giovedì 24 aprile 2014

Di scrostamenti e maledetti virus

Lo so, il titolo fa un po' schifo, e prima che me lo chiediate: no, non mi sono presa la varicella (già fatto a 14 anni), e grazie al cielo il vaiolo è stato eradicato.
E' successo che circa dieci giorni fa stavo infornando il pane, come faccio ogni giorno. Passato il giusto tempo ho tolto le baguette dalla teglia: dorate e profumate come al solito, ma avevano sopra dei puntini neri luccicanti. Lì per lì non ci ho fatto caso, ho pensato a qualche strana reazione della farina, le ho spolverate con un panno e ce le siamo mangiate.
La sera dopo si replica, apro il forno e noto di nuovo sul pane delle particelle nere luccicanti. Questa volta sono più grosse, circa mezzo centimetro, e più numerose. Ne prendo una in mano e la osservo: è vernice. Il forno si sta scrostando. 
Una veloce indagine con una torcia rivela una zona piena di bollicine nella parte alta, subito sopra la resistenza.

Sospiro. L'elettrodomestico è nuovo, di una marca nota anche in Italia, e l'abbiamo comprato solo quattro mesi fa. Provo a cercare online, ma non trovo notizia di forni elettrici scrostati. La vernice interna, mi dice anzi un sito, è termoresistente fino a 350°C. 
Già. Ricordo di aver letto una volta da qualche parte un paragrafo che veniva definito come una delle "leggi fondamentali dell'economia", e che da quando sono qui mi torna spesso in mente.
Il succo era che un qualunque aggeggio venduto in Occidente è diverso dallo stesso aggeggio della stessa marca venduto altrove. Per l'Occidente si usano tecnologie e materiali migliori ( e questo risulta in un costo maggiore) e per gli altri posti si utilizzano materiali, tecnologie e manodopera di livello più basso. Conseguentemente l'aggeggio venduto altrove è di qualità peggiore ma ha anche un costo più basso e questo permette alla gente di comprarlo.

Io non capisco niente di economia, ma sospetto che la vernice del mio forno non sia di quelle che arrivano a 350°C senza deteriorarsi. Dal momento che siamo in garanzia decidiamo di andare nel negozio dove l'abbiamo comprato per chiedere cosa fare. Nel frattempo, poichè la vernice non è proprio un toccasana,  le baguette per sicurezza finiscono nella spazzatura.
Il giorno dopo andiamo al negozio. I commessi sono perplessi, fanno fatica a capire quale sia il problema, comunque ci dicono che contatteranno la ditta e che un tecnico verrà a vedere. 
Passano i giorni e non si fa vivo nessuno. Nel frattempo il forno non lo uso e le baguette sono state sostituite dal pane arabo in padella e da quella che ho chiamato panpizza, ovvero pizza in padella. 

Finalmente l'uomo arriva, guarda il forno, passa la mano sulla resistenza e fa notare che non si stacca nulla. Gli facciamo notare che il problema non è nella resistenza ma sopra, sul "soffitto" del forno. Lui guarda ma non riesce a capire. Infine mio marito passa una mano sulle bollicine e gli fa vedere i frammenti di vernice. 
Lui è perplesso. Mi ricorda quest'altro tecnico qui. Infine ci dice che contatterà la ditta e ci farà sapere il giorno seguente.
Il giorno dopo non chiama nessuno, e nemmeno il giorno dopo ancora. Il terzo giorno mio marito prende il telefono e lo chiama.
- No, non mi ero dimenticato - dice lui - ma la ditta non ha ancora stabilito cosa fare. Vi richiamo io.

Due giorni dopo telefona. Due uomini verranno a prendere il forno, e poi ci faranno sapere. Mi sembra di essere ad un colloquio per un lavoro per il quale abbiamo poche speranze.
Gli uomini sono venuti, si sono portati via il forno e con esso i fornelli sovrastanti.

Ora la cucina ha un aspetto desolato, vicino al frigo c'è un buco, e l'unica cosa che mi è rimasta per cucinare è il nostro scalcagnato microonde, quello che utilizziamo esclusivamente per farci il tè e per scaldare cibi già cotti. Ho un libro con 600 ricette per il microonde, ma quasi tutte prevedono la funzione combi o quella crisp, e il mio povero elettrodomestico non ha nessuna delle due, è vecchio, semplice e incrocio le dita che ora non inizi a scrostarsi pure lui. Oltre a tutto questo gli unici recipienti che possiedo idonei al microonde sono le tazze e un piatto di vetro con i bordi.
- ... e quindi capisci, dobbiamo comprare un fornellino elettrico, o quanto meno altri recipienti per il microonde. Non possiamo andare avanti così. Io con cosa cucino?  - ho detto oggi a mio marito.
Lui mi ha guardata a lungo. Non ci sono problemi, mi ha detto. In qualche modo facciamo.
Forse l'ansia per la preparazione del cibo è una cosa scritta solo nel mio DNA italiano e i suoi geni statunitensi ne sono immuni.
Comunque sia, comprerò qualche scodella e dei recipienti adatti. Nel frattempo, se qualcuno avesse delle ricette per microonde senza funzioni sofisticate, e me le segnalasse, si conquisterebbe la mia eterna gratitudine.

Domani andremo al centro commerciale per comprare i recipienti, e speriamo di non portarci a casa altro.
Il fatto è che, purtroppo, da un paio d'anni qui in Medio Oriente c'è un brutto coronavirus responsabile della Middle East Respiratory Syndrome (MERS) più nota come la SARS del Medio Oriente. Per chi non l'avesse mai sentita nominare c'è una pagina di Wikipedia a riguardo.
Ultimamente da queste parti ci sono stati alcuni casi mortali. Non sono i primi, ce ne sono stati altri, ma ora sono morte tre persone a pochi giorni di distanza l'una dall'altra. I giornali ovviamente riportano dettagliatamente il fatto: "Due morti per MERS, 24 persone in quarantena" "un altro morto, altri otto in quarantena" e così via. 
Un po' di ansia c'è. La situazione è sotto controllo, niente a che vedere con l'Arabia Saudita, dove sembra che il virus abbia colpito più a fondo, ma una leggera inquietudine quando andiamo in posti affollati come i centri commerciali ce l'abbiamo. Ovviamente giriamo col gel disinfettante per le mani in borsa, stiamo ben attenti a non toccarci il viso...però un filino di ansia c'è sempre. Quella signora che sta starnutendo vicino a me avrà davvero solo il raffreddore? il bambino che ha tossito e poi ha schiacciato il pulsante dell'ascensore starà mica male?
Purtroppo è così. Comunque sia la situazione è sotto controllo e il governo sta adottando misure efficaci per contenere il fenomeno.
Tra l'altro la temperatura esterna inizia ad essere alta, siamo sui 38-40°C, e lo sbalzo con l'interno degli edifici (dove c'è l'aria condizionata a palla) causa facilmente un'infreddatura. 
Accidenti ai virus. E in misura minore anche ai forni scrostati...

PS: il post sull'Australia è in elaborazione..

domenica 13 aprile 2014

Quella lettera che non avevo terminato


Cara Marta,
se devo essere sincera, la prima volta che ti ho incontrata ho pensato che tu fossi matta. 
Era il Settembre del 1998, all'inizio della seconda liceo - il quarto anno - ed io ero una sedicenne con lo smalto viola sulle unghie, introversa e probabilmente insopportabile.
Era il cambio dell'ora, e stavamo aspettando la nuova professoressa di Italiano. Poi abbiamo sentito i passi nel corridoio, e sei entrata in classe. Ci hai guardato per un lungo minuto, poi hai iniziato a snocciolare tutte le cose che non andavano bene. Non si viene a scuola col trucco (ricordo che ho nascosto le mani sotto al banco e una volta a casa ho tolto lo smalto viola per non metterlo mai più), non si sta in classe con la sciarpa nè tanto meno col cappotto ( anche se la nostra aula era freddissima e piena di spifferi) e così via, tutte quelle regole che volevi che seguissimo per trasformarci in persone "civili".

Poteva dare fastidio, ma l'insofferenza smetteva di colpo - almeno per me - nel momento in cui iniziavi a spiegare. Le tue lezioni erano qualcosa di meraviglioso. Non erano solo di letteratura, nè di arte, nè di storia, ma di tutte queste cose combinate insieme, e - soprattutto - avevano la capacità di tenere la mia attenzione incollata alle tue parole, senza che riuscissi a distrarmi nemmeno per un secondo, tanto che alla fine dell'ora non riuscivo a capacitarmi che il tempo fosse passato così rapido. Avevano la capacità di toccare tutte le corde del mio cuore, e di emozionarmi profondamente. Non prendevo appunti, e devo confessarti di aver aperto il libro pochissime volte, durante i due anni in cui sei stata la mia insegnante. Non ne avevo bisogno. Mi bastava ascoltare, e grazie alle tue parole potevo quasi entrare nel periodo storico che stavi spiegando.

Mi ricordo quella mattina in cui ero appena arrivata in classe. Avremmo avuto un'ora con te e poi due compiti in classe, di due materie diverse.
Tu sei entrata e mi hai chiamata per interrogarmi. Io mi sono alzata un po' titubante, perchè il giorno prima non avevo nemmeno aperto il libro. Ma non serviva. Ricordo che tornai a posto con un nove. 
Le tue lezioni, Marta, te lo dico subito, sono ancora tutte lì, nella mia memoria, da "riconoscerai ch'i son Piccarda" a "Signori e cavallier che ve adunate, per odir cose dilettose e nove", da "donna al telaio, gallina di pollaio e triglia di Gennaio" al "girasole impazzito di luce", e le considero una parte fondamentale del mio bagaglio culturale personale.

Ricordo quel giorno terribile in cui tuo fratello morì in un incidente d'auto.
Con due mie compagne di classe andammo al funerale. Ricordo che loro ti strinsero la mano e ti porsero le loro condoglianze, mentre io ti abbracciai stretta in mezzo alla chiesa, perchè in quel momento le formalità non avevano importanza, in quel momento non eri la mia professoressa ma solo una creatura disperata e in lacrime, e volevo farti sentire il mio affetto.

Alla maturità, una volta finiti gli orali, con mia grande gioia mi hai dato un pezzetto di carta con il tuo indirizzo.
- Scrivimi - mi hai detto.
La possibilità di restare in contatto con te negli anni a venire era una cosa per me eccezionale. Immaginavo pomeriggi passati a parlare di libri e di arte davanti ad una tazza di tè, magari consigliandoci a vicenda nuove letture.
Ricordo che sono tornata a casa e ho subito trascritto l'indirizzo su di una busta, per non perderlo. Poi ho preso un foglio e ho iniziato a scrivere.
La grande novità, in quei giorni, era che in autunno la mia vita sarebbe cambiata, in autunno avrei iniziato l'università in un'altra città, sarei diventata finalmente grande, non più una ragazzina ma un'adulta. Quello che mi premeva di dirti, in quella lettera, era spiegarti perchè avessi scelto un corso di laurea che non solo non era Lettere, ma era una cosa complicata e per te astrusa.
Ho iniziato a scrivere con foga, poi mi sono fermata. Non sapevo come spiegarmi al meglio. Avrei voluto scriverti una lettera bellissima, che ti colpisse al cuore come le tue lezioni facevano con me, ma in quel momento non mi venivano le parole.
Ho piegato il foglio e l'ho messo dentro alla busta. Ho pensato di aspettare che iniziasse l'università, così da poterti raccontare qualcosa sulla mia nuova vita.

Non sapevo, in quel momento, che quella lettera non l'avrei mai terminata. Pensavo che avrei potuto aspettare, pensavo che avremmo avuto tempo, ma mi sbagliavo.
Poco tempo dopo l'inizio dell'università tu te ne sei andata, portata via da una malattia rapidissima.
Ricordo che mia madre aspettò che io tornassi a casa per il weekend, e poi mi disse che tu non c'eri più. Ho pianto tutte le lacrime che avevo, per il dolore, per il rimorso di non averti più scritto, e mi sono fiondata in un piccolo cimitero dell'entroterra, per cercare la tua tomba.
Come sono arrivata davanti alla lapide ho capito subito che quello era il posto sbagliato. Non c'era nulla, lì, che mi parlasse di te. Tu non eri lì.
Ho imparato a cercarti tra le pagine dei libri che tu amavi, apro Dante ed ecco che ti vedo apparire tra le righe, ecco che sento la tua voce, come se tu fossi con me nella stanza.
Quando leggo La casa dei doganieri di Montale mi salgono le lacrime agli occhi. Quella ragazza di cui parla il poeta, quel ricordo evanescente il cui "riso non è più lieto", nella mia mente ha assunto le tue sembianze, e ogni volta che leggo la poesia è come se il poeta stesse parlando di te.

Così eccomi qui, Marta, a terminare quella lettera. Ti scrivo qui perchè non riesco ad immaginare nulla di più irreale di un blog, qualcosa che in effetti non esiste, qualcosa che non si può toccare, un posto dove si scrive per tutti e per nessuno ma soprattutto per se stessi, e dove ho l'illusione che anche tu possa leggere.
Ti scrivo adesso perchè mentre ero sull'aereo che andava in Australia ho visto sorgere l'alba, e le parole "dolce colore d'oriental zaffiro" mi sono affiorate nella mente, e ho pensato a te.
Ho pensato a tutte le cose che vorrei dirti, che vorrei raccontarti, a tutti i libri che ho letto in questi anni e di cui avrei tanto voluto poter parlare con te.
Tu hai conosciuto una ragazzina e oggi sono una donna, ma tante delle cose che oggi amo me le hai fatte scoprire tu, e sarebbe stato meraviglioso poterne parlare insieme.
Quindi ho deciso che il primo post al rientro sarebbe stato per te, per dirti che mi manchi, che mi mancano le conversazioni che avremmo potuto avere, mi manca il confronto che avrebbe potuto esserci.
Soprattutto, volevo dirti grazie, per tutto quello che mi hai dato. Pensando a te mi sono resa conto di come lo stipendio degli insegnanti sia simbolico: come si può ripagare la cultura, quella vera? le tue lezioni non avevano prezzo.

Ed eccomi in fondo ad una lettera cominciata quattordici anni fa. All'epoca avrei concluso con "un abbraccio", e lo faccio anche ora: ti mando un abbraccio virtuale, sperando che tu sia in qualche luogo e che il mio affetto ti possa raggiungere.

lunedì 7 aprile 2014

Tornata

Eccomi qui, ecco un post-che-non-è-un-post solo per dire che stanotte (o forse stamattina o stasera o ieri, non nominatemi "fuso orario" in questo momento) sono tornata dal viaggio in Australia.
Ho un sacco di cose da raccontare, sull'Australia e anche no, ma in questo momento il mio cervello è in modalità stand-by e qualcosa mi dice che è meglio aspettare che il jet lag sia passato.
Ora vado a farmi un caffè doppio, prima di crollare sul tappeto.