venerdì 19 maggio 2017

Di viaggi e voli

Eccomi qui, rientrata in Australia da quasi un mese dopo due settimane di corsa in Italia.
Dico "di corsa" perchè non ho avuto il tempo di fare nulla, eravamo sempre in ritardo per qualcosa e, nonostante i buoni propositi, non sono riuscita a vedere nessuna delle persone che volevo incontrare. Così è, purtroppo, e se fate parte del gruppetto mi prostro e vi faccio le mie scuse. 
La verità è che due settimane, anzi tredici giorni, sono troppo pochi per un viaggio in Italia. Nei primi quattro sei nelle grinfie del demone del jet-lag e ti addormenti senza speranze su ogni superficie orizzontale che ti capita a tiro dalle tre del pomeriggio in poi, sia essa il divano o il lettino della ginecologa. Seguono i viaggi per andare a trovare i parenti, poi un esame di inglese a Milano, poi ops, era già ora di ripartire. 

In queste due settimane ho notato un curioso fenomeno che volevo condividere con voi, lo chiamerò "sindrome da interruttore inceppato".
Sono anni che vivo all'estero e nella vita quotidiana parlo esclusivamente Inglese.
Durante il primo mese fuori dall'Italia mi venivano ancora alle labbra frasi in Italiano e le dovevo tradurre in Inglese nella mia testa, ma ben presto l'Inglese mi è venuto automatico e spontaneo. Parlo, leggo e vivo in Inglese ogni giorno, con l'esclusione della domenica, giorno in cui sento i miei genitori su Skype. In queste occasioni ho bisogno di qualche minuto di rodaggio, in cui non mi vengono le parole e affiorano nella mia mente frasi che sembrano generate da un traduttore automatico malfunzionante, tipo: "La mia macchina ha la trasmissione automatica". 
Poi l'interruttore scatta, il mio cervello passa da "modalità inglese" a "modalità italiano" e la conversazione prosegue normalmente. Quando vengo in Italia è lo stesso, dopo poco la mia lingua madre si fa strada senza problemi tra i meandri del mio cervello. Poi ritorno in Australia, l'interruttore scatta di nuovo su modalità inglese e così via.
Questa volta ho avuto qualche problema. Anche dopo giorni, l'italiano non mi veniva automaticamente. Ora, se è una conversazione rapida con qualcuno che non conosci, tipo il commesso del supermercato, pazienza. Mi scappa una parola in inglese, lui pensa che io sia straniera e vabbè, facciamoglielo credere, si va avanti in inglese e basta. Il problema è quando inizi in italiano, e POI ti scappano le parole in inglese e la persona davanti a te ti guarda come fossi pazza.
Una cosa del genere:

Dal parrucchiere
Io: Buongiorno, mi serve la piega e un taglio. 
Parrucchiere: Bene, si accomodi qui, va bene la temperatura dell'acqua?
Ora, è così difficile? dovevo solo dire: "Sì, va bene". E invece no. Io ho detto of course e lui mi ha guardata, incerto se cercassi di prenderlo in giro o fossi appena scappata dal manicomio.
Rossore, imbarazzo, tachicardia. Poi inizio a pensare perchè mi comporto così. Poi i pensieri divagano, la stretta dell'ansia si allenta, inizio a rilassarmi di nuovo. E' in quel momento che lui mi chiede qualcos'altro e io rispondo di nuovo in inglese. Ho notato che tendo a farlo più frequentemente se la risposta richiesta è breve, tipo sì, no, certo. Se la domanda richiede di rispondere con una frase articolata, di solito non ho problemi. Invece per le domande rapide, a cui rispondo senza pensare, mi esce sempre l'inglese. 
Ma questo è niente, sono riuscita a parlare in inglese anche con mia nonna, che però fortunatamente mi conosce da trentacinque anni e non si stupisce più di nulla.

Questi tredici giorni sono scappati via rapidissimi e prima che riuscissi a rendermene conto ero già in volo per tornare in Western Australia.
Come potete immaginare, il viaggio è lunghissimo: da quando sono uscita dalla casa dei miei a Genova a quando sono entrata nella mia nel paesino del bush sono passate 25 ore, comprensive di viaggi in macchina da e verso l'aeroporto, voli, e scalo aereo.
La tratta più lunga è stato il volo Abu Dhabi - Perth, 11 ore con sorvolo dell'Oceano Indiano.

Quando studiamo geografia alle medie, impariamo che l'oceano Indiano è il più piccolo degli oceani, di dimensioni ben inferiori all'Atlantico o al Pacifico. La verità però è che la traversata sembra non finire mai. Oltre a questo, per me che quando volo ho sempre una leggera ansia, il fatto di attraversare un'immensa distesa d'acqua, lontanissima da qualunque lembo di terra, acuisce sempre il mio disagio.
Questa volta però, il mio viaggio è stato ulteriormente movimentato dal passeggero che mi sedeva vicino.

Il mio posto è nel mezzo di una riga di tre sedili, da una parte ho mio marito, dall'altra un bimbo australiano biondo di otto anni col il visino angelico, di nome Michael. Il bambino viaggia con la madre, ma la signora, anzichè essere seduta accanto al figlio, è al di là del corridoio, a circa un metro di distanza da lui. Questo fa sì che tutte le assistenti di volo, vedendo me, mio marito e il bambino, pensino a noi come ad un'allegra famigliola e si rivolgano a me come se fossi la mamma del pargolo.

Ora 1
Ci allacciamo le cinture, si parte. Michael sta cantando a squarciagola e si dimena sul sedile. Quando arriviamo a quota di crociera siamo già a quota tre calci, cinque gomitate e un numero imprecisato di manate addosso. Tocco il touch screen dello schermo inserito nel sedile davanti al mio, per visualizzare l'elenco di film, musica e giochi disponibili.
- Vuoi che ti spieghi come si usa?  - chiede il mio simpatico vicino.
- No grazie tesoro, so bene come si usa - gli rispondo.
Seleziono il sudoku e mi metto a giocare.
- Secondo me lì ci va un sette - mi sussurra dopo poco Michael, per poi dedicarsi alla soluzione del mio Sudoku.
La madre di Michael, dall'altra parte del corridio, fa finta di niente e si gode un film.

Ora 2
Ci portano la cena.
Michael ordina un bicchiere di succo di pomodoro e lo rovescia tutto sul suo tavolino e sul pavimento.
- Mi aiuti a pulire?  - mi chiede contrito. Le assistenti di volo mi guardano con disapprovazione, ai loro occhi non riesco a tenere tranquillo mio figlio.
Puliamo, mentre la madre di Michael, dall'altra parte del corridoio, si gusta beata la sua cena.
Ho perso il conto di calci, gomitate e manate.

Ora 3
Michael non è stato zitto un attimo da quando siamo partiti. Mi spiace per il pargolo, ma mi sta venendo il mal di testa. Metto le cuffie e seleziono la sesta sinfonia di Beethoven, cercando di escludere ogni altro rumore circostante.
La madre di Michael dorme beata.

Ora 4
- Devo dirti una cosa, puoi togliere le cuffie?
Mi tolgo le cuffie.
- Sai, sono andato in vacanza in Europa con la mamma e ora sto tornando a casa.
- Bene, sono contenta. Ti è piaciuta l'Europa?
- Sì. Ma volevo dirti che durante i voli di andata ho vomitato cinque volte. Soffro l'aereo.
Ok, inizio a capire perchè la madre non ha prenotato due posti vicini.

Ora 5
Dopo sole 4 ore finalmente Michael tace. Si è appisolato con la testa sul mio braccio. Non oso spostarmi, non sia mai che si svegli.. muovo leggermente la schiena, fino a trovare una posizione confortevole. Il sonno inizia a premere sui miei occhi e mi addormento, cullata dal movimento dell'aereo. Dormo forse addirittura quindici minuti, poi sento una manina che mi scuote mentre una vocina preoccupata mi dice:
- Mi aiuti a trovare un sacchetto dove vomitare? ce l'avevo qui, ma perdo senpre tutto... PRESTO! - aggiungendo un piccolo conato per rafforzare la sua richiesta. Troviamo il sacchetto, la madre di Michael incredibilmente si accorge della situazione e fa un gesto col mento al figlio, per indicare la toilette. Tutto qui. Quando Michael torna al suo posto ha un po' di vomito in faccia, la madre dorme o fa finta di dormire, io non so come pulirlo,
Certo, se avessi saputo che mi sarei trovata a fare da vice- mamma ad un bambino di otto anni su un volo intercontinentale di undici ore magari mi sarei premunita e avrei comprato delle salviette o della pastiglie per la motion sickness.

Ora 6
Michael si pulisce la faccia con la coperta data in dotazione dalla compagnia aerea. Fa un po' schifo, ma tanto l'aveva già battezzata col succo di pomodoro.
- Come va? - gli chiedo.
- Leggermente meglio - mi risponde lui, circa dieci minuti prima di correre in bagno di nuovo.
Sua madre dorme beata.

Ora 7
Finalmente il bimbo dorme e io cerco di fare altrettanto. In quel momento, il capitano annuncia una turbolenza. L'aereo inizia a ballare, Michael per fortuna continua a dormire, è notte, siamo nel mezzo del nulla, dalla mappa del percorso il lembo di terra più vicino è l'estremità meridionale dell'isola di Sumatra, a soli 1200 km da dove ci troviamo. E' in questo momento che mi viene la consapevolezza che da qualche parte, nell'oceano sotto di me, si trova il relitto dell'aereo della Malaysia Airlines, disperso nel 2014 e mai più rintracciato. Non è un pensiero confortante.

Ora 8
Nuovo scoppio di vomito, la madre di Micheal dorme.

Ora 9
Guardo La La Land, ben attenta a non muovere il mio braccio sinistro, a cui è attaccato il bambino dormiente.

Ora 10
- Oh, no, di nuovo!
La vocina mi sveglia. Devo essermi assopita. Michael ha di nuovo i conati, sfortunatamente ci sono le assistenti di volo con i carrellini che raccolgono i bicchieri e lui non può andare in bagno, quindi gli trovo alla velocita del fulmine un sacchetto e lui vomita lì, accanto a me.

Ora 11
Michael ricomincia a cantare, l'aereo comincia la discesa verso Perth. Atterriamo, raccogliamo le nostre cose, ci mettiamo in fila per uscire. Sono esausta. E-S-A-U-S-T-A. Chi invece è bella riposata e pimpante è la mamma di Michael. L'ultima cosa che sento prima di uscire dall'aereo è la sua voce mentre si rivolge al figlio:
- Ah, è stato proprio un bel volo, non è vero, Michael?

3 commenti:

  1. Beh medaglia alla madre di Michael direi, ha capito tutto la signora...

    Detto cio' anche io ho problemi con inglese-italiano. Non per le frasi corte perche' anche all'estero parlo sempre un po' di Italiano, ma piuttosto con alcuni concetti che non so tradurre. Tipo il mio lavoro. Ho appena tradotto un articolo che ho scritto io in Italiano e non mi ricordavo le parole, quindi sembra scritto da un analfabeta...

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  2. Sei stata troppo inglese! Dovevi pigliare la madre e dirle che suo figlio aveva bisogno di un esorcista... :)

    Anche a me succede di confondere le lingue, ma spiego qual e' il problema e alla peggio pensano che me la tiri, non che sia proprio scema :D

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  3. Sei troppo buona.
    Io che ho a che fare con pargoli per lavoro, capisco bene la difficoltà! Comunque la signora mamma poteva anche essere disturbata, eh!
    Conosco una coppia svedese che abita a Miami, hanno 3 figli piccoli e ogni volta che tornano in Svezia uno dei bambini si trova sempre ad avere un vicino sconosciuto, "Ma alla fine del volo diventa parte della famiglia anche lui!".
    Ora capisco cosa intendono.

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