia fantasia e la mia creatività, ma nemmeno una era realizzabile. Ho chiuso il giornale, rimpiangendo di non aver optato per una lettura più innocua.
A volte mi viene da pensare che forse, invece che in un altro continente sono finita su un pianeta alieno, dove menti completamente diverse dalla mia hanno ideato la cultura e le regole sociali di questo desertico paese. 
Per quanto riguarda la cucina, qui la parola magica è "adattamento", in quanto gli alimenti sono ben diversi da quelli a cui siamo abituati.
Cominciamo dalle uova. In Italia la data di scadenza è un mese dopo la deposizione. Se devo fare una crema, tipo uno zabaione o una pasticcera, so che posso contare sulle uova extra fresche, deposte meno di una settimana prima. Qui le uova scadono dopo tre mesi dalla deposizione. Tre mesi. Non solo le uova fresche non ci sono, ma la maggior parte delle volte quelle che trovo in commercio hanno già un mese di vita. Le uso, perchè non c'è altro, ma non posso fare a meno di pensare che in Italia sarebbero già da buttare, e vorrei capire se è solo una diversa interpretazione del concetto di "fresco" o se qui alle galline danno da mangiare dei conservanti.
Delle erbe aromatiche, mie preziose alleate in cucina, qui si trova solo il prezzemolo. Il basilico, il timo, il rosmarino, l'alloro e la salvia sono irreperibili. In qualche supermercato molto fornito si può trovare qualcosa in polvere, ma, a parte i prezzi stratosferici, il sapore è inesistente.
Vino e derivati del maiale qui hanno un'esistenza tutta speciale, a causa dei dettami religiosi. Il vino e gli alcolici in generale, tanto utili in cucina, vengono venduti solo in speciali negozi dai vetri oscurati, un po' discosti dalle vie più frequentate, e per comprare qualcosa occorre procurarsi una costosa licenza. 
Quanto al maiale, la leggenda dice che nei supermercati c'è un settore dove si vendono carni e derivati suini, ma io questo speciale reparto non l'ho mai visto, per quanto l'abbia cercato a lungo. 
I salumi si trovano comunemente nel banco frigo, ma si tratta di "falsi": il prosciutto è fatto col tacchino, la mortadella è di vitello, e così via. A parte la quantità di conservanti che contengono, il sapore è ovviamente completamente diverso.
I formaggi sono pochi, e completamente diversi. La ricotta è ovviamente importata, e si trova raramente. Inoltre, poichè viene acquistata dai supermercati una volta al mese, conviene andare nei primi giorni, onde trovare prodotti freschi. Negli ultimi giorni di solito è esaurita, e se se ne trova ancora qualche confezione la data di scadenza è dopo un giorno o due. La mozzarella viene venduta solo in due supermercati, e si trova molto raramente, e non parliamo del parmigiano. I formaggi locali sono pochi, e sono di solito cremosi, una via di mezzo con lo yogurt.
Per quanto riguarda la frutta e la verdura, qui il concetto di "biologico" o di "Km 0" deve fare i conti col fatto che siamo nel deserto, e quindi, purtroppo, comprare prodotti importati da altri paesi è la regola. 
Il coniuge stravede per i frutti di bosco, e ogni volta che si va in città questi sono un acquisto fisso. Ogni volta che li devo lavare mi vengono i brividi: in Italia sono frutti delicatissimi, che spesso dopo qualche ora hanno già la muffa. Qui sono importati dagli Stati Uniti o dall'Australia, e anche dopo una settimana sono sempre lucidi e brillanti.
La verdura arriva soprattutto dalla Spagna, dalla Giordania, dall'Egitto e dalla Cina, e per quanto la lavi a lungo e con cura ho sempre il dubbio su quello che sto mangiando, e coltivo il sogno di un piccolo orto dove crescere verdure senza pesticidi e conservanti.
A dire il vero anche qui c'è la verdura biologica, ma è poca e difficilissima da trovare. Nelle oasi ci sono delle fattorie che producono verdura biologica, ma il sito internet non è aggiornato e non si sa dove vendano i loro prodotti.
Tutto questo discorso ovviamente vale solo per la città, distante 180 km. Qui nel paesino sperduto fare la spesa è un'impresa, e molti dei prodotti che in Italia sono in vendita anche nel più piccolo negozietto qui non si trovano, tipo il burro.
Ci sono almeno otto tipi di yogurt diversi, da quello praticamente solido a quello liquidissimo, ma niente formaggi degli di questo nome, solo dei "preparati" pieni di additivi e conservanti.
La scelta di frutta e verdura è molto limitata, e tantissime cose si trovano solo saltuariamente.

Non parliamo poi delle attrezzature da cucina: il mio forno, a gas, con bombola vicino alla finestra, cuoce senza bruciare, ma seccando terribilmente tutto. A nulla vale inserire nel forno un recipiente con dell'acqua, cuocere al minimo e nel ripiano più alto: il risultato è invariabilmente molto croccante ( quando va bene) e bianco in superficie. Sul frigo mi sono già dilungata in un post precedente. 
Insomma, un altro mondo. Anche quando, raramente, riesco a reperire gli ingredienti giusti resto comunque delusa, perchè i sapori non sono gli stessi.
Forse la cucina italiana si può fare solo in Italia, e all'estero occorre rassegnarsi a sapori e ad aromi diversi, accontentandosi di sognare sfogliando le pagine di una rivista.

sabato 16 giugno 2012

A.A.A. Cercasi armatura (e qualcosa per stordire la pecora killer)

Vivere nel deserto, specialmente in un posto come questo, dopo un po' stanca.
Pertanto da un po' di tempo i nostri discorsi e i nostri progetti per il futuro si sono spostati in altri paesi, con altri climi, altre culture, altri paesaggi. 
Non sappiamo ancora di preciso dove andremo nè quando sarà la partenza, ma uno dei posti che stiamo prendendo in considerazione è l'Australia.
Australia: la barriera corallina, Uluru, le meravigliose spiagge, i canguri.. questa è una di quelle mete che mi hanno fatto sempre sognare ad occhi aperti. E' veramente bizzarro come, pensando all'isola, non l'abbia mai considerata un posto pericoloso. Se me l'avessero chiesto due o tre giorni fa avrei detto che il continente più pericoloso è l'Africa, forse l'America del Sud, ma non certo la vasta isola oceanica.
Qualche giorno fa abbiamo comprato la grossa Lonely Planet Australia, e ci siamo immersi nelle sue descrizioni e nei suoi colori. 
Due giorni fa, aprendola distrattamente alla prima pagina, dove c'è un indice sommario del volume, mi cade l'occhio su "pericoli mortali".
Caspita. Mortali? Cosa può esserci di mortale in un posto così bello, pieno di simpatici canguri e morbidi koala? Ho iniziato a leggere, poi a controllare su Internet. In  effetti questo bellissimo paese qualche rischio lo presenta. 
Iniziamo dalle splendide spiagge, che mi attirano irresistibilmente. Una delle mie attività preferite, in spiaggia, è raccogliere conchiglie, ma dopo aver letto del Conus, sicuramente eviterò di farlo. Si tratta di un animaletto racchiuso in una bellissima conchiglia, e dotato di un aculeo velenoso in grado di iniettare un mix di tossine letali per un uomo adulto. E va bene, niente conchiglie. 
Anche nuotare nelle acqua cristalline riserva qualche pericolo. La box jellyfish è una medusa di dimensioni imponenti, i cui tentacoli possono arrivare a tre metri di lunghezza, ed è uno degli animali più velenosi del mondo. Citando da Wikipedia, la "strisciata" è dolorosissima e produce un'intensa sensazione di calore. Il veleno quando entra nel circolo sanguigno causa intensi spasmi muscolari, paralisi respiratoria e infine arresto cardiaco, il tutto nel giro di 2-3 minuti. Insomma, magnifico. 
Però caspita, se è di grosse dimensioni si vedrà, no? A parte il fatto che la lunghezza dei tentacoli è tale da poter essere sfiorati anche quando il corpo dell'animale è sufficientemente lontano da non essere visibile, c'è un'altra medusa letale che abita da quelle parti. Questa è invece minuscola, e si chiama Irukandji. Grazie al veleno secreto dal simpatico animaletto, essere sfiorati comporta tutta una serie di conseguenze spiacevoli, e anche se la singola puntura "non è di solito letale" anche questa specie è riuscita a mietere vittime.
Ok, niente nuotate in mare aperto. E camminare dove l'acqua è bassa? Neanche da pensarci. Questo infatti è il regno del piccolo polpo dagli anelli blu e del pesce pietra (quest'ultimo particolarmente difficile da vedere perchè si mimetizza). Scontato dire che il contatto con l'uno o con l'altro porta all'inoculazione di una tossina che porta all'arresto cardiaco in pochi minuti.
Lo scenario marino è completato dai serpenti marini, dotati di un veleno simile a quello del cobra, dal ferocissimo coccodrillo marino, lungo più di 5 metri, ed ovviamente dallo squalo.
Se poi parliamo della barriera corallina, lì si possono trovare altre simpatiche creature.

Ma passiamo alla terraferma. Tra i serpenti australiani ci sono alcuni degli esemplari più velenosi del mondo, come il taipan, che ogni anno fa un discreto numero di vittime. 
Dopo aver letto la lunga sfilza di serpenti il cui veleno è mortale a meno che non venga inoculato velocemente l'antidoto ( e qui mi viene il dubbio: ma se io non sono un'esperta di serpenti, e quando vengo morsa vedo a malapena un affare che corre via tra l'erba, come fanno in ospedale a sapere quale antidoto darmi?) ho pensato ok, vita di città. Ma neanche questa è tranquilla e sicura.
Il Sydney funnelweb spider è uno dei ragni più pericolosi del mondo. Oltre che all'aperto, è stato rinvenuto vicino (e anche dentro) alle piscine, all'interno delle abitazioni, sotto vestiti lasciati sul pavimento, dentro agli armadi e all'interno delle scatole da scarpe. Il suo comportamento è peculiare, e quando si sente in pericolo solleva le zampe anteriori e attacca. Il consiglio, ovviamente, è di allontanarsi velocemente appena se ne individua uno ( tutto bene se l'avvistamento è fuori di casa.. ma in caso contrario?). Il veleno agisce sul sistema nervoso, e senza l'antidoto stronca un uomo adulto in 40 minuti.
Ovviamente non è l'unica specie pericolosa, ce ne sono diverse, tra cui il Redback. Il White tailed spider, che è stato rinvenuto anche tra le lenzuola dei letti, non è mortale, fortunatamente. Provoca solo ulcere necrotiche, ma tranquilli, si sopravvive.
Per quanto riguarda gli altri animali, il maschio del buffo ornitorinco è velenoso. I simpatici e saltellanti canguri possono arrivare a due metri d'altezza (alcune specie). Sono aggressivi, e possono assaltare un'automobile. Per evitare danni al motore in Australia vendono la roo bar, da posizionare sulla parte anteriore delle vetture, per evitare danni.
La sfilza è ancora lunga. Per avere incubi notturni consiglio QUESTO documentario della National Geographic.

Bisogna stare tranquilli, comunque. Il panico non serve. Specialmente dopo aver letto che, statisticamente, sembra che i veri killer australiani siano mucche e pecore, che causano frequentemente incidenti stradali, di cui alcuni mortali.

lunedì 4 giugno 2012

Ghiaccio e altre amenità

Personalmente trovo il ghiaccio una bellissima decorazione naturale.
Mi piace camminare per un sentiero, in inverno, e vedere piccole stalattiti pendere dai rami di un albero o dal cornicione di una casa, quando tutto il resto è avvolto da un silenzioso manto di neve, punteggiato dalle orme degli animaletti del bosco. Mi piacciono i piccoli cristalli di ghiaccio che si formano sui prati e sugli alberi nelle notti fredde, e scintillano come diamanti in mille barbagli di luce ai primi raggi del sole. Lo trovo caratteristico, parte integrante della bellezza dell'inverno.
Prima di trasferirmi qui c'era solo un tipo di ghiaccio che detestavo: quello che si forma sul manto stradale, creando pericolose lastre su cui le automobili possono slittare e avere brutti incidenti.
Poi sono venuta a vivere qui, nel deserto ( che posto strano per parlare di ghiaccio!), e ho scoperto un posto dove trovarlo sempre, anche se fuori ci sono 45°C: il mio frigorifero.
Questo ameno elettrodomestico, ( marca Nikai, in caso qualcuno ne scoprisse uno in qualche recondito recesso di un negozio di elettronica e pensasse di comprarlo) ha un difetto fondamentale: è umidissimo. 
Grosse gocce d'acqua si formano all'interno di qualunque cosa, sacchetti, barattoli, piatti, pentole, e precipitano poi sul cibo sottostante, creando in pochi giorni ( a volte bastano poche ore) rigogliose coltivazioni di muffe. 
Mi capita quasi tutti i giorni di aprire il frigo per prendere un ortaggio, o l'avanzo di un cibo già cotto e riposto lì poco tempo prima e di trovarci sopra l'inconfondibile peluria bianco-verdastra.
Forse un elettrodomestico così sarebbe il sogno di un laboratorio di ricerca, perchè in effetti le muffe vengono su benissimo, ma io non sono Fleming, e mi accontenterei di poterci tenere dentro l'insalata.
Questo ovviamente causa qualche problema, dato soprattutto dal fatto che la città dista 180 km, e andarci più di una volta alla settimana per fare la spesa non è fattibile.
Abbiamo provato a capire quale fosse il problema del nostro frigorifero, ma probabilmente non ha un problema particolare, visto che fin dall'inizio si è comportato in questo modo.
Regolando il termostato sulla temperatura più bassa possibile, nei ripiani bassi c'è un'umidità che si taglia col coltello, mentre in alto, dove c'è lo sportellino del vano freezer ( minuscolo), ci sono quattro dita di ghiaccio.
Avevo letto da qualche parte che i frigoriferi che vengono prodotti oggi non hanno più bisogno di essere sbrinati (sbrinati... che dilettanti!! io non sbrino, sghiaccio, è diverso), ma probabilmente l'articolo si riferiva a marche particolari, o forse all'Italia, o all'Occidente. In ogni caso il mio frigo necessita di un'operazione di sghiacciamento almeno una volta al mese ( due sarebbe meglio) altrimenti la massa di ghiaccio cresce talmente tanto che non si riesce più a chiudere la porta del frigorifero, con conseguente peggioramento dello stato di salute (già precario) dei cibi in esso contenuti.
Stamattina, poichè da due giorni il frigo non si chiudeva più bene, ho deciso di dedicarmi all'amena operazione. 
Il campo di lavoro non era il massimo: dopo i suoi recenti balletti la lavatrice si è posizionata proprio davanti al frigo, fortunatamente ad una distanza sufficiente per aprire lo sportello, ma non ottimale per procedere allo sghiacciamento.
Ora, come si sbrina un frigo? Quando ero bambina ricordo che era un'operazione molto saltuaria, che veniva  eseguita in estate, prima di partire per le vacanze, e si realizzava semplicemente lasciando il frigo staccato per qualche ora. 
Qui non è così facile. Prima di tutto perchè il frigo contiene sempre alimenti velocemente deperibili, e quindi l'operazione dev'essere fatta il più velocemente possibile. Secondariamente perchè qualche ora non basta affatto per togliere il ghiaccio.
Quindi? scartata l'idea di accendere un falò dentro al frigorifero, ho realizzato che la cosa migliore è l'acqua bollente. Quindi il frigorifero viene svuotato, vengono posizionati degli stracci sul pavimento, e il ghiaccio viene quindi innaffiato di acqua fumante.
Se qualcuno, leggendo le mie parole, sta pensando a rendimento,  rese energetiche e spreco di risorse... beh, sarò lietissima di ricevere in dono da queste persone un nuovo frigorifero (ovviamente che si sbrini da solo), e sarò più che lietissima di adoperarlo al massimo del suo rendimento, senza sprechi.
Nel frattempo devo usare questo, ed eseguire questa amabile operazione. Il  tempo medio per togliere non certo tutto il ghiaccio, ma una quantità sufficiente per chiudere di nuovo bene lo sportello varia da un'ora e mezza a due, fino a sfiorare le tre ore.
Oggi, dopo aver terminato l'operazione (e aver lavato e asciugato con attenzione tutto il frigo, già che c'ero) ho rimesso dentro tutti i cibi, controllando che fossero in buono stato. 
Sdraiandomi sul pavimento ho quindi dato un'occhiata sotto all'elettrodomestico, per controllare che non ci fosse finita dell'acqua.
Nessuna traccia di liquidi. In compenso, in un angolo, c'era un uovo di scarafaggio, di una specie che non vedevo da un bel po', deposto (spero) molto tempo fa. 
Che dire, certo non c'è di che annoiarsi, in questa casa.

sabato 2 giugno 2012

Qui nulla è semplice, ovvero la lavatrice posseduta

Dopo lunghe ricerche, qualche giorno fa abbiamo finalmente individuato una lavatrice con le caratteristiche che volevamo ( possibilità di lavaggio con acqua calda, centrifuga, capienza normale, prezzo buono) qui nel paesino sperduto. La nostra felicità (specialmente la mia) era ai massimi livelli.
Una lavatrice!!! Finalmente non dovrò più lavare le lenzuola nel lavandino, e strizzarle in modi rocamboleschi. Che meraviglia.
Ieri, pieni di aspettativa e speranze, siamo andati nell'unico negozio del paese, un supermercato che vende un po' di tutto, dove, nella parte degli elettrodomestici c'era lei, la lavatrice, che ci aspettava. 
Immaginavamo una cosa facile: noi indichiamo l'elettrodomestico prescelto, paghiamo, qualcuno ci porta a casa la lavatrice ed esegue gli allacci necessari, dopodiché siamo finalmente liberi dalla schiavitù del lavaggio dei panni a mano.
Ovviamente questo programma era troppo semplice per poter essere possibile qui.
Arriviamo al supermercato, e indichiamo al commesso l'elettrodomestico che vogliamo acquistare. Lui ci guarda perplesso. Va a chiamare un altro commesso, che a sua volta ne chiama ancora uno. Quest'ultimo, un ragazzo coreano dell'apparente età di dodici anni, si avvicina guardingo alla lavatrice, ne apre lo sportello e si mette a guardare l'interno con estremo interesse, come se stesse guardando una volta affrescata. 
Prende quindi il il libretto delle istruzioni, e si mette a leggere. Noi aspettiamo. Dopo un po' prende un tubo, e cerca di capire come vada connesso alla lavatrice. Noi lo guardiamo perplessi. Forse è uno di quelli che ci porteranno il nostro acquisto a casa, magari sta cercando di capire come fare a collegarla. Chiediamo conferma ad uno degli altri commessi, che ci dice che no, quel ragazzo non è quello che fa le consegne. 
Ma che accidenti sta facendo, allora? Continuiamo ad aspettare. Dopo un po' lui si allontana, con il tubo in mano. Lo vediamo poco dopo arrampicarsi sopra ai frigoriferi della zona latticini. Dopo aver camminato per cinque o sei metri si accuccia, raccoglie qualcosa e scende.
Mio marito nel frattempo si rivolge ad uno degli altri commessi, e gli chiede se possiamo avere la lavatrice nella sua scatola. Ovviamente stiamo dando per scontato che quella che vediamo lì sia in esposizione, e immaginiamo che ci sia un magazzino con delle altre ancora imballate.
L'uomo ha uno sguardo vacuo. Scatola? Imballaggio? Questa lavatrice qui non va bene? Ok, soprassediamo. Questa lavatrice va benissimo.
Il ragazzo torna, restituisce il tubo, e dopo soli 45 minuti riusciamo finalmente a pagare. 
Due uomini si fanno avanti, prendono la lavatrice, se la caricano in spalla e la portano fino all'automobile di uno dei due. 
Arriviamo a casa, e corro ad aprire il porta. Ok, è stata una cosa un po' lunga, ma adesso la lavatrice è qui!! Mi crogiolo nell'idea di poter lavare velocemente la catasta di panni che attende nel cesto della roba sporca.
Gli uomini entrano, e depongono l'amato elettrodomestico per terra. Chiediamo se possono provvedere all'allaccio. Loro si guardano, e ci dicono che non hanno idea di come si faccia. 
E va bene. Forse abbiamo una soluzione.
Attawi è il ragazzo indiano che si occupa della manutenzione del nostro palazzo. L'abbiamo chiamato la prima volta qualche tempo fa, per sistemare una tremenda perdita d'acqua nel muro della cucina. Lui è arrivato e ha sostituito il tubo, senza fare macelli. Uscendo di casa si è accorto che la maniglia non funzionava, e l'ha riparata. 
Attawi è il nostro uomo, lui ci aiuterà. Lo chiamiamo, e in pochi minuti è da noi. Gli mostriamo la lavatrice, e gli spieghiamo il problema. Lui ci guarda, perplesso, e se ne va. Certo, se Attawi parlasse qualche altra lingua, oltre al Bengalese, sarebbe più facile comunicare. 
Tornerà? Ha lasciato la porta aperta, lo consideriamo di buon auspicio. Già che ci siamo andiamo a chiedere consiglio ai vicini. Loro entrano, guardano, scuotono la testa e ci dicono che il punto dove dovrebbe esserci l'allaccio dell'acqua, nel muro, è spaccato. 
Magnifico. Per tirarci su di morale aggiungono che invece loro avevano la presa elettrica frantumata. 
Sì, questo palazzo l'hanno costruito con i piedi.
Dopo un po' Attawi torna, e armeggia per un po' con la lavatrice. Poi ci chiama, e ci fa segno che ora tutto è a posto. C'è un po' d'acqua sul pavimento, ma pazienza. Facciamo partire un ciclo di prova, come dicono le istruzioni. Funziona benissimo.

Stamattina, piena di emozione carico la lavatrice, aggiungo il detersivo e la metto in funzione. Dopo un po' si avvia la centrifuga. Il rumore è quello di un elicottero che stia atterrando nella nostra cucina. Ci precipitiamo a vedere: l'elettrodomestico sta saltellando in giro per la stanza. Usando tutta la forza che abbiamo riusciamo ad evitare che si autodistrugga o arrechi danno alle altre suppellettili.
C'è una manopola per regolare il numero di giri del cestello, e ci affrettiamo a metterla al minimo. Niente da fare, alla centrifuga seguente siamo di nuovo aggrappati tutti e due alla lavatrice, per evitare di farla vagare in giro per la casa. A questo punto selezioniamo l'opzione "No spin", e ci illudiamo di aver risolto il problema. Alla centrifuga seguente le cose vanno un pochino meglio: è sufficiente una sola persona per tenerla ferma. Alla quarta ed ultima centrifuga la maledetta riesce a staccare dal muro il tubo dell'acqua, con conseguente piccolo allagamento.
Segue telefonata ai genitori in Italia per chiedere lumi, perchè non posso incatenare la lavatrice ogni volta che devo fare un lavaggio.
Al momento il problema non è ancora risolto, e suppongo che finchè non lo sarà mi rivolgerò al mio fidato lavandino. Almeno quello non lo devo inseguire in giro per la casa.

venerdì 1 giugno 2012

Cajun style stuffed peppers



Come ho già scritto, mi capita spesso di cucinare piatti di cui mio marito non ha voglia, e che vengono evitati, per fare spazio ad altri cibi. La scena è sempre la stessa: io entro con la pentola fumante, e già percepisco dallo sguardo che quello che ho cucinato non è quello che avrebbe voluto mangiare quel giorno.
Mi siedo, e osservo. Un paio di bocconi, e poi una fuga in cucina a prendere le barrette di cereali, o i biscotti, o una fetta di pane.
La scena si è ripetuta con le fette di polpettone arrotolato al tonno, la crema di mandorle e zucchine, la quiche di cipolle, il cavolfiore gratinato con bechamelle all'olio e così via. 
Per limitare i danni, ho quindi preso l'abitudine di chiedere ogni settimana quali sono i desideri culinari del momento. 
Di solito la risposta è a scelta tra "Quello che vuoi" o "Non lo so" o anche "Va bene tutto", ma ogni tanto ottengo dei suggerimenti preziosi, che mi permettono di cucinare qualcosa che viene mangiato e apprezzato, con conseguente soddisfazione personale.
Un giorno, alla solita domanda mi ha risposto: "I peperoni! i peperoni ripieni di carne e riso.. sono una ricetta americana". Ho passato un'intera mattina su internet cercando la ricetta del piatto che mi era stato chiesto, trovandone tantissime versioni. 
Quelle che mi ispiravano di più venivano dalla Louisiana, nel sud degli States, dove le influenze francesi si mescolano con quelle dei Nativi Americani, con echi di sapori europei e profumi africani e caraibici, creando quella che è la cucina Cajun. Sfortunatamente non avevo la jambalaya, nè i gamberi del golfo del Messico, quindi mi sono arrangiata come potevo. 
Il piatto è piaciuto tantissimo, tanto che mi viene richiesto almeno due volte alla settimana.

Peperoni ripieni Cajun
Ingredienti:
3-4 peperoni grossi
500 g di carne di manzo macinata 
1 bicchiere e 1/2 di riso
1 cipolla di medie dimensioni
1 grossa costa di sedano
500 g di salsa di pomodoro
Mezzo bicchiere di vino rosso
Olio extravergine di oliva
3-4 cucchiaini con un misto di: peperoncino di Cayenna in polvere, pepe in polvere, aglio essiccato, origano e timo
Sale

Preparazione:
Tritare grossolanamente la cipolla e la costa di sedano. 
Mettere un filo d'olio in una capace padella, e mettervi la carne, "sgranandola" in piccoli pezzi. Sfumare con il vino rosso, e ridurre la fiamma al minimo. Salare, e aggiungere il trito di cipolla e sedano e la salsa di pomodoro. Mescolare, e unire le spezie. Coperchiare e cuocere per circa mezz'ora, finchè il sugo non si restringe.
Tagliare i peperoni a metà nel senso della larghezza, privarli dei semi e del residuo di gambo, lavarli e passarli in acqua bollente e salata  finchè toccandoli con la forchetta non saranno teneri ma non molli molli (5-6 minuti, a volte di più, dipende dallo spessore e dalla consistenza del peperone).
Scolarli e lasciarli asciugare su un canovaccio. Bollire il riso, scolarlo al dente e unirlo delicatamente al sugo.
Mettere i mezzi peperoni in una teglia da forno, oliarli e salarli leggermente, e riempirli con il ripieno di riso e carne, pressando bene.
Passare in forno già caldo per una ventina di minuti.