domenica 13 aprile 2014

Quella lettera che non avevo terminato


Cara Marta,
se devo essere sincera, la prima volta che ti ho incontrata ho pensato che tu fossi matta. 
Era il Settembre del 1998, all'inizio della seconda liceo - il quarto anno - ed io ero una sedicenne con lo smalto viola sulle unghie, introversa e probabilmente insopportabile.
Era il cambio dell'ora, e stavamo aspettando la nuova professoressa di Italiano. Poi abbiamo sentito i passi nel corridoio, e sei entrata in classe. Ci hai guardato per un lungo minuto, poi hai iniziato a snocciolare tutte le cose che non andavano bene. Non si viene a scuola col trucco (ricordo che ho nascosto le mani sotto al banco e una volta a casa ho tolto lo smalto viola per non metterlo mai più), non si sta in classe con la sciarpa nè tanto meno col cappotto ( anche se la nostra aula era freddissima e piena di spifferi) e così via, tutte quelle regole che volevi che seguissimo per trasformarci in persone "civili".

Poteva dare fastidio, ma l'insofferenza smetteva di colpo - almeno per me - nel momento in cui iniziavi a spiegare. Le tue lezioni erano qualcosa di meraviglioso. Non erano solo di letteratura, nè di arte, nè di storia, ma di tutte queste cose combinate insieme, e - soprattutto - avevano la capacità di tenere la mia attenzione incollata alle tue parole, senza che riuscissi a distrarmi nemmeno per un secondo, tanto che alla fine dell'ora non riuscivo a capacitarmi che il tempo fosse passato così rapido. Avevano la capacità di toccare tutte le corde del mio cuore, e di emozionarmi profondamente. Non prendevo appunti, e devo confessarti di aver aperto il libro pochissime volte, durante i due anni in cui sei stata la mia insegnante. Non ne avevo bisogno. Mi bastava ascoltare, e grazie alle tue parole potevo quasi entrare nel periodo storico che stavi spiegando.

Mi ricordo quella mattina in cui ero appena arrivata in classe. Avremmo avuto un'ora con te e poi due compiti in classe, di due materie diverse.
Tu sei entrata e mi hai chiamata per interrogarmi. Io mi sono alzata un po' titubante, perchè il giorno prima non avevo nemmeno aperto il libro. Ma non serviva. Ricordo che tornai a posto con un nove. 
Le tue lezioni, Marta, te lo dico subito, sono ancora tutte lì, nella mia memoria, da "riconoscerai ch'i son Piccarda" a "Signori e cavallier che ve adunate, per odir cose dilettose e nove", da "donna al telaio, gallina di pollaio e triglia di Gennaio" al "girasole impazzito di luce", e le considero una parte fondamentale del mio bagaglio culturale personale.

Ricordo quel giorno terribile in cui tuo fratello morì in un incidente d'auto.
Con due mie compagne di classe andammo al funerale. Ricordo che loro ti strinsero la mano e ti porsero le loro condoglianze, mentre io ti abbracciai stretta in mezzo alla chiesa, perchè in quel momento le formalità non avevano importanza, in quel momento non eri la mia professoressa ma solo una creatura disperata e in lacrime, e volevo farti sentire il mio affetto.

Alla maturità, una volta finiti gli orali, con mia grande gioia mi hai dato un pezzetto di carta con il tuo indirizzo.
- Scrivimi - mi hai detto.
La possibilità di restare in contatto con te negli anni a venire era una cosa per me eccezionale. Immaginavo pomeriggi passati a parlare di libri e di arte davanti ad una tazza di tè, magari consigliandoci a vicenda nuove letture.
Ricordo che sono tornata a casa e ho subito trascritto l'indirizzo su di una busta, per non perderlo. Poi ho preso un foglio e ho iniziato a scrivere.
La grande novità, in quei giorni, era che in autunno la mia vita sarebbe cambiata, in autunno avrei iniziato l'università in un'altra città, sarei diventata finalmente grande, non più una ragazzina ma un'adulta. Quello che mi premeva di dirti, in quella lettera, era spiegarti perchè avessi scelto un corso di laurea che non solo non era Lettere, ma era una cosa complicata e per te astrusa.
Ho iniziato a scrivere con foga, poi mi sono fermata. Non sapevo come spiegarmi al meglio. Avrei voluto scriverti una lettera bellissima, che ti colpisse al cuore come le tue lezioni facevano con me, ma in quel momento non mi venivano le parole.
Ho piegato il foglio e l'ho messo dentro alla busta. Ho pensato di aspettare che iniziasse l'università, così da poterti raccontare qualcosa sulla mia nuova vita.

Non sapevo, in quel momento, che quella lettera non l'avrei mai terminata. Pensavo che avrei potuto aspettare, pensavo che avremmo avuto tempo, ma mi sbagliavo.
Poco tempo dopo l'inizio dell'università tu te ne sei andata, portata via da una malattia rapidissima.
Ricordo che mia madre aspettò che io tornassi a casa per il weekend, e poi mi disse che tu non c'eri più. Ho pianto tutte le lacrime che avevo, per il dolore, per il rimorso di non averti più scritto, e mi sono fiondata in un piccolo cimitero dell'entroterra, per cercare la tua tomba.
Come sono arrivata davanti alla lapide ho capito subito che quello era il posto sbagliato. Non c'era nulla, lì, che mi parlasse di te. Tu non eri lì.
Ho imparato a cercarti tra le pagine dei libri che tu amavi, apro Dante ed ecco che ti vedo apparire tra le righe, ecco che sento la tua voce, come se tu fossi con me nella stanza.
Quando leggo La casa dei doganieri di Montale mi salgono le lacrime agli occhi. Quella ragazza di cui parla il poeta, quel ricordo evanescente il cui "riso non è più lieto", nella mia mente ha assunto le tue sembianze, e ogni volta che leggo la poesia è come se il poeta stesse parlando di te.

Così eccomi qui, Marta, a terminare quella lettera. Ti scrivo qui perchè non riesco ad immaginare nulla di più irreale di un blog, qualcosa che in effetti non esiste, qualcosa che non si può toccare, un posto dove si scrive per tutti e per nessuno ma soprattutto per se stessi, e dove ho l'illusione che anche tu possa leggere.
Ti scrivo adesso perchè mentre ero sull'aereo che andava in Australia ho visto sorgere l'alba, e le parole "dolce colore d'oriental zaffiro" mi sono affiorate nella mente, e ho pensato a te.
Ho pensato a tutte le cose che vorrei dirti, che vorrei raccontarti, a tutti i libri che ho letto in questi anni e di cui avrei tanto voluto poter parlare con te.
Tu hai conosciuto una ragazzina e oggi sono una donna, ma tante delle cose che oggi amo me le hai fatte scoprire tu, e sarebbe stato meraviglioso poterne parlare insieme.
Quindi ho deciso che il primo post al rientro sarebbe stato per te, per dirti che mi manchi, che mi mancano le conversazioni che avremmo potuto avere, mi manca il confronto che avrebbe potuto esserci.
Soprattutto, volevo dirti grazie, per tutto quello che mi hai dato. Pensando a te mi sono resa conto di come lo stipendio degli insegnanti sia simbolico: come si può ripagare la cultura, quella vera? le tue lezioni non avevano prezzo.

Ed eccomi in fondo ad una lettera cominciata quattordici anni fa. All'epoca avrei concluso con "un abbraccio", e lo faccio anche ora: ti mando un abbraccio virtuale, sperando che tu sia in qualche luogo e che il mio affetto ti possa raggiungere.

4 commenti:

  1. non ho parole...ho pravto bellissime emozioni leggendo questa lettera mai inviata e devo dire che ad ognuno di noi e' capitato di vivere un'esperienza simile....

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  2. Una lettera che Marta ha letto anche adesso e sono certa che l'ha resa felice. Sono d'accordo con Cinzia, il rimpianto per qualcosa o qualcuno a cui non abbiamo prestato la dovuta attenzione quando era il momento, è parte della vita di tutti. E' una lettera bellissima e forse tanti anni fa non sarebbe stata così bella. Un bacio, amica mia <3

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  3. che bellissima lettera, ho pianto.
    ho cambiato nome al blog e di conseguenza indirizzo da: il mondo di gloria (ilmondodigloriacreativitaealtro.blogspot.it) a about me (aboutmegloria.blogspot.it) così puoi cambiare l'indirizzo se ti va di seguirmi!
    grazie
    gloria

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  4. Molto bello questo ricordo della tua insegnante

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