giovedì 13 febbraio 2014

Scoperte inaspettate, sogni assurdi e il mio strudel

Ho spesso avuto modo di notare come le scoperte più interessanti nascano da circostanze assolutamente casuali. Una trasmissione televisiva guardata per caso, un pomeriggio di noia su internet, la pagina pubblicitaria di una rivista sfogliata frettolosamente.. ed ecco che si trova l'idea, il suggerimento utile, lo spunto intrigante.
La mia ricetta per l'MT Challenge di Febbraio nasce così, dall'unione di due diverse scoperte inaspettate fatte negli ultimi mesi.
La prima, lo spunto per il ripieno, è avvenuta un mercoledì mattina di qualche tempo fa. Stavo facendo il purè di patate, quando mi sono accorta che nel frigo non c'era più latte. Per fortuna mio marito stava uscendo in quel momento, così gli ho chiesto di comprarmi il latte, anzi, "un pochino di latte".
Lui, non avendo ben chiaro quanto fosse "un pochino", è tornato a casa con una bottiglia da due litri, che tra l'altro sarebbe scaduta il giorno seguente. Ho fatto il purè e ho messo il resto del latte in frigo.
Nel pomeriggio ho cercato disperatamente su internet un modo per utilizzare il bottiglione in scadenza, ma inutilmente. Tutte le ricette che trovavo prevedevano l'uso di una quantità di latte molto più modesta di quella che avrei voluto smaltire io. 
E poi si è accesa la lampadina. Il formaggio. Ci faccio il formaggio. Ovviamente senza caglio, perchè nel paesino sperduto non avevo possibilità di reperirlo, ma ricordavo vagamente che il limone lo poteva sostituire.
Detto fatto, ho messo il latte sul fuoco, ho aggiunto il limone, ho coperto la pentola e ho aspettato mezz'ora, trepidante. Al termine dei trenta minuti ho sollevato il coperchio e ho visto, con grande emozione, che il latte si era separato: in superficie la cagliata e sotto il siero.
Ho raccolto il formaggio in un panno, l'ho strizzato bene, ho aggiunto timo e sale e l'ho messo in frigo.
All'ora di cena l'abbiamo assaggiato. Non era male, ma il retrogusto di limone era, ovviamente, il sapore predominante. 
Al che mi è venuta l'idea. E se invece di fare un formaggio salato facessi una cosa dolce? Con la bacca di vaniglia, lo zucchero, l'arancio candito, la frutta secca? Ho rifatto l'esperimento qualche giorno dopo, proponendolo come dolce al cucchiaio. Molto aromatico, ma non ero ancora soddisfatta. Ci voleva una base di pasta. Ho pensato e ripensato a quale sarebbe stata la più adatta, senza riuscire a decidermi. Volevo un impasto morbido, avvolgente, ma nello stesso tempo delicato e leggero, qualcosa di fragrante.
E poi è uscita la sfida di Febbraio, ed era lo strudel. Come fare a resistere?

La crema ha un'origine completamente diversa. 
Qualche mese fa, cercando non mi ricordo più cosa su internet, ho scoperto Google Libri. Lo so che Google Libri esiste da un pezzo, ma che ci volete fare, io sono un po' lenta con le novità.
Mi si è spalancato davanti un mondo: centinaia di ricche anteprime, la possibilità di leggere alcune pagine dei libri che mi incuriosivano, come se fossi in biblioteca. Alcune opere inoltre non sono più coperte da copyright, ed è quindi possibile leggerle integralmente e perfino scaricarle sul proprio computer. Una meraviglia, insomma.
E così, un pomeriggio in cui ero a caccia di ricette mi sono imbattuta in Hannah Glasse e nel suo meraviglioso The art of cookery made plain and easy, pubblicato la prima volta nel 1747.
Mi sono immersa nella lettura e ho scoperto un libro stupendo, preciso fino nei dettagli, ricco di ricette varie e bellissime. Quello che però mi ha totalmente affascinata è che questo ricettario è uno specchio di quello che era l'Inghilterra dell'epoca, una potenza coloniale, progredita, agli albori dell'industrializzazione.
Le ricette di Hannah Glasse sono ricche di spezie provenienti dalle Indie, ci sono le indicazioni per la preparazione di piatti esotici come il curry, e c'è addirittura la ricetta per un "catchup", una salsa a base di pesce e birra, che per la sua lunga durata è dedicata ai capitani delle navi, con tanto di suggerimento: you may carry it to the Indies.
La ricchezza dell'Inghilterra dell'epoca si riflette nelle ricette di Hannah, che sono tutte estremamente grasse, piene di burro, lardo e uova, decisamente lontane dai gusti odierni ma allo stesso tempo affascinanti, ricche di profumi e sapori di un altro mondo, in cui nelle cucine non c'era il forno elettrico nè l'acqua corrente.

Pensando ad una salsa di accompagnamento per il mio strudel, mi è subito venuto in mente questo ricettario e i tesori che contiene, e ho scelto di accompagnare il mio dolce con l'almond custard di Hannah, accostando l'idea del formaggio al profumo di agrumi con una ricetta antica che risveglia in me echi di un tempo lontano.
L'abbinamento mi ha così suggestionata che la scorsa notte ho sognato Jane Austen che mangiava il mio strudel...

Strudel bianco al profumo di agrumi, con mandorle ed almond custard di Hannah Glasse

Almond custard
La ricetta originale di Hannah Glasse è la seguente:
Adattando le dosi alle mie necessità, ho ottenuto questo:
200 ml di panna
2 tuorli
2 cucchiai di zucchero
50 g di mandorle private della pellicina e ridotte in farina
1 cucchiaino di acqua di fiori d'arancio (per la mia ricetta la trovo più adatta dell'acqua di rose)

Ho battuto i tuorli con lo zucchero e l'acqua di fiori d'arancio, fino a rendere il composto spumoso. Ho quindi aggiunto la panna e la farina di mandorle, trasferendo il tutto su un bagnomaria dolcissimo e mescolando finchè non si è addensato.



Lo strudel
Per la sfoglia:
150 g farina 00
100 ml di acqua
1 cucchiaio di olio extravergine di oliva
1 pizzico di sale
20 g di burro fuso per spennellare la sfoglia

Per il ripieno:
4 litri di latte intero
5 limoni grossi
1 bacca di vaniglia
4 cucchiai di zucchero
6 cucchiai di marmellata di arance
1 albume
4 scorze di arancio candite
80 g di mandorle private della pellicina

Come da regolamento, per la sfoglia di pasta ho seguito la ricetta di Mari Lasagnapazza, vincitrice della sfida di Gennaio.
Per il ripieno, ho messo il latte in una pentola di acciaio dal fondo spesso, ho aggiunto un po' di semini della bacca di vaniglia e lo zucchero, e ho acceso il fornello, tenendo la fiamma medio-bassa. Mentre il latte si scaldava ho spremuto i limoni, filtrando poi il succo tramite un colino.
Indicativamente, per ottenere una separazione completa del formaggio dal siero occorrono un limone e mezzo grossi per litro di latte, ma se gli agrumi non sono particolarmente voluminosi è meglio aumentare la dose a due o tre.
Come il latte ha iniziato a sobbollire ho spento il fornello, ho aggiunto il succo di limone e ho mescolato, mettendo poi il coperchio.
Dopo mezz'ora, il risultato era questo:


Ho raccolto il formaggio in un panno e l'ho strizzato senza eccedere, per mantenere una certa cremosità ed evitare che diventasse troppo duro. La consistenza di una ricotta un po' soda, diciamo. In ogni caso non deve assolutamente sgocciolare.
Nota: io lo chiamo genericamente "formaggio" perchè non so quale sia il suo nome. Non è una ricotta (che si ottiene dal siero, non dal latte intero). Se fosse salato, tecnicamente sarebbe un primo sale. Essendo però una preparazione dolce, che il sale non lo vede nemmeno da lontano, non so se chiamarlo così sia corretto.



Il formaggio che ho ottenuto è circa mezzo chilo, molto più del necessario. Poichè il successo della preparazione non è sempre garantito (dipende da vari fattori, ad esempio i limoni) ho preferito abbondare. Per il ripieno dello strudel ne ho utilizzato circa 300 g, che ho amalgamato con l'albume.
A questo punto ho steso la sfoglia sopra un telo secondo le indicazioni di Mari, e vi ho spalmato sopra la marmellata di arance. Non deve essere uno strato spesso, solo un velo, per esaltare il sapore del formaggio.
Idealmente ci sarebbe stata bene una marmellata mista di arance dolci e amare, oppure mista arance e limoni, magari con le scorze dentro e fatta in casa, ma qui era impossibile reperire la materia prima, quindi ne ho usata una comprata, di arance dolci con dentro le scorze.
Sopra la marmellata ho steso il formaggio, ricoprendo quindi il tutto con le mandorle e le scorzette di arancia candita a pezzetti.


Ho quindi arrotolato lo strudel, aiutandomi col canovaccio, e l'ho poi unto col burro fuso.


L'ho infornato in forno già caldo, dove ha cotto per circa 40 minuti.


Con questa ricetta partecipo all'MT Challenge del mese del Febbraio. Per la sfida di Marzo prometto di impegnarmi a fare foto più decenti...



domenica 2 febbraio 2014

Di bruscetta ed eresie culinarie

Oggi stavo pensando che da quando sono qui il mio rapporto col cibo italiano si è fatto più stretto. Non nel senso che lo cucino/mangio più spesso, ma nel senso che la lontananza l'ha reso ai miei occhi uno degli emblemi sacri della mia terra, uno dei fattori culturali a cui mi sento più fortemente legata, e questo mi ha portato ad una specie di integralismo culinario. In parole povere, se il cibo italiano che mangio qui non soddisfa le mia aspettative, la delusione e il nervosismo aumentano in modo direttamente proporzionale.

Siete mai stati in un ristorante italiano all'estero? lo so, lo so: è una di quelle cose da non fare mai. 
Per chi però all'estero ci vive, la tentazione è forte. Passi davanti al ristorante, leggi il menù, ritrovi piatti che ami e che ti fanno immediatamente salire l'acquolina in bocca.
- Nooo, favoloso, fanno anche questo piatto! e guarda, c'è anche quell'altro!
Come ho detto più volte, è difficile ricreare i sapori di casa quando si vive in un altro paese, e, almeno io, ogni tanto cedo alla tentazione del ristorante italiano, restandone invariabilmente delusa. La maggior parte delle volte la colpa è mia: entro già piena di aspettative, immagino che un certo cibo debba avere a tutti i costi esattamente il sapore che conosco, e questo forse è un po' troppo, in effetti basta un ingrediente diverso per cambiarne il gusto.
A volte però la situazione è veramente disastrosa, non è questione di un ingrediente o di un sapore diverso, il piatto che viene ordinato non ha nulla, ma proprio nulla in comune con l'analogo che si potrebbe trovare in Italia.

La prima volta che ho sperimentato questa situazione è stato qualche tempo fa, in un ristorante non molto lontano da qui.
La mia ordinazione era composta da "bruschetta al pomodoro" e da "insalata di pomodoro e mozzarella col pesto". Mi sembrava una cosa molto banale da preparare, ed ero sicura di non avere particolari sorprese. Ho chiuso il menù e ho sorriso alla cameriera filippina che veniva a prendere le ordinazioni.
- Io prendo la bruschetta col pomodoro...
- La bruscetta?
- Sì... la bruscHetta col pomodoro..
Lei sorride.
- Si legge bruscetta. E' un tipico piatto italiano.
- Ehm.. certo.
Sì, la tentazione di dirle che col cavolo che si legge bruscetta ce l'ho avuta. Anzi, avevo già le parole in bocca. Ma la cameriera in Italia non c'era sicuramente mai stata, e stava probabilmente facendo del suo meglio per svolgere il suo lavoro.
Poco dopo è arrivata la bruscetta: una fetta di pane con sopra il pomodoro? No. Un pezzo di pasta della pizza mal cotto, con sopra una dadolata di verdure incerte. Quanto all'insalata di pomodoro e mozzarella, consisteva in quattro fettine di pomodoro alternate ad altrettante di mozzarella. Dopo lunghe riflessioni sono arrivata alla conclusione che la macchia scura di 1 cm di diametro in un angolo del piatto fosse il pesto, ma non ne ho la certezza assoluta.

In un'altra occasione ero in un altro ristorante, dove in precedenza avevo mangiato una pizza discreta, e mi ero lanciata su una pastasciutta. Niente di complesso, questa volta si trattava di penne pomodoro e basilico.
Inizio a mangiare, e mi capita in bocca un pezzetto di foglia di basilico. Che strano... sa di insalata.
La mia mente si perde in riflessioni sul basilico, che fuori dalla Liguria assume un sapore diverso da quello che conosco, chissà perchè, forse la composizione del suolo differente, o magari l'acqua, o il clima..
In quel momento mi cade l'occhio su un'altra fogliolina verde nel mio piatto. E' frastagliata, ha la forma inconfondibile. E' rucola.
Anche qui reprimo l'impulso di chiamare la cameriera. Il cuoco sicuramente non è italiano. Probabilmente è Indiano o Pakistano. Un piccolo errore (anche se per me che sono ligure è una piccola atrocità) come confondere il basilico con la rucola ci sta.

L'apice di questa escalation l'ho raggiunta qualche mese fa, andando a cena in un altro ristorante italiano ancora, con mio marito e una coppia di amici. Il cameriere ci porta i menù, dicendo "prego" mentre li porge, al che io rispondo automaticamente "grazie", e inizia la conversazione.
- Ma sei italiana?
- Sì.
- Ma dai! di dove? io sono romano...
- Sono ligure.
- Ah, ma pensa! anche il cuoco è ligure! sei fortunata, puoi ordinare i piatti che ti piacciono di più!

Sarà idiota, ma sapere che il cuoco è ligure mi emoziona parecchio. Forse posso sbilanciarmi, smettere di ordinare la pasta col pomodoro e provare qualcos'altro.
Apro il menù, e subito rimango folgorata: "Minestrone genovese con le picagge". Ecco, questo lo poteva scrivere solo un ligure. Picagge, le nostre tagliatelle. Ho l'acquolina in bocca.
Mentre attendiamo che il cameriere prenda le ordinazioni elargisco consigli. Gli altri si buttano sui pansoti con la salsa di noce.
Ordiniamo, dopo una decina di minuti arrivano i pansoti. Assaggio la salsa di noci... è panna con qualche pezzetto di noce dentro. Sgomento. Questa non è la salsa di noce. Questo sarebbe un cuoco ligure?

Mentre mi assale il dubbio di aver fatto la scelta sbagliata, arriva la mia ordinazione. La fisso.
E' un piatto di brodo, trasparente, con qualche pezzo di verdura qui e là. Sul fondo ci sono dei pezzi di pasta che immagino siano le picagge, almeno nell'interpretazione del loro creatore.
Avrei voglia di chiamare il cameriere e chiedergli in che senso il cuoco è ligure, che nascere a Genova e poi trasferirsi immediatamente dopo a Pechino o ad Oslo non vale, che questa roba non ha niente di ligure, che chiamare questa brodaglia "minestrone genovese" è un'eresia e vale la scomunica del doge e il divieto di fregiarsi della parola "ligure", che oltre a tutto nel minestrone genovese c'è il pesto e lì non ce n'è traccia...

- Non mangi? - chiede mio marito, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
Al che mi rendo conto che sto fissando la minestrina da almeno due minuti, in silenzio.
- Ah? eh... certo.
Mangio, e occhieggio le espressioni degli altri. 
- Ah, che buoni questi pansoti! avevi ragione, i piatti della Liguria sono ottimi!
Faccio un profondo respiro, mi obbligo a non dare in escandescenze e propongo all'altra coppia di venire una sera a cena da noi, in modo che possa preparargli la mia versione dello stesso piatto. Poi non riesco proprio a resistere, e gli svelo che la salsa di noci e la panna sono due cose diverse, che il sapore vero non è quello e via così per cinque minuti buoni, in cui probabilmente i miei amici si convincono che quel vago sospetto che avevano si è rivelato giusto, la nostra amica è pazza, guarda come si infervora parlando di un piatto di pasta.

Non so perchè mi comporto così. O meglio sì, lo so: i piatti liguri per me sono i sapori dell'infanzia, quelli della cucina della mamma e della nonna, e dentro il mio cuore formano uno stretto viluppo con le immagini dei miei familiari e dei luoghi dove sono vissuta. 
Vedere la panna al posto della salsa di noci mi fa lo stesso effetto che mi  farebbe a Genova la torre Eiffel al posto della Lanterna.

Lo so, sono tutte sfaccettature della parola "nostalgia", e sono pienamente cosciente della futilità di queste questioni. Vivere con mio marito è la cosa che mi sta più a cuore, e finchè lui sarà qui sarò qui anche io.
Ora la smetto di stressare anche voi con questo argomento e chiudo il post. 
L'Italia e la mia Liguria in fin dei conti sono sempre lì, nel mio cuore, impresse in modo inalterabile,  io stessa ne sono un parte, e mi basta rifugiarmi in questa certezza per sentirne meno la mancanza.